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L’evoluzione degli investimenti diretti esteri per area geografica

DEGLI INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI NEL MONDO

3.1 Lo scenario internazionale

3.1.2 L’evoluzione degli investimenti diretti esteri per area geografica

In un primo tempo gli investimenti diretti esteri erano una prerogativa dei Paesi economicamente sviluppati. L’evolversi del panorama economico mondiale ha però determinato un graduale sfasamento ciclico sia tra le diverse aree geo-economiche, sia all’interno di esse, con un sistematico spostamento del baricentro economico verso Paesi definiti in via di sviluppo, ma che continuano a generare robusti tassi di crescita. Questi mutamenti hanno coinvolto anche il fenomeno degli investimenti diretti esteri che, progressivamente, si è esteso a tutti i gruppi di economie. Oggi la maggior parte dei Paesi,

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siano essi avanzati o in via di sviluppo, ricoprono spesso sia il ruolo di Paese investitore che di Paese ricevente e, nonostante le quote detenute dalle aree economicamente sviluppate rimangano superiori, il peso dei Paesi emergenti va costantemente aumentando.

E’ comunque opportuno ricordare che dinamica degli IDE nelle economie mature ha seguito iter diversi rispetto a quanto accaduto nelle economie in via di sviluppo, determinando percorsi evolutivi spesso contrapposti. Le differenze intercorse sono ancora più evidenti se i trasferimenti di capitale vengono analizzati alla luce della distinzione tra flussi in uscita ed flussi in entrata. In questo paragrafo verrà approfondito l’andamento dei flussi mondiali di IDE in entrata e in uscita, osservando il loro evolversi nei diversi gruppi di economie.

Per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri in uscita, la quota predominante dei capitali proviene dai Paesi economicamente sviluppati (Fig.3.5).

Fig. 3.5 – Quote detenute dai Paesi avanzati e dai Paesi in via di sviluppo sul totale dei flussi mondiali di IDE in uscita, 1970-2011, (valori in percentuale)

Fonte: UNCTAD, basato su FDI stocks and flows database, 2012

Fin dagli anni ’70, infatti, il peso degli IDE originati dai Paesi avanzati è sempre stato preponderante: essi hanno mantenuto una quota superiore al 90 per cento fino al 1991 e superiore all’80 per cento fino al 2008. Conseguentemente all’avvento della crisi, la quota detenuta dai paesi sviluppati ha subito la prima vera battuta d’arresto: il valore degli IDE

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provenienti dai Paesi sviluppati è sceso al di sotto all’80 per cento, arrestandosi al 74,5 per cento dei flussi complessivi.

I dati più recenti, relativi al biennio 2010-2011, evidenziano segnali di ripresa per i flussi mondiali di investimenti esteri in uscita. Nel 2011 in particolare, hanno registrato un incremento del 16,5 per cento rispetto all’anno precedente, per un valore complessivo pari a 1.694 miliardi di dollari. Di questi, 1.237 miliardi sono stati originati dalle economie avanzate.

I Paesi che hanno maggiormente contribuito allo sviluppo di questo flusso sono stati l’Unione Europea, il Nord America e il Giappone (Fig. 3.6).

Nel decennio 1970-1979 gli Stati Uniti e l’Unione Europea rappresentavano, sostanzialmente alla pari, i maggiori investitori mondiali. Già nel biennio successivo gli investimenti realizzati dall’UE superavano più del doppio quelli realizzati dagli USA e, con il passare degli anni, questa tendenza si è affermata in modo sempre più marcato. Nonostante entrambi i Paesi abbiano visto un incremento esponenziale dei propri investimenti all’estero, alla vigilia della crisi l’Europa si confermava il maggior investitore mondiale, con un flusso di capitali pari a oltre 1200 miliardi di dollari (contro i 394 degli Stati Uniti).

Fig. 3.6 – Investimenti diretti esteri in uscita dai Paesi sviluppati, 2005-2011 (valori in miliardi di dollari)

Fonte: UNCTAD, basato su FDI stocks and flows database, 2012

Nel 2011 l’Unione Europea ha investito all’estero capitali per un valore pari a 562 miliardi di dollari, registrando un incremento del 16,3 per cento rispetto al 2010. Generando oltre il

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30 per cento dei flussi globali quindi, l’UE mantiene il suo ruolo di primo grande investitore mondiale.

Gli investimenti in uscita da parte degli Stati Uniti hanno invece raggiunto un valore di 397 miliardi di dollari, con un incremento annuale del 30,3 per cento che ha consentito loro di collocarsi poco al di sotto del valore massimo di 394 miliardi di dollari registrato nel 2007. Nonostante la crisi globale dell’economia infatti, la domanda di materie prime rimane alta e questo ha portato le imprese statunitensi ad investire nei Paesi esteri sia attraverso investimenti greenfield che tramite M&A.

Al terzo posto nella classifica dei maggiori investitori globali si colloca invece il Giappone, che sta vivendo una forte rinascita dopo il declino nel biennio 2009-2010. La ricerca di manodopera a basso costo, il potere d’acquisto della moneta nazionale (yen) e le scarse prospettive di crescita del mercato domestico, sono i principali fattori che hanno portato le imprese giapponesi a cercare nuove opportunità di crescita e attività strategiche nei mercati oltreoceano, investendo oltre 114 miliardi di dollari. Occorre tenere presente che il governo giapponese ha giocato un ruolo fondamentale nel promuovere gli IDE stretegic-asset seeking, emanando numerose misure di sostegno a favore delle imprese che intendevano realizzare tali investimenti.

Se nell’ultimo decennio la quota detenuta dai Paesi avanzati stava diminuendo, specularmente andava aumentando il peso dei Paesi in via di sviluppo, che nel 2009 generavano il 25,5 per cento del totale degli IDE in uscita. Il 2010 ha visto un vero e proprio boom dei flussi, incrementati del 49 per cento in un solo anno, mentre nel 2011 si è registrata un’inversione di tendenza: al contrario di quanto accaduto nei Paesi industrializzati, i flussi in uscita dai Paesi in via di sviluppo hanno mostrato una contrazione del 6,8 per cento. Tra le cause a cui imputare questo rallentamento troviamo principalmente una diminuzione degli investimenti esteri diretti realizzati dalle imprese africane, sudamericane a caraibiche, diventati estremamente volatili.

I flussi in uscita dal valore più consistente sono rimasti ad appannaggio dei Paesi asiatici, per un valore complessivo di 280 miliardi di dollari ed un incremento del 2,7 per cento rispetto al 2010. All’interno di quest’area geo-economica si sono però manifestate delle tendenze divergenti tra i diversi gruppi di Paesi. I flussi in uscita dall’Asia orientale, che rappresenta la quota più rilevante del continente asiatico con oltre il 66 per cento, presentano una contrazione del 5,9 per cento, a cui è associata una sostanziale stagnazione

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dell’Asia meridionale. L’Asia sud-orientale e occidentale presentano invece dei tassi di crescita marcatamente crescenti, rispettivamente del 35,6 per cento e del 54,1 per cento, nel primo caso grazie alle performance di Indonesia e Thailandia e, nel secondo, per merito della Turchia e dei Paesi produttori di petrolio.

Sono invece rimasti di peso marginale gli investimenti realizzati dai Paesi africani, che a malapena superano i 3,5 miliardi di dollari, registrando una flessione del 50 per cento rispetto al 2010.

La graduatoria relativa ai maggiori Paesi investitori nel 2011 mostra in prima posizione gli Stati Uniti (Fig. 3.7).

Fig. 3.7 – Flussi di IDE in uscita, i 20 maggiori Paesi investitori, 2010 e 2011 (valori in miliardi di dollari)

Fonte: UNCTAD, basato su FDI stocks and flows database, 2012

Essi possiedono una quota del 23,3 per cento sul totale mondiale degli investimenti diretti esteri in uscita. Il Giappone è passato, dalla settima posizione occupata nel 2010 con una

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Japan United Kingdom France China, Hong Kong Belgium Switzerland Russian Federation China Germany Canada Italy Spain Netherlands Austria Sweden Singapore Denmark Republic of Korea Norway 2011 2010

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quota del 3,9 per cento, alla seconda nel 2011, con una quota del 6,7 per cento del totale. Seguono Regno Unito, che a fronte del 6,3 per cento conquistato nel 2011 occupava nel 2010 solo l’undicesima posizione con una quota del 2,2 per cento, e la Francia, che ha mantenuto sostanzialmente la stessa quota (5,3 per cento). L’Italia, con una quota del 2,8 per cento, è arrivata in dodicesima posizione, guadagnando così due posizioni rispetto al 2010.

Per quanto riguarda gli investimenti diretti esteri in entrata, la quota prevalente è diretta verso i Paesi avanzati, seppur in misura inferiore rispetto ai flussi di IDE in uscita (Fig.3.8). Fino al 2003, essi hanno continuato ad assorbire mediamente il 70 per cento dei flussi mondiali in entrata, a conferma del fatto che, soprattutto negli ultimi decenni dello scorso secolo, gli investimenti all’estero erano un veicolo di integrazione delle aree industrializzate, in primis tra i Paesi della cosiddetta Triade (Europa, USA e Giappone). Dal 2004 al 2009 si verifica invece un’inversione di tendenza: la quota assorbita dai Paesi sviluppati è andata via via riducendosi, fino a scendere al 50,8 per cento nel 2009. Nel 2010 si assiste al superamento da parte dei Paesi in via di sviluppo, che arrivano a possedere il 52 per cento delle quote totali. Come evidenziato dalla convergenza delle due traiettorie, il 2011 ha riportato ad una situazione di equilibrio, con un’affluenza di capitale nei diversi tipi di economie sostanzialmente uguale.

Fig.3.8 – Quote detenute dai Paesi avanzati e dai Paesi in via di sviluppo sul totale dei flussi mondiali di IDE in entrata, 1970-2011, (valori in percentuale).

Fonte: UNCTAD, basato su FDI stocks and flows database, 2012 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100

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Volendo considerare eventuali le tendenze future, le previsioni dell’UNCTAD ipotizzano per il triennio 2012-2014 una supremazia dei Paesi in via di sviluppo: Cina, India, Indonesia e Brasile in particolare, arriverebbero a guidare la classifica delle maggiori host economies. Sul fronte delle traiettorie geografiche, l’Unione Europea assorbe oltre 420 miliardi di dollari, arrivando quindi ad attirare circa i due terzi degli IDE in entrata (Fig. 3.9). Questo flusso è stato generato principalmente grazie alle M&A delle imprese multinazionali estere. Tra i principali fattori che hanno portato alla realizzazione di acquisizioni si possono identificare ristrutturazioni aziendali, operazioni di stabilizzazione e razionalizzazioni, miglioramenti nell’uso del capitale e ricerca di un abbassamento dei costi. Il resto degli IDE è orientato in gran parte verso gli Stati Uniti, anche se Paesi come l’Australia e la Nuova Zelanda attirano volumi sempre più significativi di capitali. Il Giappone, al contrario, rappresenta una destinazione meno rilevante, e vede un netto calo degli investimenti per il secondo anno consecutivo.

Fig. 3.9 – Investimenti diretti esteri in entrata verso i Paesi sviluppati, 2005-2011 (valori in miliardi di dollari)

Fonte: UNCTAD, basato su FDI stocks and flows database, 2012

All’erosione della quota detenuta dai Paesi sviluppati, corrisponde un aumento dei capitali diretti verso le economie in via di sviluppo. Le grandi imprese internazionali, spinte dalla volontà di rimanere competitive nelle reti di produzione globali, continuano a delocalizzare in queste aree geografiche, alla ricerca soprattutto di vantaggi di costo. Questa tendenza ha portato un notevole incremento nella percentuale di quota detenuta dai Paesi in via di

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sviluppo che, seppur con una dinamica altalenante, nel 2009 è arrivata a toccare il 50 per cento.

In linea generale, le economie in via di sviluppo hanno dimostrato una maggiore tenuta economica rispetto ai Paesi sviluppati. Nonostante l’avvento della crisi finanziaria infatti, esse continuano ad attirare circa la metà dei capitali globali in entrata, e nel 2011 hanno raggiunto il nuovo record di 684 milioni di dollari. Questa dinamica è stata alimentata prevalentemente dai flussi avvenuti lungo la traiettoria “Sud-Sud”, che ormai da anni rappresenta la nuova direzione degli IDE, a scapito della tradizionale direttrice “Nord- Sud”.

Scendendo nel dettaglio dei singoli Paesi, è opportuno ricordare come la crescita che ha caratterizzato l’ultimo anno sia stata guidata principalmente dagli investimenti realizzati in Asia e nel Sud America. I flussi orientati verso il continente asiatico continuano a crescere. Essi sono diretti principalmente nelle zone orientali e sud-orientali, che stanno vivendo uno sviluppo molto più rapido rispetto all’Asia del sud. Le due maggiori economie emergenti, Cina e India, vedono una crescita dei flussi di IDE in entrata rispettivamente dell’8 per cento e del 31 per cento. L’Asia occidentale, dal canto suo, assiste ad un declino, nonostante la forte crescita dei capitali diretti verso la Turchia.

Accanto alle terre asiatiche, gli investitori stranieri continuano a considerare molto attraente anche il continente sudamericano e le isole caraibiche. Grazie alla presenza di ricche risorse naturali e ad un mercato locale di consumo in continua espansione, gli IDE indirizzati verso queste Paesi sono cresciuti del 27 per cento solo nel 2011.

La classifica mondiale sui più grandi Paesi destinatari di capitali esteri conferma questa tendenza (Fig. 3.10). Tra i primi cinque classificati nel 2011, tre sono economie in via di sviluppo e, in generale, oltre la metà delle maggiori host-countries sono Paesi emergenti. Mentre USA e Cina sono riusciti a mantenere la loro posizione, alcune economie europee si sono spostate verso il basso, a favore di Paesi come Messico ed Indonesia. Quest’ultima, in particolare, nel 2010 entra in classifica per la prima volta.

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Fig. 3.10 – Flussi di IDE in entrata, i 20 maggiori Paesi destinatari, 2010 e 2011 (valori in miliardi di dollari)

Fonte: UNCTAD, basato su FDI stocks and flows database, 2012

In definitiva, nonostante i Paesi sviluppati rappresentino ancora la principale origine e destinazione degli investimenti diretti esteri, le economie emergenti stanno guadagnando terreno. Soprattutto sul fronte dei capitali in entrata, esse possiedono un potenziale di attrazione molto forte e, per certi versi, maggiore rispetto alle economie mature, tanto che i Paesi in via di sviluppo possono ragionevolmente essere considerati un concorrente temibile nella gara per la conquista dei capitali esteri.