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Network, servizi e territorio

Alcune delle domande della intervista miravano a capire che tipo di integrazione esisteva tra territorio e individuo.

La relazione tra persona e contesto che abbiamo analizzato e che abbiamo cercato di conoscere è stata soprattutto quella legata al livello di appartenenza al proprio paese e abbiamo voluto anche cercare di comprendere, attraverso alcune domande il livello di soddisfazione riguardo i servizi pubblici e la possibilità di accedervi.

Iniziamo parlando del network ovvero di che tipo di legami sociali le persone che abbiamo intervistato avevano e che tipo di ruolo questi svolgevano nella vita dell’individuo. In particolare ci siamo soffermati sulla famiglia e sul ruolo che questa svolgeva nella loro esistenza senza però forzare e fare domande dirette e/o specifiche, se non inizialmente.

Se per tutto il resto delle domande è stato piuttosto semplice riuscire a registrare le risposte e capire a fondo le interpretazioni e le sfumature, questo non lo è stato per quanto riguarda tale argomento.

Le risposte sono state quasi in ogni caso molto brevi e legate alla situazione lavorativa dei due genitori senza entrare, se non raramente, nella sfera relazionale e affettiva. È risultato difficile decodificare queste risposte ma allo stesso tempo abbiamo ipotizzato che la motivazione potesse essere trovata nel fatto che tutte le persone intervistate, tranne due, nel momento del colloquio erano già molti anni che vivevano soli e fuori dalla casa dei familiari. Questo ha probabilmente significato che nel momento stesso in cui stavamo parlando, il ruolo svolto dal genitore nella vita del figlio non era particolarmente penetrante.

Nel complesso, nessuno ha parlato dei genitori affrontando argomenti come la scuola, la decisione di cercare lavoro, l’abitare in autonomia, come se non vi fosse effettivamente nessun ruolo direttamente giocato dagli stessi.

La percezione è stata quella di una forte indipendenza in ognuno di loro, in molte interviste si registra che le persone coinvolte nella ricerca non avrebbero cercato aiuto nei genitori nel momento di necessità né per motivi economici né per motivi di supporto morale. Piuttosto, si sarebbero confrontati con il compagno o la compagna per chi li aveva e nel caso delle persone facenti parte del programma NAV spesso si registra che avrebbero parlato con gli operatori, i quali, sembravano svolgere un ruolo importante anche a livello relazionale e di fiducia. Questo è

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stato confermato anche dagli stessi operatori i quali svolgono ruoli diversi ed hanno formazione professionale distinta, tra di loro, non mancano gli psicologi disponibili a confronti e discussioni individuali quotidianamente.

Durante le interviste inoltre, un dato rilevato è stata la numerosa quantità di casi in cui i figli non ricordavano il lavoro dei genitori (questo è accaduto solo nei casi in cui questi erano separati) o il loro titolo di studio e avevano difficoltà nello spiegare con certezza il ruolo che il genitore svolgeva nel contesto lavorativo.

Altri due aspetti che abbiamo potuto registrare nonostante l’impossibilità di andare a fondo su alcuni argomenti, sono stati i vari casi di genitori divorziati e nuovi nuclei ricostituiti, la facilità di queste persone nonostante alcune di loro molto giovani nello spostarsi sul territorio cambiando abitazione e vivendo lontano dai familiari.

Per quanto riguarda il primo aspetto, sono 4 gli intervistati che dichiarano apertamente di avere i genitori divorziati i quali, hanno ricostituito una nuova famiglia, spesso con figli. Come affermato sopra in questi casi di frequente non si ricordava con precisione la professione di almeno uno dei genitori, in particolare del padre.

Questo ci permette di ipotizzare che i legami fossero piuttosto deboli con contatti sporadici. A conferma del principio di indipendenza che sembra ben evidente, sempre letta in connessione con i legami familiari, 5 persone su 10 vivevano ad almeno quattro ore di macchina dai genitori ma questo, considerato il modo in cui ne hanno parlato e la normalità che sembra coinvolgere questo tipo di cambiamento non sembrava essere in nessun modo problematico e ci permette anche in questo caso di supporre che non siano legami caratterizzati da una elevata dipendenza. Ci dirigiamo adesso verso l’analisi correlata alla percezione e l’integrazione degli individui dei servizi sul territorio. Nel questionario avevamo deciso di inserire una domanda che riguardava i servizi pubblici del territorio con il desiderio di raccogliere informazioni e percezioni riguardo gli stessi, la possibilità di accedervi, gli interventi, i differenti programmi tra i vari comuni. Ognuno di loro, almeno una volta, ha avuto a che fare direttamente o indirettamente con i servizi pubblici che si occupano della disoccupazione per questioni che li riguardavano in prima persona oppure per questioni familiari.

In questo caso non abbiamo nessuna differenza di opinione, vi è una totale convergenza nell’affermare che “i servizi funzionano perfettamente, non potremmo chiedere di più,

attraverso i loro interventi danno a tutti la possibilità di vivere in modo dignitoso e la facoltà di scegliere e di avere uguali possibilità”.

Questa frase raccoglie le opinioni di tutti gli intervistati, anche se, durante i colloqui sono emerse alcune criticità. La permanenza sul territorio norvegese ci ha dato modo di interagire, oltre che con gli intervistati, anche con persone non direttamente connesse alla ricerca e con

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ruoli differenti, generalmente, sono emersi pareri discordanti riguardo coloro che partecipano ai programmi e agli schemi di disoccupazione proposti dal NAV. La popolazione infatti sembra dividersi tra chi sostiene la politica dei servizi sociali e per la disoccupazione e i provvedimenti previsti e coloro che invece non sono concordi con la politica che prevede l’intervento attraverso cui si sostiene economicamente e in modo spesso continuativo alcuni individui. Gli intervistati, tra cui operatori, professori universitari e i giovani coinvolti, raccontano dell’esistenza di una certa stigmatizzazione per i ragazzi e gli adulti che sfruttano in modo poco responsabile i servizi proposti, vengono definiti “Naveer”, e sono descritti come persone pigre, che non hanno voglia di entrare a far parte della forza lavoro del paese e che per anni riescono ad “ingannare” il sistema. Esistono addirittura parodie e filmati online che tentano di denunciare e denigrare tali soggetti.

Durante un intervista uno degli operatori e responsabili del Team Young del Nav di Grimstad sostiene al riguardo che “è normale che vi sia anche chi inganna in una società, ma sono casi

molto limitati e cerchiamo di tenerli sotto controllo per evitare spiacevoli disguidi, spesso sono persone particolarmente deboli e con problemi di vario tipo”. Qualcun altro invece non accetta

che “ debba essere proprio io a pagare la pizza del sabato sera a queste persone che non hanno

voglia di fare niente e continuano ad essere finanziate dallo stato”.

Si rileva quindi una forte differenza di idee all’interno della popolazione rispetto ai diritti propri di alcune persone di accedere ai benefit e ai sussidi.

Allo stesso momento però durante le nostre interviste, è emerso che ognuno dei ragazzi è assolutamente soddisfatto e integrato con i servizi sul territorio. Nonostante questo, alcuni hanno fatto notare come vi siano differenze notevoli tra un comune e l’altro a livello di efficienza, tanto che, una delle ragazze coinvolte riporta di essersi trasferita da un paese vicino ad Oslo fino a Grimstad perché non riusciva ad accedere ai servizi. Si lamentava del fatto che quando i comuni hanno molti abitanti come per esempio quello di Oslo, l’efficienza sembra essere assolutamente minore e in molti rimangono esclusi dai sostegni.

Non vi sono differenze di opinione riscontrate tra chi ha fatto poco uso dei servizi pubblici e chi invece ne ha usufruito di più, anzi, nel primo caso tutti credono che sia fondamentale dare la possibilità a tutti di partecipare alla vita lavorativa e economica del paese.

Per concludere, sembra che per molti individui i servizi pubblici abbiano un ruolo determinante e che in molti casi orientino la loro vita, sia che gli stessi ne facciano uso in prima persona che invece sia la famiglia ad averne necessità, la quale condizione, per un certo periodo di tempo, influenza anche la sfera di vita del figlio, almeno fino a che quest’ultimo abita nella stessa casa. Per quanto riguarda il territorio una delle ultime domande del questionario aveva lo scopo di conoscere che tipo di legame esisteva tra l’intervistato e il suo paese, se in qualcuno di loro vi

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fosse la voglia o la curiosità di vivere altrove e se per motivi di disoccupazione avrebbero preso in considerazione di abbandonare la Norvegia.

Anche in questo caso le risposte sono state tutte molto simili tra loro senza distinzione tra occupati e disoccupati, maschi o femmine, giovani o giovani adulti.

Tutti, tranne la ragazza che frequentava l’università in Italia, hanno risposto dicendo che non avevano mai pensato di lasciare la Norvegia, in molti però avevano messo in conto la possibilità di spostarsi all’interno del territorio, sia chi già lo aveva fatto sia chi ancora non si era spostato dal paese natale. “Quello che questa terra ci offre non credo sia possibile trovarlo altrove,

andrei a visitare altri paesi vivendoci per un breve periodo, per curiosità e voglia di viaggiare ma non credo che riuscirei mai a rimanerci. Le istituzioni sono in grado di farci vivere bene e quando leggo i giornali e le notizie sull’Europa me ne convinco ancora di più” ha affermato

una ragazza laureata. Un ragazzo disoccupato invece sosteneva che “ nonostante io non abbia

lavoro in questo momento, sono assolutamente sicuro del fatto che non lascerei la mia terra. Qui si vive bene e non ho paura del futuro, a breve troverò lavoro e sarò in grado di cavarmela come fanno tutti. Non posso lamentarmi di niente”.

La risposta è stata sempre data con convinzione e senza particolari perplessità, non mettendo mai in discussione quello che li circondava e non dubitando mai di poter rimanere disoccupati a lungo.

L’affezione al territorio quindi, è stata registrata come molto alta e la fiducia riposta da ognuno nella propria terra e nelle proprie istituzioni piuttosto caratteristica, soprattutto, per quanto riguarda coloro che in quel momento avevano più difficoltà economiche e lavorative. Nonostante l’evidente attaccamento e radicamento al territorio nessuno degli intervistati era particolarmente attivo e nel corso della vita aveva mai fatto parte di associazioni o si era dedicato al volontariato.