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Errore in medicina: le dimensioni del fenomeno

Le fonti scientifiche internazionali, in media nei rapporti istituzionali in diversi Paesi indicano che la sicurezza de pazienti è un problema in tutti i sistemi sanitari avanzati. Questo è sottolineato anche dai più recenti atti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 2001) che pongono questo tema tra quelli per i quali è opportuno un intervento dell’organizzazione stessa. Anche nel nostro paese da qualche tempo si è aperto a livello politico e in ambito sanitario un rilevante dibattito su questi temi. Non vi è dubbio che molti pazienti siano danneggiati nel corso delle attività sanitarie, ma non è facile giungere ad una valutazione complessiva del problema. Le fonti informative in merito sono molteplici e difficilmente integrabili e indagini volte specificamente alla misurazione del rischio per i pazienti sono comparse solo recentemente e risultano, in ogni caso, difficilmente comparabili. Ciò che emerge è che, comunque, gli eventi avversi sono in numero molto maggiore rispetto a quanto si immagini: nei Paesi dove si sono compiuti studi approfonditi sul fenomeno, i dati rilevati sono stati così significativi da attivare immediatamente meccanismi di controllo e correzione, o meglio, di gestione del rischio. I punti di riferimento sulla dimensione del problema sono rappresentati dagli studi comparsi nella letteratura scientifica internazionale negli anni ’90. Il primo e a tutt’oggi il principale è l’Harvard Medical Practice Study pubblicato nel 1991. Per queste indagini sono state analizzate le cartelle di pazienti ricoverati in diversi ospedali dello Stato di New York nel 1984. I risultati hanno mostrato un incidenza di eventi avversi, definiti come “danneggiamenti causati dal trattamento sanitario che abbiano determinato un prolungamento della degenza o della disabilità persistente al momento della dimissione”, pari al 3,7% dei ricoveri analizzati. Nello 0,7% dei casi tali eventi erano esitati in una disabilità permanente o nel decesso del paziente. Questi dati sono stati in qualche modo confermati da uno studio successivo condotto dal Veterans Affair Department, dipartimento governativo particolarmente attivo sul tema della sicurezza dei pazienti. Questo studio, condotto in modo prospettico attraverso la tecnica dell’Occurrence Screening, ha rilevato un incidenza di eventi avversi variabile tra l’1,7% e il 7,9%

servizio sanitario britannico (NHS) (Vincent, 2001) nel quale l’incidenza di eventi avversi è risultata pari al 0,8%. Nell’1,48% dei casi degli esiti sono stati la disabilità grave o la morte. Anche in questo caso si è trattato di uno studio retrospettivo basato sull’analisi delle cartelle cliniche anche se il numero delle cartelle esaminate è notevolmente inferiore rispetto ai precedenti studi. Nonostante la revisione delle cartelle sia a tutt’oggi la principale metodologia applicabile per ottenere una valutazione quantitativa del problema, essa presenta alcuni limiti. Trattandosi, infatti, per lo più di indagini retrospettive e comunque basate sulla revisione delle cartelle cliniche è possibile che la qualità della documentazione e i criteri di selezione utilizzati portino a sottostimare le dimensioni del fenomeno. Un ulteriore limite è determinato dal fatto che la ricerca di eventi avversi fa riferimento a casi in cui c’è stato un danno per il paziente; in realtà il problema del rischio clinico è più vasto e riguarda tutti i casi in cui un evento si è verificato, indipendentemente dal fatto che abbia avuto o meno conseguenze per il paziente. La valutazione dell’incidenza degli eventi senza esito e dei near miss (quasi-eventi) non è possibile mediante la consultazione della documentazione clinica. Eppure, come industria aveva già appreso negli anni ’40 i danni gravi non sono altro che la punta di un iceberg, come rappresentato dalla proporzione di Heinrich (Figura 25).

Figura 25: La proporzione di Heinrich degli incidenti

Al momento non esistono studi che possano confermare o escludere questa proporzione in ambito sanitario. Alcuni studi osservazionali condotti, pur limitati per problemi di costi e di metodo, hanno cercato di individuare, oltre agli eventi che comportavano un danno, anche gli “errori” senza esito. Tali studi hanno mostrato incidenza di “errore” molto

elevate rispetto agli studi presentati precedentemente; uno studio sull’attività chirurgica di un ospedale di Chicago (Andrews, 1997) ha indicato che il 45,8% dei pazienti ha subito una “decisione sbagliata” da parte dell’equipe clinica. Un alro studio condotto mediante l’osservazione dell’attività di una unità di terapia intensiva (Donchin, 1995) ha rilevato 554 errori in 4 mesi, pari al 1,7 errori per paziente al giorno. Altri fattori di rischio sono rappresentati dalle procedure chirurgiche cardiotoraciche, vascolari e neurochirurgiche, dalla gravità della patologia e dell’intensità delle cure, dalla degenza in unità di terapia intensiva e dalla durata complessiva della degenza (il rischio di evento avverso aumenta del 6% per ogni giorno di degenza). Nella Tabella 9, vengono riportati i dati relativi al tipo di evento registrato nell’ambito dell’Harvard Study (Leape, 1991). I dati degli studi effettuati mettono in evidenza che in ambito sanitario non esistono aree di attività a “rischio zero”; ne esistono peraltro alcune particolarmente interessate da eventi avversi. Lo studio di Vincent indica in particolare che il 32% degli incidenti avvengono nelle sale operatorie, il 26% nei reparti di degenza ed il 22% nei servizi di pronto soccorso.

Eventi legati ad interventi chirurgici

- Infezioni alla ferita - Complicanze tecniche - Complicanze tardive - Complicanze non tecniche - Insufficienze chirurgiche Eventi in ambito non

operatorio - Correlati a farmaci - Errori diagnostici - Errori terapeutici - Correlati a procedure - Cadute

- Fratture (non operatorie) - Post-partum (non cesareo) - Correlati ad anestesia - Neonatali

- Sistemia ed altro Tabella 9: Classificazione degli eventi avversi (secondo l’Harvard Study).

Oltre agli studi epidemiologici un’ulteriore fonte di dati, spesso utilizzata per quantificare il fenomeno dei danni derivanti da trattamenti sanitari, rappresentata dalle denunce inoltrate dai pazienti nei confronti dei medici e strutture sanitarie. Le cifre che emergono però, per quanto indicative dell’estensione del fenomeno, non hanno una corrispondenza diretta con la reale incidenza di eventi avversi. Diversi studi sono stati effettuati in tal senso ed hanno dimostrato che generalmente solo una piccola percentuale di pazienti danneggiati intenta una causa, mentre sono spesso accordati indennizzi non dovuti ad eventi di malpractice (Studdert, 2000; Chackraverty, 2001).