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Il RM e aziende sanitarie, il fascino del rischio

Il tema della gestione del rischio in sanità deriva da un intreccio di fattori la cui evoluzione ha contribuito non poco alla situazione attuale, fattori che possono essere ricondotti a due grandi direttrici:

1) la crescita tendenzialmente maggiore all’autonomia e della responsabilizzazione dell’utenza, sempre più direttamente coinvolta negli aspetti relativi alla tutela della propria salute e sempre più attenta alla valutazione della qualità delle modalità operative di strutture ed operatori sanitari;

2) la dinamica dei comportamenti e delle scelte delle strutture sanitarie e delle compagnie assicuratrici che evidenzia una generalizzata situazione in cui non è chiara la stessa definizione del tema del rischi in sanità.

La responsabilità dell’errore in medicina è imputabile a cause legate al fattore umano, alla qualità tecnica della prestazione medica, all’organizzazione dei sistemi aziendali, ai percorsi di diagnosi, cura o assistenza. Non è detto, quindi, che chi commette l’errore sia il maggior responsabile. Per evitare quanto più possibile gli errori medici è necessario pertanto pianificare un corretto equilibrio fra l’attenzione agli individui e l’attenzione ai sistemi sanitari. È d’altro canto importante comprendere – sia da parte dei medici che dei pazienti – che la medicina non è una scienza esatta, tanto nella diagnosi quanto nella terapia, e ha un valore probabilistico che trova fondamento nella casistica. Questo significa che non esiste il rischio zero e che qualsiasi intervento medico può comportare un certo grado di rischio.

Ma quali sono i reparti più a rischio? Al primo posto c’è la sala operatoria (32%), il reparto di degenza (28%), il dipartimento d’urgenza (22%) e l’ambulatorio (18%). Le quattro specializzazioni più a rischio, secondo il Tribunale dei Diritti del Malato (TDM), sono l’ortopedia e la traumatologia (16,5%), l’oncologia (13%), l’ostetricia e la ginecologia (10,8%) e la chirurgia generale (10,6%). Mentre gli errori medici più frequenti, segnalati sempre dal TDM, sono: diagnosi sbagliata e conseguente terapia inefficace, somministrazione errata di farmaci per grafia poco comprensibile, scambio di paziente da operare, amputazione dell’arto sbagliato, smarrimento o confusione di esami, garza o il bisturi “dimenticati” nel torace del paziente, caduta accidentale dal paziente dal letto o dalla barella, anestesia mal dosata, con effetti letali, infezioni contratte per inadeguata sterilizzazione degli strumenti o per scarsa igiene, ritardo nei soccorsi, guasto di una macchina proprio nel momento in cui il suo funzionamento è vitale, equivoci nella comunicazione tra medico e paramedico sulla procedura da seguire, scarsa attenzione alla comunicazione nei confronti del paziente (consenso informato).

Sulla base di quanto riportata in letteratura, è fondamentale l’analisi dell’efficacia di un sistema di gestione del rischio clinico che si commisuri in:

Il cambiamento della concezione dell’errore: non più visto come fallimento individuale, ma come occasione di miglioramento per l’intera organizzazione; L’adozione di strumenti idonei per la rilevazione e l’analisi di rischi, per il loro

trattamento ed infine il monitoraggio nel tempo;

Inoltre non dovremmo analizzare gli errori in senso punitivo, ma per impedirne la ripetizione è necessario,come in ogni altro settore, imparare da essi. In questo senso, l’aderenza alle linee guida Evidence-Based, diventare largamente disponibili, è la salvaguardia migliore contro gli errori medici. In generale però si sta assistendo anche ad un incremento delle cause contro i medici di medicina generale al punto di spingere alcuni di loro a rifiutare i ricoveri esterni. “Negli ultimi anni le controversie per malpractice o per errori professionali venivano sollevate quasi esclusivamente nei confronti degli specialisti. Si registra ultimamente un trend al rialzo anche per le cause contro i medici di famiglia. In medicina, come in ogni settore, ci sono errori evitabili: impossibile azzerare questo rischio.

L’uomo sbaglia ma può essere aiutato dalle procedure e dall’organizzazione a ridurre sempre di più questo rischio”. “Per evitare gli errori nel mondo sanitario la vera sfida è

fare prevenzione; gli strumenti ci sono, servono seri investimenti da parte delle aziende sanitarie per mettere in sicurezza gli ospedali”.

Ma mentre si cerca di uscire dall’impasse, le cause pendenti nelle aule giudiziarie italiane nei confronti dei medici per presunti errori sono un dato di fatto. Non ci sono anche su questo fronte stime ufficiali, ma si parla di più di 12 mila cause l’anno. La richiesta di risarcimento danni – secondo i dati dell’Associazione Nazionale Imprese Assicuratrici (ANIA), l’associazione che rappresenta le imprese assicuratrici – ammonta a 2,5 miliardi di euro l’anno.

Cifre che dimostrano come i pazienti abbiano cambiato atteggiamento rispetto al Sistema Sanitario e si pongano oggi come clienti, e molto esigenti.

Talmente esigenti che gli assicuratori hanno reagito aumentando i premi: ad esempio, per un ospedale con un bacino d’utenza di 50 mila persone la polizza si aggira intorno ai 750 mila euro, per le strutture più grandi si arriva a 1-2 milioni di euro l’anno.

Nel 2000 i premi raccolti dalle 92 compagnie operanti nella responsabilità civile generale sono stati pari a circa 2 miliardi di euro l’anno, ossia il 7,3% dell’importo totale dei premi raccolti nel settore danni (pari a circa 27 miliardi di euro). A fronte di una raccolta premi annua per responsabilità civile dell’area sanitaria di circa 175 milioni di euro (9% del totale dei premi raccolti nel ramo R.C. generale), le compagnie hanno sborsato 413 milioni di risarcimenti19.

Come dire che, per ogni 100 delle vecchie lire di premi incassati, le imprese di assicurazione hanno pagato più del doppio per sinistri. E sembra che questo rapporto sia

19 Fonte dati: ANIA e CNEL.

passato, dal 2000 al 2002, addirittura a una proporzione di 1 a 3 chirurghi plastici, ginecologi e gli anestesisti sono le categorie che pagano i premi assicurativi più alti. Seguono i cardiologi e i neurochirurghi, gli ortopedici e i medici di chirurgia generale costretti a pagare, ad esempio nel caso dei ginecologi, circa 5 o 6 mila euro l’anno di assicurazione. Insomma un quadro a tinte fosche che non trova il placet di alcuni camici bianchi. “Nessuno può sapere con certezza quante sono le cause, si tratta solo di stime” – ha commentato Maurizio Maggiorotti, Presidente dell’AMAMI, (Associazione dei Medici Accusati di Malpractice) – perché tutte le denunce finiscono nel calderone degli omicidi e lesioni colpose, come i morti sulle strade. L’associazione ha chiesto inutilmente ai presidenti dei tribunali di estrapolare questi dati”. Ma in questo campo tutto è nebuloso. Ogni tipo di richiesta di risarcimento segue strade diverse, penale, civile o extragiudiziaria.