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La gestione del Rischio Clinico

La gestione del rischio clinico è un processo sistematico di identificazione, valutazione e trattamento dei rischi attuali e potenziali. Ha l’obiettivo di aumentare la sicurezza dei pazienti, migliorare l’outcome ed indirettamente ridurre i costi, riducendo gli eventi avversi prevedibili. Ha quindi a che fare con la legalità e l’accettabilità tecnica dei trattamenti sanitari. A questo scopo è necessario che le organizzazioni sanitarie, come da tempo avviene nelle industrie degli altri settori, come quello petrolchimico o nell’aviazione, analizzino gli eventi avversi utilizzando tecniche di indagine rigorose, per giungere a rimuovere gli errori di sistema che sono alla base di tali eventi. La funzione di gestione del rischio clinico fornisce all’organizzazione le informazioni necessarie per “imparare dagli

errori”. La sfida per le strutture sanitarie orientate a miglioramento è quella di adottare

questi strumenti alla prevenzione degli errori nei percorsi diagnostico-trapeutici:

1. Approccio assicurativo: ridurre il contenzioso per ridurre i costi dei risarcimenti; 2. Approccio clinico: aumentare la sicurezza del paziente e migliorare la qualità

dell’assistenza.

Con quale risultati? L’implementazione di una funzione di gestione del rischio clinico è indubbiamente costosa ed è necessario chiedersi quali siano i risultati a fronte di tale investimento.

Per la gestione del rischio clinico sulla base dell’esperienza maturata nel campo della sicurezza e dell’affidabilità dei sistemi in questi ultimi trent’anni, è necessario un intervento cosiddetto “sistemico”. L’evoluzione delle tecnologie biomediche, la disponibilità di nuovi e potenti farmaci, lo sviluppo di presidi e strumenti, hanno avanzato enormemente il limite dell’operabilità, consentendo oggi interventi fino a pochi anni fa impensabili. Il conseguente aumento della complessità ha indotto all’utilizzo di sempre più

complessità porta inevitabilmente anche a un aumento dei rischi correlati. Da qui l’esigenza sempre maggiore di verifiche e controlli sulle tecnologie, ma anche sulle procedure, sull’organizzazione del lavoro, sulla formazione, etc16.

Figura 18: Gestione del rischio clinico: le fasi

Il processo lavorativo deve essere visto secondo un sistema complesso costituito da diverse componenti: uomo, artefatti con cui reagisce, procedure e modalità che regolano tali interazioni all’interno di un determinato ambiente.

La soluzione alla fallibilità umana stava quindi in un sempre migliore addestramento e formazione da un lato, e un maggior numero di regolamenti e procedure, atte a garantire un corretto e sicuro svolgimento del lavoro, dall’altro. D’altra parte si è consapevoli che finché l’uomo fosse stato presente in un sistema l’errore sarebbe stato possibile. Il contesto in cui l’evento si è verificato rientra nell’analisi dei problemi di relazione tra l’operatore ed i diversi elementi che costituivo l’ambiente in cui si trova ad operare.

L’approccio sistemico considera e cerca di integrare in un unico quadro concettuale il

software (le regole e procedure di lavoro); l’hardware (strumenti, attrezzature, tecnologie);

l’environment (ambiente fisico sociale, politico etc.); il liveware (fattore umano nei suoi aspetti relazionali e comunicazionali), Figura 19.

16 Rambaldi M., Novaco F., Incident reporting in anestesia - Rischio e sicurezza in sanità- Bologna Novembre 2004.

Figura 19: Modello SHELL sviluppato secondo Hawkins

Questo modello allarga quindi la concezione del “fattore umano” alla relazione tra operatore e il contesto. Lo studio degli incidenti nei sistemi complessi ha messo in evidenza che spesso l’errore o la sua origine si collocava a un livello diverso rispetto sia all’operatore sia alla relazione dello stesso con gli elementi esterni. In particolare gli esperti di sicurezza si sono resi conto che gli errori umani erano conseguenze di cause remote che si articolavano attraverso dinamiche complesse e che si collocano negli elementi del sistema più lontani dal livello operativo.

Le azioni che si possono attuare all’interno di questo modello di intervento sono finalizzate alla riduzione degli errori umani sia in una ottica di tipo reattivo che proattivo.

Tutte queste modalità di analisi fanno parte del curriculum formativo dell’esperto in

Human Factor17 ed è forse per questo che il professionista con le maggiori competenze si occupa di Clinical RM.

17 La Figura professionale dell’ergonomo (o esperto in human factor) per la sua formazione interdisciplinare è forse quella che interpreta nel migliore un approccio di tipo sistemico per la gestione del rischio clinico. Allineandosi ad altri paesi europei e agli US, in Italia è oggi attiva una laurea specialistica in Ergonomia presso l’Università di Trieste, una laurea in Disegno industriale con orientamento in ergonomia del prodotto presso il Politecnico di Milano, master in ergonomia sono svolti presso le Università di Torino, Palermo, Siena e Politecnico di Milano. Cattedre ed insegnamenti di ergonomia sono inoltre presenti in numerosi corsi di laurea in ambito politecnico, biomedico e psico-sociale.

La sua attività deve essere comunque ovviamente supportata da tutti gli specialisti medici che forniranno la loro competenza per l’analisi degli eventi avversi e delle possibili soluzioni (cambiare le procedure, acquisire nuove tecnologie, addestrare il personale). E’ peraltro necessario che del gruppo di professionisti che costituiscono l’unità di gestione del rischio clinico facciano parte, seppure non in pianta stabile, alcuni clinici di provata esperienza e con un training in clinical RM. La gestione del rischio clinico deve partire dall’analisi del tipo di errori generalmente commessi. Nolan ha determinato le probabilità di errore per vari tipi di azione, l’organizzazione dei turni di lavoro e lo stress occupazionale sono tra le condizioni che presentano il maggior rischio.

In generale, gli errori da disattenzione, dimenticanza sono quelli tipici di chi ormai ha una buona esperienza di lavoro e molte delle azioni che svolge sono del tipo skill based (l’abitudinarietà di svolgerle riduce l’impegno cognitivo nell’esecuzione). Questa condizione può favorire gli errori tipo slip.

Al contrario, gli errori conseguenti a pianificazioni sbagliate per difficoltà a trovare delle soluzioni ad hoc dettate dall’esperienza (knowledge mistake), sono più probabili per chi ha una minore esperienza lavorativa.

Per quanto invece concerne gli errori basati sulle regole (rule mistake), conseguenti all’aver scelto una regola sbagliata sebbene applicata correttamente oppure giusta ma applicata in modo scorretto, il rapporto con l’esperienza ha un andamento a campana (Figura 20). La probabilità di errore in questo caso aumenta in una prima fase con l’accrescersi della pratica professionale per poi cominciare a decrescere

L a p ra tic a m o d ific a il tip o d i e rro ri P ro b a b ilità d i e rro re L iv e llo d i p ra tic a K n o w le d g e -b a s e d S k ill-b a s e d R u le -b a s e d