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di Lara Fontanella e Simone Di Zio

5. Gli aspetti socio-anagrafic

5.2. L’età e lo stato civile

Per quel che attiene la seconda variabile – l’età – emerge che il collettivo è anagraficamente “maturo”: il 3,9% supera la soglia dei 60 anni; il 36,9% si colloca, invece, nella fascia d’età 40-60 anni.; il 34,9 in quella fra i 30 e i 40 anni; solo il 24,3% è decisamente più giovane (fra i 20 e i 30 anni).

Ad una lettura più analitica, mettendo in rapporto l’età con la prove- nienza delle immigrate intervistate, emerge che le nord-africane, le asiati- che e le balcaniche presentano la struttura più giovane. Fra le ultratrentenni, la percentuale più alta si rinviene, invece, fra le immigrate dai Paesi dell’Africa sub-sahariana, seguite dalle sudamericane, dalle balcaniche e dalle est-europee. Il maggior numero di ultraquarantenni riguarda nuova- mente le africane (in questo caso quelle del Nord-Africa) e, poi, le immi- grate dall’Europa occidentale, dall’Asia, dall’Europa orientale.

Tab. 3 – Composizione per classi di età e aree di provenienza Classi d’età Europa occidentale Europa orientale Balcani Nord Africa Africa sub- sahariana Asia Sud America Tot. 1931-1950 33,4 3,9 4,2 -- -- 6,2 -- 3,9 1951-1960 -- 21,1 10,5 13,0 -- 6,2 13,0 12,6 1961-1970 33,3 26,3 30,0 39,1 22,2 31,3 26,1 24,3 1971-1980 33,3 35,5 36,6 13,0 55,6 25,0 39,1 34,9 1981-1990 -- 13,2 27,7 34,9 22,2 31,3 21,8 24,3 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 100,0 I dati proposti sembrano nuovamente ribadire la presenza di significativi sistemi di reti o, comunque, di percorsi di attrazione tra alcuni Paesi di pro- venienza e alcune aree di presenza4; nonché suggerire la stabilità di nazio-

nalità che si consolidano negli anni anche a seguito del ricongiungimento

3 È il 43,1% che segnala una mobilità comunque interna alla regione.

4 Non di rado la scelta dell’Italia è puramente strumentale, come può evincersi

dall’affermazione di Tanya, proveniente dall’Ecuador che dice: «Ho scelto l’Italia sempli- cemente perché era il Paese più vicino alla Svizzera dove mi ero trasferita in prima battuta e anche perché qui c’era un’amica su cui potevo appoggiare».

familiare. Quest’ ultima valutazione sembra trovare una conferma nella cir- costanza che il 69,2% delle intervistate ha un partner. La maggior parte, in- fatti, è coniugata o convivente: è questa la condizione rispettivamente del 59,1% e del 10,5% del collettivo. Le nubili, le separate, le divorziate e le vedove costituiscono, invece, rispettivamente il 15,8%, il 3,2%, il 6,1% e il 5,3% del campione e, presumibilmente, hanno legato ai progetti migratori l’opportunità di contenere i disagi e le situazioni di precarietà che seguono al trauma della perdita del partner o a matrimoni che finiscono drammati- camente5.

A tale proposito alcune intervistate hanno precisato che l’espatrio ha co- stituito per loro la fuga da mariti violenti, maneschi, brutali o manifesta- mente irresponsabili, come emerge da queste due testimonianze:

Venivo da una famiglia felice, poi mi sono sposata e ho avuto due figli. Il mio matrimonio era un vero problema, difficile soprattutto per i miei figli. Mio marito era un uomo violento e quando la situazione è peggiorata ho deciso di lasciarlo e di anda- re a vivere con mio padre. Ho cominciato a lavorare come infermiera, poi il peggio- ramento del rapporto con mio marito mi ha costretto a lasciare il Paese [...]. Un gior- no sono stata aggredita all’uscita della scuola dove ero andata a riprendere i figli. Ero insieme a mio padre. Lui mi ha ridotto male e ha aggredito anche mio padre, portan- domi via i figli [...]. Dovevo fuggire da mio marito. Portare i figli in salvo. L’Italia era il Paese più vicino e per venire qui potevo contare su un aiuto [...]. Mia madre si era già stabilita in Italia da qualche anno con mio fratello e mia sorella. (B. albanese)

Sono nata e cresciuta a Stettino in Polonia [...]. Ero sposata con un insegnante di geografia con il quale ho fatto due figlie. Io ho fatto più lavori presso diverse ditte, l’ultima era una ditta di pubblicità, ma mi hanno licenziato quando avevo trentacinque anni per loro problemi economici. È diventato sempre più difficile trovare lavoro nella mia città. Nello stesso periodo è fallito il mio matrimonio per- ché mio marito si è dimostrato un irresponsabile e incline all’alcol [...]. Era aggres- sivo quando beveva e lo faceva sempre più spesso [...]. Nel mio Paese molte donne hanno vissuto una situazione simile, anzi anche peggiore. Purtroppo in Polonia esi- ste questo problema, è inutile negarlo e molte donne si ritrovano dopo anni di sop- portazione a dover prendere drastiche decisioni di vita, come emigrare o cambiare città [...]. Ho divorziato tre anni fa, ma erano già molti anni che eravamo separati in casa, non ho più recuperato un rapporto con lui perché è rimasto un “bimbo”, non riusciva a prendersi le sue responsabilità e purtroppo aveva questo brutto problema con l’alcol. Quindi mi sono trovata senza lavoro e senza marito. [...] Per mantenere le mie figlie alle scuole medie e superiori ho dovuto allontanarmi da loro e non ho

5 Rispetto alle aree di provenienza la percentuale più elevata di coniugate e di conviventi

si rinviene fra le donne che provengono dai Balcani (62,9% e 52,8%) e dall’Europa orientale (15,3% e 22,2%). Ma non irrilevante è la percentuale, sempre all’interno di queste stesse zone,delle separate (63,6% e 27,3%), delle divorziate (42,9% e 28,6%) e delle vedove (33,3% e 61,1%).

potuto seguirle nelle loro tappe di ragazze e poi di donne e questo mi procura un grande dolore. Decisi di partire per l’Italia sostanzialmente perché conoscevo già delle persone che lavoravano qui e dicevano di guadagnare bene. (A. polacca)

Per altre invece lasciare il proprio Paese ha costituito un’opportunità per girare pagina su vite mortificate, deprivate, segnate dalle unghiate di una sorte matrigna.

[...] a quindici anni conobbi mio marito e mi innamorai. Lui era bello e anche se beveva un po’ troppo spesso e diventava un po’ aggressivo, mi appariva come la persona che avrebbe cambiato la mia vita [...]. Sono rimasta subito incinta però de- vo dire che nel mio Paese è abbastanza normale e ci siamo sposati. Mio marito la- vorava in una concessionaria d’auto e per un po’ è andato tutto bene. A livello eco- nomico stavamo discretamente bene. Mio figlio cresceva normalmente. Dopo cin- que anni capii che lui iniziò a tradirmi e spesso era assente. Il nostro rapporto andò sempre peggio fino a quando lui se ne scappò con un’altra [...]. Io caddi in depres- sione, andai anche in ospedale, poi piano piano ho iniziato a reagire, pensavo che dovevo farlo per mio figlio. Ho fatto tutti i lavori possibili: donna delle pulizie, la- vapiatti, ho fatto cose anche delle quali mi vergogno, anche se le ho fatte per mio figlio [...]. Poi una donna che conoscevo al lavoro mi disse che aveva una sorella in Italia che si trovava bene lavorando in un locale notturno e guadagnava abbastanza. [...] Avevo pochi risparmi che finirono per il biglietto, non sapevo quasi niente dell’Italia, ma partii [...] (S. brasiliana)

Sono nata e cresciuta in un piccolo Paese dell’interno della Colombia. Ho avuto una vita abbastanza complicata. Sono nata da una relazione extraconiugale di mio padre, ma l’ho saputo quando ero ormai grande. Non sono cresciuta con la mia mamma biologica. È stata la moglie di mio padre a farmi da mamma, lei aveva a- vuto undici gravidanze. Mia madre era poverissima e non si poteva prendere cura di me. [...] Mio padre era un artigiano, un orafo, faceva cose bellissime, mi voleva bene [...] Lui ha portato avanti tutta la sua famiglia e ha voluto portare avanti anche me senza differenze. È morto quando io avevo solo sei anni [...]. Mia mamma mi diceva sempre, quando ero diventata grande, che il suo ultimo desiderio prima di morire era che lei si prendesse cura di me sempre, come se fossi sua figlia. E lei lo ha fatto per amore di mio padre. Quando lui è morto, noi eravamo in sei persone a casa. Mia mamma per andare avanti andava a lavare e stirare per gli altri. Io ho po- tuto studiare solo fino alla terza media. A diciassette anni sono rimasta incinta. Me ne sono andava a vivere in un altro villaggio, insieme al mio compagno. Abbiamo avuto quattro figli insieme. La mia vita con lui è stata terribile [...]. Io ero una ra- gazzina e non ero forte. Lui beveva, era sempre ubriaco e quando stava così era molto violento. La mia vita con lui è stata una vita di maltrattamenti, di botte. [...] Picchiava me e pure i figli. La mia è stata una vita di vera miseria, sotto tutti i punti di vista. Avevo così tanta paura di lui che non riuscivo neanche a reagire. Vivevo, vivevamo io e i miei figli in un terrore assurdo. Poi è arrivato il terremoto del 1998. Il terremoto ha distrutto tutto il Dipartimento. È stato allora che ho preso i miei fi- gli e me no sono tornata al mio villaggio. Ma nel mio villaggio non c’era più nien- te. Era tutto distrutto. [...] In Colombia non c’era più nulla da fare. Allora ho deciso di emigrare. Io sognavo di avere una casa per me e per la mia famiglia. Una signo-

ra del mio villaggio mi ha proposto di andare in Europa [...] mi ha detto che aveva contatti in Italia e mi poteva aiutare. Ci ho pensato un poco e poi ho deciso di ac- cettare. (D. colombiana)

Ma c’è anche chi ha lasciato il proprio Paese per amore, comprometten- do i rapporti con la propria famiglia e rinunciando ad un lavoro interessante e redditizio. A dirlo è una trentasettenne di Mosca, laureata in Architettura e ora residente a Vasto dove convive con un ingegnere italiano:

In Italia ho abitato per qualche mese a Torino, perché il mio compagno è di lì. Poi ci siamo trasferiti a Vasto per il suo lavoro e ci piace ad entrambi. Nella mia città a- vevo molte speranze, avevo un bel lavoro in Comune, il futuro era assicurato [...]. Mio padre da nove anni non mi parla, ormai da quando sono in Italia [...]. Prima di trasferirmi venivo spesso dal mio compagno a Torino, ma spendevo troppi soldi, non conveniva e quindi abbiamo deciso di stabilirci in Italia. Poi abbiamo trovato casa a Vasto, perché la Pilkington lo ha chiamato per lavorare. (E. moscovita)