di Lara Fontanella e Simone Di Zio
5. Gli aspetti socio-anagrafic
5.4. Le famiglie dell’immigrazione
Continuando nella lettura dei dati raccolti, emerge che sul versante del modello procreativo, la maggiore fertilità si riscontra fra le africane e le la- tino-americane. Tuttavia a prevalere – nel collettivo esaminato – sono le donne con uno e/o due figli, come può evincersi dalla tab. 4. Il che sembra dar ragione della circostanza che le “famiglie dell’immigrazione” non sem- brano orientate alla riproposizione dei modelli familiari delle loro culture d’origine, ma ad adeguarsi agli stili di vita italiani.
Tab. 4 – Aree di provenienza e numero dei figli. Valori percentuali
1 2 3 4 5 + di 6 Totale Europa occidentale 25,0 50,0 -- -- -- 25,0 100,0 Europa balcanica 31,5 53,4 9,6 4,1 1,4 -- 100,0 Europa orientale 49,0 31,4 15,7 3,9 -- -- 100,0 Nord Africa 18,2 45,4 18,2 18,2 -- -- 100,0 Africa sub- sahariana 11,1 66,7 11,1 11,1 -- -- 100,0 Asia 60,0 30,0 10,0 -- -- -- 100,0 Sud America 41,2 41,2 11,8 -- 5,8 -- 100,0 Totale 35,5 47,2 11,3 4,4 1,2 0,4 100,0
Le intervistate sono madri in prevalenza di bambini e di pre-adolescenti: il 60% circa dei primogeniti e dei secondogeniti ha, infatti, un’età che oscil- la da 1 a 15 anni; tale percentuale scende nel caso dei terzogeniti (48,9%), per poi risalire nel caso dei quartogeniti (64,2%). Anche la fascia adole- scenziale-giovanile è decisamente consistente. I figli ultratrentenni invece sono pochi e, ovviamente, diminuiscono con l’aumentare dell’ordine di na- scita15. Ulteriori elementi di dettaglio informano che i primogeniti sono nati
nella maggioranza dei casi nel Paese di origine; gli altri, all’opposto, in Ita- lia o addirittura nel luogo in cui le intervistate risiedono attualmente.
15 A proposito dei figli delle intervistate va precisato che la maggioranza di questi studia
Tab. 5 – Luogo di nascita dei figli primogeniti. Valori percentuali Nel Paese
di origine In un altro Paese città italiana In un’altra Nella città dove vive l’intervistata Totale
Europa occidentale 75,0 -- 25,0 -- 100,0 Europa balcanica 62,8 0,7 12,4 24,1 100,0 Europa orientale 68,6 7,8 11,8 11,8 100,0 Nord Africa 72,7 -- 9,1 18,2 100,0 Africa sub-sahariana 66,7 -- 22,2 11,1 100,0 Asia 50,0 -- 30,0 20,0 100,0 Sud America 58,8 -- 29,4 11,8 100,0 Totale 64,3 1,9 14,5 19,3 100,0
Tab. 6 – Luogo di nascita dei secondogeniti e terzogeniti. Valori percentuali Nel Paese
di origine In un altro Paese città italiana In un’altra Nella città dove vive l’intervistata Totale
Europa occidentale -- 100,0 -- -- 100,0 Europa balcanica 8,7 13,0 30,4 47,9 100,0 Europa orientale -- -- -- 100,0 100,0 Nord Africa -- -- -- 100,0 100,0 Africa sub-sahariana -- 33,4 33,3 33,3 100,0 Asia -- 50,0 -- 50,0 100,0 Sud America -- -- 33,3 66,7 100,0 Totale 5,3 15,7 23,7 55,3 100,0
Naturalmente, la nascita o la presenza dei figli nel luogo d’insediamento cambia non poco i comportamenti familiari delle immigrate «da una condi- zione di tendenziale “invisibilità sociale” (con pochi scambi con gli autoc- toni e con i servizi) alla ricerca di un rapporto più intenso con il Paese di accoglienza»16.
Io e mio marito da quando stiamo in Italia, mio marito da quasi venticinque an- ni, ci sentiamo cambiati e abbiamo perso molte abitudini. [...] Ho preso la patente, ho studiato la lingua italiana e la cucina e cerco di trasmettere ai miei figli l’importanza dello studio e dei legami familiari. Ai miei figli vorrei insegnare la lingua araba e i principi della mia religione, ma non è facile mettere insieme l’educazione musulmana e quella dell’Italia. [...] Il mio secondo figlio mi segue
16 Collicelli C., “La famiglia come soggetto di mediazione nei processi migratori”, in
Donati P. (a cura di), Terzo rapporto sulla famiglia in Italia, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi), 1993, p. 383.
nelle preghiere, ma la mia figlia più grande di undici anni non vuole seguire le no- stre regole e si scontra soprattutto col padre. Io voglio farle capire che lei non è ita- liana, ma lei non si sente tunisina. [...] (J. tunisina)
La presenza dei figli impone, infatti, la ridefinizione del progetto migra- torio e la valutazione in chiave più critica e prospettica del rapporto sia con l’ambiente di arrivo che con quello di origine. Alla tendenziale mobilità e al carattere individualistico dell’esperienza migratoria la presenza della prole mette un freno o, comunque, induce ad elaborazioni progettuali su un futu- ro che non si gioca più “in solitaria”, ma domanda assunzioni di responsa- bilità molto impegnative, ben diverse da quelle del migrante singolo che si limita a spedire nel Paese d’origine le rimesse destinate al sostegno econo- mico della sua famiglia. In questo caso la famiglia di immigrazione affronta diversamente le esigenze dei propri familiari e le responsabilità e le richie- ste della vita sociale, stabilizzando una rete di relazioni estese all’esterno, nel più ampio contesto ospitante che, progressivamente, diventa un punto di riferimento dal quale non può prescindere. A questo riguardo, non va tutta- via esclusa l’occorrenza di una doppia appartenenza culturale delle intervi- state (nel privato, il mantenimento dei legami con la cultura d’origine; nel pubblico, l’adeguamento ai modelli comportamentali della località di acco- glienza), da cui una doppia identità con bilateralità delle referenze. Con- ferma questa possibilità la testimonianza di una brasiliana ventottenne di Fortaleza, moglie di un ingegnere e madre di un bambino di due anni:
[Qui a Vasto] con mio marito [...] ci comportiamo come gli altri italiani: pen- siamo sempre positivo, cerchiamo di portare a casa qualcosa di positivo. A mio fi- glio insegnerò le regole brasiliane. So che devo tornare e quindi è inutile insegnare le regole italiane. E poi noi siamo più avanti e severi rispetto a voi e lo preferisco, quindi avrà le tipiche regole brasiliane.
I dati fin qui proposti sembrano, comunque, attestare da un lato che la fase dell’avventura migratoria delle donne giunte alla spicciolata può defi- nirsi conclusa, e dall’altro che il territorio provinciale viene vissuto in veste di area non più transitoria, ma di luogo di insediamento di lunga durata. Del resto, la stabilizzazione delle intervistate nei comuni della provincia, il ri- congiungimento di molti gruppi familiari, la costituzione di nuove unioni e la programmazione di nuove nascite testimoniano inequivocabilmente il cambio di rotta del loro obiettivo migratorio: non più o non solo quello di assicurare il sostentamento ai familiari in patria, ma quello di “sentirsi a ca- sa” anche nel territorio di arrivo, secondo – del resto – il dettato dei vari provvedimenti legislativi che si sono succeduti nel tempo per regolare i flussi migratori.
Al riguardo, anche la legge Bossi-Fini (L. n. 189 del luglio 2002), quan- tunque abbia perimetrato in modo più rigido a fronte delle leggi precedenti
i ruoli familiari che hanno diritto al ricongiungimento familiare e, dunque, limitato «il numero degli ingressi alle quote fissate a seconda della nazione di provenienza e dietro la richiesta di un datore di lavoro, ha lasciato aperta la possibilità di entrare sul nostro territorio per motivi familiari»17.
Non stupisce, pertanto, la quota decisamente alta di intervistate che pos- sono vantare una famiglia unita (71,3%), sebbene non manchino coloro che dichiarano la realtà di situazioni familiari frammentate, segnate da figli che vivono da soli18 (f.=25, p.=40,3%), oppure con parenti, familiari e fratelli
(f.21, p.=33,8%), o con il coniuge rimasto in patria19 (f.=16, p.=25,8%).
Questi casi, sebbene attestino circostanze di evidente disagio, testimoniano tuttavia l’importante funzione della struttura familiare allargata che contri- buisce alla permanenza delle intervistate nel Paese di approdo. Infatti, sen- za uno stretto rapporto di reciprocità con i familiari rimasti in patria sarebbe pressoché impossibile, in particolare per coloro che hanno prole, mettere in atto un qualsivoglia progetto migratorio. Per inciso: non si creano forti «vuoti di cura»20 a seguito della partenza delle madri, soprattutto perché si
espande il ruolo tradizionale di alcuni membri della famiglia, in particolare quello delle nonne. Sono queste, infatti, che sopperiscono in gran parte al drenaggio di cure che l’emigrazione comporta. Sono queste che si fanno carico delle «responsabilità materne per periodi più lunghi rispetto a quelli cui si era abituati, aiutano i mariti delle figlie o i figli maschi nella gestione dei nipoti e nei compiti di pulizia e cura della casa, accompagnano l’emigrazione dei nipoti, svolgono lavoro di cura transnazionale, assistendo – in caso di necessità – i familiari all’estero»21.
Ma come si accennava, nel nostro campione, le seconde generazioni im- proprie o spurie sono numericamente poco consistenti, quantunque non manchi chi fa esperienza di realtà familiari transnazionali con componenti che vivono nel Paese di origine, oppure in altri Stati (tab. 7). In questi casi le madri non trascurano di prendersi cura dei figli lontani, per esempio, at-
17 Marazzi A., “La famiglia immigrata”, in Undicesimo Rapporto sulle migrazioni 2005,
ISMU, FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 280.
18 In questo caso si tratta verosimilmente di soggetti adulti.
19 All’esodo delle donne e alla permanenza del loro coniuge nel Paese di origine concor-
rono ragioni diverse sulle quali è d’obbligo una sia pur breve riflessione: a) la tipologia di precisi sbocchi occupazionali che favoriscono il rafforzamento delle catene femminili; b) la divisione dei ruoli in base al genere, da cui le forti aspettative che nella società di origine sono riposte nelle donne ritenute capaci di dare un contributo decisivo alla promozione e al benessere dei familiari; c) la volontà delle cosiddette “apripista”, ossia delle donne nelle quali la scelta di emigrare è legata, accanto a motivo economico, al desiderio di emancipa- zione personale.
20 Piperno F., “L’impatto socio-economico delle migrazioni femminili sui Paesi di origi-
ne”, in Zulli F. ( a cura di), Badare al futuro. Verso la costruzione di politiche di cura nella società italiana del terzo millennio, FrancoAngeli, Milano, 2008, pp. 123-124.
traverso le «dislocazioni affettive di sostegno emotivo»22, che poggiano non solo attraverso l’invio di danaro, ma anche attraverso l’accudimento a di- stanza delle loro prospettive di vita. Va da sé, si tratta di modalità che sur- rogano solo in parte l’assenza fisica di queste, ma che consentono, in qual- che modo, sia di manifestare attenzione e premura, sia di non perdere il loro ruolo di punti di riferimento per i figli lontani.
Quando sono partita dall’Ucraina i miei figli avevano 13 e 10 anni – ha riferito un’intervistata ucraina – Non me li potevo portare [...]. Li ho dovuti lasciare. Sono rimasti a vivere con il padre con il quale ero separata. L’accordo con mio marito era che io mandavo i soldi per aiutarlo a crescere i figli. Io ho sempre mandato i soldi [...]. Li ho fatti studiare, al 90% li ho mantenuti io. Adesso non vivono con il padre. Sono andati a studiare fuori all’università e io gli pago tutte le spese, l’affitto della casa [...] e ci penso io a loro. (O. ucraina)
Tab. 7 – Luogo di residenza dei figli delle intervistate. Valori assoluti e percentuali Valori assoluti %
Vivono con la madre 174 71,3
Tutti nel Paese d’origine 41 16,8
Alcuni con la madre, altri nel Paese d’origine 19 7,8 Alcuni con la madre, altri in un altro Stato 4 1,6 Alcuni nel Paese d’origine, altri in un altro Stato 6 2,5
Totale 244 100,0
In gran parte queste anomale tipologie familiari derivano dal tipo di lavo- ro delle immigrate nello specifico ambito della collocazione domestica fissa che non dà spazio, né tempo per la propria vita affettiva e familiare. Il me- stiere di colf o di badante determina, infatti, un rapporto di lavoro totalizzan- te, segregante, privato della dimensione relazionale e legato all’ambito della dimora23. Si tratta di costi umani e sociali, molto pesanti, che testimoniano
delle crisi e delle difficoltà che le donne immigrate e la loro famiglia devono sostenere. Sempre la medesima testimone ha precisato:
Da badante stai chiusa sempre dentro. Io ho avuto anche un po’ di depressione [...]. All’inizio soprattutto io assistevo una signora anziana che era malata di Al-
22 Parreñas R.C., Servants of Globalization. Women, Migration and Domestic Work,
Stanford University Press, Stanford, 2001 cit. in Ghiringhelli B., Marelli S. (a cura di), Ac- cogliere gli immigrati, Carocci, Roma, 2009, p. 105.
23 Il progetto migratorio di buona parte delle straniere è, pertanto, quello di svolgere il
lavoro di assistenza familiare per il tempo necessario a costruire le basi economiche per in- traprendere una nuova professione. Molte, così, cercano di lavorare a ore, evitando di andare nella casa della persona anziana da accudire, per non perdere l’opportunità di inserirsi nella società di approdo.
zheimer . Sono stata con lei tre anni e mezzo. [...] Guardavo il mondo dalla fine- stra. Mi sedevo alla finestra e mi veniva da piangere [...]. Non avevo una vita mia.
Molte, pertanto, intrattengono con i figli lontani contatti solo virtuali. Il 57,4% di loro, per esempio, li vede poco, il 10,3% per niente. Compensa, tut- tavia, questa frustrante situazione di forzata lontananza la possibilità di sen- tirne almeno la voce: la maggioranza intrattiene fitti rapporti telefonici con loro secondo modalità che oscillano dal moltissimo (47,8%) al molto (29,9%). Entrambe queste soluzioni non riparano, comunque, da malintesi che, non di rado, compromettono la qualità dei rapporti familiari. Il distacco prolungato può mettere a rischio le relazioni coniugali e opacizzare quelle fra genitori e figli. Talora, per esempio, le prime vengono rifiutate dai secondi, vuoi perché le si percepisce con risentimento in veste di modelli materni ne- gativi e inadeguati; vuoi perché semplicemente non le si conosce.
Da quando sono partita i rapporti con mio marito non vanno più bene. Mio ma- rito soffre perché non riesce a trovare un lavoro, si sente privato del suo ruolo di capofamiglia perché sono io a portare lo stipendio a casa. [...] Anche il rapporto con mia figlia è molto cambiato, la sento regolarmente (due o tre volte alla setti- mana telefonicamente) ma la ragazza ha iniziato a rivolgersi solo al padre e mi la- scia fuori dalle sue confidenze (I. moldava).
Sono stata in Italia per due anni senza mai tornare a casa. Dopo due anni però volevo rivedere mia figlia e allora ho deciso di andare a casa per un periodo. Sono arrivata a casa di notte, me lo ricordo, sono andata subito a vedere mia figlia che dormiva, l’abbiamo svegliata, io piangevo, mi uscivano le lacrime per l’emozione, ma lei non mi ha riconosciuto e non voleva che io la toccassi. Mi ha detto: “mia mamma è lei” riferendosi alla nonna e alla nonna diceva: “dille di andare via”. Io sono rimasta lì, piangevo per il dolore [...] (C. rumena)
Tuttavia, non si può neppure trascurare che l’instabilità strutturale della famiglia d’immigrazione può orientare a privilegiare i legami sostenuti dal- la dimensione affettiva piuttosto che i rapporti vincolanti, impositivi e ge- rarchici basati sulla consanguineità.
Ma al di là di queste realtà (che, indiscutibilmente, presentano non pochi coni d’ombra), nel collettivo esaminato pare di poter desumere che i gruppi domestici delle immigrate sono, invece, timbrati da rapporti fitti ed intensi. Sono poche, al proposito, anche le voci dissonanti (il 26,2%) che lamentano la scarsità di tempo da dedicare ai propri figli24 a causa dell’impegno lavora-
tivo proprio e loro. Il quadro familiare delle intervistate si presenta, quindi, con evidenti caratteri di stabilità strutturale e psicologica. Nel campione c’è anche chi, pur svolgendo il lavoro domestico e assistenziale, riesce a conci-
24 Il 51,2% dichiara infatti di trascorrere molto tempo con questi e il 22% ritiene suffi-
liare il lavoro di produzione e quello di cura della propria famiglia. In questo caso, come si evince dal brano di intervista che segue, tale situazione poggia soprattutto sulla correttezza e la disponibilità della famiglia ospitante.
Il lavoro è pesante. Qui nella casa devo stare dietro alla nonna. La nonna è ma- lata e vive con la figlia, il genero e un nipote. Poi vengono sempre gli altri nipoti a mangiare e io devo pulire la casa, devo cucinare [...]. Però mi danno il tempo libe- ro. Io non ho giorni fissi, dipende da come sta la nonna, da chi sta a casa. Sono ab- bastanza libera di organizzare le cose, e poi la cosa bella è che mi hanno accolto tutti bene. Io mi sento molto bene qui, pure mia figlia. Loro mi consigliano, mi aiu- tano tanto, sono la mia seconda famiglia. Mi capiscono sempre e si accorgono su- bito quando sto male. La domenica sono quasi sempre libera [...], poi il giovedì pomeriggio. Però dipende da come sta la nonna, altrimenti mi prendo un altro gior- no. Quando sono libera esco con mia figlia, devo fare le mie cose, incontro i miei amici. (V. rumena)