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di Rita D’Amico

7.6. La percepita discriminazione

Come notato in precedenza, l’acculturazione è un processo che avviene nel corso del tempo e che è l’esito non solo degli atteggiamenti che ciascun individuo ha circa il conservare la propria cultura d’origine e diventare par- te della nuova società, ma è anche il risultato di un’interazione con il livello di percepita accettazione degli immigrati da parte della comunità ospitante. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che l’atteggiamento dei migranti è stret- tamente intrecciato con l’atteggiamento degli autoctoni, tanto è vero che sulla base della classificazione di Berry, Bourhis e collaboratori22 hanno

sviluppato il “modello dell’acculturazione interattiva”, in cui le aspettative di acculturazione degli autoctoni interagiscono con l’orientamento adottato dai migranti.

Ovviamente, non sempre si verifica una coincidenza di entrambi e at- teggiamenti diversi possono anche dar luogo a relazioni problematiche o conflittuali. La discriminazione è definita come una manifestazione com- portamentale di un atteggiamento, un giudizio negativo o un trattamento ingiusto verso membri di un gruppo23.

Sebbene espressioni esplicite di discriminazione si siano enormemente ridotte negli ultimi decenni, forme più sottili continuano a persistere nei confronti di alcuni gruppi sociali, tra cui i migranti. Può accadere, così, che anche quando una donna straniera ha una relazione affettiva con un Italia- no, un familiare di quest’ultimo può manifestare giudizi negativi e tratta-

22 Bourhis R.Y., Moïse L.C., Perreault S., Senécal S., “Towards an interactive accultura-

tion model: A social psychological approach”, International Journal of Psychology, 30, 1997, pp. 745-778.

23 Pascoe E.A., Smart Richman L., “Perceived discrimination and health: A meta-

menti ingiusti verso la donna in questione in modo indiretto, ma che, nell’insieme, possono portare a conseguenze negative per la donna:

No, non sono soddisfatta della mia situazione in Italia perché il mio compagno non vuole mettere su famiglia, non vuole sposarmi, soprattutto per colpa di mia suocera che è troppo invadente. Per me questo è un insuccesso: non vivo come vo- glio e come mi sarei aspettata, non ho una mia famiglia. Anche se ho avuto succes- so per quanto riguarda i rapporti con i conoscenti italiani [...].

Va inoltre precisato che solo recentemente i ricercatori si sono interessa- ti all’esperienza di discriminazione dal punto di vista delle vittime o di co- loro che sono discriminati24. Tale esperienza va sotto il nome di “percepita

discriminazione”, vale a dire la percezione soggettiva di essere trattati in- giustamente dagli altri, principalmente sulla base della propria appartenen- za ad un gruppo sociale25. Se la discriminazione si basa sull’appartenenza

ad un gruppo razziale, si parla di razzismo, vale a dire «l’insieme di cre- denze, atteggiamenti e pratiche che danneggiano individui o gruppi di per- sone semplicemente a causa della loro razza»26.

Proprio perché la discriminazione percepita è rilevata dalle persone, senza che ci sia un riscontro oggettivo del verificarsi di eventi reali, essa può essere a rischio di errori di valutazione da parte delle persone e dei mi- granti in particolare. Ciononostante, moltissime ricerche hanno mostrato che la discriminazione ha ripercussioni negative sul benessere psichico e fisico delle persone che credono di esserne oggetto27, così come numerose

ricerche hanno rivelato l’esistenza di fattori che possono moderare la rela- zione tra percepita discriminazione e benessere, come il supporto sociale, oltre alle caratteristiche di personalità e gli stili di coping. Ecco un bell’esempio di percepita discriminazione e di alcune strategie per affronta- re positivamente tale esperienza.

[...] Siccome parlo bene, certe volte non si capisce che sono straniera. Poi, però, lo capiscono dal nome [...]. Quello non si può nascondere, e comunque preferisco sopportare un po’ di ostilità, senza rinunciare a quello che sono, cioè una italo- albanese. Imparare la lingua e gli usi italiani è stato importantissimo, è un modo per dimostrare la mia apertura mentale.

24 Branscombe N.R., Schmitt M.T., Harvey R.D., “Perceiving pervasive discrimination

among African Americans: Implications for group identification and well-being”, Journal of Personality and Social Psychology, 77, 1999, pp. 135-149.

25 Whitely B.E., Kite M.E., The Psychology of Prejudice and Discrimination, Thomson

Wadsworth, USA, 2006.

26 Jones J.M., Prejudice and racism, McGraw Hill, New York, 1997.

27 Paradies Y., “A systematic review of empirical research on self-reported racism and

Nel questionario utilizzato nella ricerca ci sono quattro domande volte a rilevare la discriminazione percepita a livello di esperienza personale. Con- siderando le risposte medie delle partecipanti, notiamo che sono state co- strette a nascondere la propria identità, sono state indotte a vergognarsene e sono state oggetto di razzismo quasi per niente (M = 1.22, M = 1.31, M = 1.44, rispettivamente). Diversamente, esse hanno dichiarato mediamente di essersi sentite abbastanza accettate dal Paese accogliente (M = 3.14).

Questi risultati suggeriscono che in generale la percezione di essere state discriminate è abbastanza bassa. A rifletterci bene, questa tendenza non do- vrebbe sorprenderci se pensiamo che decenni di ricerche sulla percepita di- scriminazione delle donne hanno mostrato che esse tendono spesso a nega- re la loro esperienza, soprattutto quando si chiede esplicitamente se sono state mai oggetto di discriminazione. Al contrario, se si chiede loro se pen- sano che le donne sono discriminate come gruppo, la tendenza è di rispon- dere positivamente28.

Tuttavia, l’analisi delle interviste qualitative ha fatto emergere esperien- ze di percepita discriminazione, di intensità diversa:

[...] Mi sentivo straniera [...] mi guardavano tutti come straniera.

[...] Mi sento sempre una straniera e soffro per il razzismo che subisco. Mi ca- pita spesso di sentire pensieri sbagliati riguardo la mia terra, la Polonia e so che avviene solo per mancanza di informazione. No, non mi sentivo accettata, soprat- tutto perché inizialmente non mostravano di avere fiducia in me. Adesso c’è un po’ di ostilità che percepisco ancora, principalmente nel lavoro.

Quando sono arrivata ero piccola. Ricordo che ero contenta di partire, sostenuta da tante speranze. Poi le difficoltà sono arrivate a scuola, coi compagni di classe. Pensavo che sarei stata accolta meglio dagli italiani. I compagni non mi accettava- no, mi disturbavano e sbeffeggiavano la mia cultura del Marocco; in seguito i rap- porti sono migliorati, grazie al mio sforzo di apprendere la lingua e di comprendere la mentalità italiana.

Quando sono arrivata in Italia forse perché ero piccola, ma la gente con me era abbastanza neutrale. L’ostilità l’ho sperimentata a scuola. I problemi ci sono stati, soprattutto quando vivevamo a Foggia: la lingua l’avevo imparata da sola, prima di partire, e alle medie ho cominciato a parlarla ancora meglio. Sono una tipa che a- scolta molto, questo è stato il mio segreto per integrarmi. Un altro segreto è di leg- gere molti libri [...]. Con i sacrifici, i miei dopo la licenza media mi hanno iscritta

28 Corning A.F., “Self-esteem as a moderator between perceived discrimination and psy-

chological distress among women”, Journal of Counseling Psychology, 49, 1, 2002, pp. 117- 126; e Taylor D.M., Wright S.C., Porter L.E., “Dimensions of perceived discrimination: The personal/group discrimination discrepancy”, in Zanna M.P., Olson, J.M. (ed.), The Ontario Symposium: Vol. 7. The Psychology of Prejudice, Hillsdale, NJ, Erlbaum, 1993, pp. 233-255.

al Liceo Pedagogico, col progetto che l’estate lavoravo per aiutare la famiglia e per comprare i miei libri. Le mie compagne con me erano tranquille. Finché un giorno è successo che non sono stata capita, è successo che nessuno sapeva risolvere un problema, solo io ho alzato la mano, sono stata ingenua, oggi non lo rifarei, perché la prof. senza volerlo mi ha rovinato, ha commentato «vergognatevi, vi fate supera- re da un’albanese», e per un po’ di mesi le mie compagne mi hanno emarginata, ho faticato a riconquistare l’amicizia della mia classe, al punto che volevo lasciare la scuola. In quel periodo ho veramente assaggiato il razzismo. Erano tutte contro di me, anche se non avevo fatto niente di male. Dovevo fare finta che il problema di matematica anche io, come loro, non lo sapevo risolvere. Poi mio padre ha trovato lavoro in Abruzzo, e qui mi sono trovata molto meglio.

Nelle parole della ragazza rintracciamo anche un atteggiamento di pre- giudizio da parte di un’insegnante, una rappresentante di un’istituzione ita- liana, come la scuola e non meraviglia che la percepita discriminazione possa riguardare anche altri rappresentanti, come ad esempio l’assistente sociale del comune di residenza:

Ho percepito tanta ostilità dall’assistente sociale. Mi hanno denunciato per ab- bandono di minori: io lavoravo e mio figlio rimaneva per un po’ di tempo solo. Aveva sei anni. Me lo volevano portare via. Lì ho percepito l’ostilità più totale. Poi quando sono rimasta senza lavoro, due anni fa, e anche per regolarizzare il permes- so di soggiorno, ho sentito tanta indifferenza di fronte alle mie difficoltà.

Inoltre, la testimonianza che segue mette in luce anche la relazione esi- stente tra percepita discriminazione e l’essere oggetto di stereotipi negativi che riguardano l’appartenenza ad uno specifico gruppo etnico di donne:

All’inizio mi sentivo troppo guardata, mi vergognavo, mi facevano sentire un’extraterrestre, mi dicevano che avevo una bella carnagione [...] Forse perché abito in un piccolo paese, per questo si comportavano così, ora sono passati 14 an- ni, dopo di me sono venute tante straniere. [...] Ma gli Italiani sono falsi e le donne anche invidiose. Dove lavoro siamo tutte operaie donne e anche se con qualcuna vado abbastanza d’accordo, molte parlano alle spalle, dicono “e quella è una cuba- na, chissà che fa... ”.

Non lo voglio dire, ma le donne italiane ci odiano, a noi romene, dicono che veniamo qua a prenderci gli uomini.