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Quanto fin qui brevemente esposto chiarisce che le migrazioni sono «un fatto sociale totale che riguarda allo stesso tempo i migranti, gli autoctoni della società d’arrivo e di quella di partenza, nonché, all’epoca della globa- lizzazione, le relazioni economiche, sociali, politiche e culturali su scala locale e mondiale»53. Segnala che queste possono dar luogo a scenari di se-

gno assai difforme. Suggerisce l’eventualità di identità non comunicabili o, all’opposto, di espressioni negoziabili fra diversi. Sottolinea l’importanza dell’atteggiamento trans-culturale, che va oltre le nicchie consuete di rife- rimento, le prospettive convenzionali, gli schemi consolidati54. Ribadisce

che fuori dalla prospettiva della negoziazione fra diversi non c’è contratto sociale che possa creare le condizioni reali per una società civile55.

Ma, in dettaglio, quali sono i fattori che orientano all’integrazione nella società-ospite? Prima di rispondere a questa domanda vale soffermarsi, seppur brevemente, sul concetto di “integrazione”.

Prescindendo dal fatto che tale concetto è stato oggetto di differenti ap- procci teorici e, dunque, di differenti interpretazioni, e che spesso, nei di- versi tentativi di definizione, è stato usato come sinonimo di altri concetti (quali ad esempio acculturazione o assimilazione), riteniamo che l’integra- zione debba intendersi come un processo di non discriminazione e di inclu- sione delle differenze, che miri a tenere insieme principi universali e parti- colarismi, prevenga le situazioni di emarginazione, frammentazione e ghet- tizzazione che minacciano l’equilibrio e la coesione sociale e poggi sull’affermazione di principi universali (come il valore della vita umana, della dignità della persona, il riconoscimento della libertà femminile, la va-

52 Ibidem.

53 Palidda S., “Le migrazioni e la ‘porta girevole’ dell’Occidente”, in ISMU, Undicesi-

mo Rapporto, cit., p. 336.

54 È fuor di dubbio, infatti, che quantunque il mondo moderno si avvii a diventare un

pianeta unificato ed integrato da una sorte comune (un mondo che in linguaggio religioso si direbbe “ecumenico”), ciò nondimeno esso continua a nutrire agenti infettivi di segno oppo- sto, quali logori impianti ideologici, implausibili tutelazionismi culturali, indomabili pregiu- dizi di classe e di razza, antiquate strutture mentali da comunità chiusa.

55 È importante rammentare che, oltre che su elementi culturali, un buon rapporto tra na-

tivi e migranti poggia su numeri compatibili con il mercato del lavoro, i servizi sociali, la disponibilità di case, scuole, ospedali.

lorizzazione e la tutela dell’infanzia) sui quali non si possono concedere de- roghe, neppure in nome del valore della differenza56.

L’integrazione si traduce, quindi, in un processo pluridimensionale, bi- direzionale e dilatato nel tempo che orienta alla promozione del rispetto re- ciproco tra soggetti di storie, culture ed etnie diverse e riguarda la sfera e- conomica, politica, culturale e sociale. Tale definizione precisa che l’im- migrato si pone, comunque e in ogni caso, in una situazione di scambio con le strutture sociali della società di approdo: per il solo fatto di “esserci”, sa- rà condizionato e condizionerà, ovviamente secondo modalità diverse in base alle opportunità o ai vincoli del contesto in cui si muove.

In questo quadro, tanto complicato quanto diversificato nei suoi esiti, a giocare un ruolo non secondario nella risposta al percorso integrativo sono da inscriversi le combinazioni possibili fra tre aspetti di base: ossia le moti- vazioni della partenza e il tipo di percorso iniziale della emigrazione e della immigrazione; la situazione economica e politica della società di arrivo; il clima culturale delle zone di approdo57.

Per quel che attiene il primo punto è fin troppo evidente che le migra- zioni individuali prodotte da insofferenza verso la propria società di origine e supportate da esigenze di autodeterminazione e di emancipazione sono, di norma, qualificate da una forte disponibilità ad acquisire i costumi e la mentalità della società-ospite; quelle, invece, che sono ancorate ad una ca- tena immigratoria, rinforzano il rapporto tra la società di partenza e quella di arrivo e fanno sistema. Così queste compromettono, e talora possono ad- dirittura inibire, l’integrazione individuale poiché orientano verso un’inte- grazione di etnia o di comunità «che resta un’entità sociale, culturale e a volte anche religiosa differenziata dal resto della società e che delega al suo notabile o leader o capo etnico-religioso la mediazione o la separazione se non il conflitto con gli altri»58.

Per quel che riguarda il secondo punto, va da sé che quando le migra- zioni dipendono da fattori di attrazione e specificamente da precise politi- che di reclutamento, prevale nelle zone di immigrazione «una fondamentale accettazione dei nuovi venuti, favorita anche da specifiche politiche sociali, sia pur differenti da Paese a Paese, perché dettate [...] dalla loro diversa cul- tura politica, che può mirare a un’integrazione definitiva degli immigrati [...] o a una loro presenza solo temporanea»59. Per converso, quando le mi-

grazioni sono dettate da fattori di espulsione e gli immigrati restano in gran

56 Questo è quanto emerge dalle pagine del Documento programmatico relativo alla po-

litica dell’immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, Decreto del Presidente della Repubblica 5 agosto 1998.

57 Palidda S., Le migrazioni e la porta, cit., pp. 351-352. 58 Idem, p. 351.

parte disoccupati o infoltiscono gli interstizi delle attività produttive o si inseriscono in settori obsoleti o inflazionati o praticano attività irregolari, precarie o addirittura illegali ne discende inevitabilmente la delegittimazio- ne della loro figura, che viene percepita in modo insofferente fra la popola- zione dei Paesi d’approdo. Così, «le politiche d’integrazione non ottengono il necessario consenso sociale, si determina un’atmosfera di “emergenza continua” e si diffondono orientamenti (suscettibili anche di strumentaliz- zazione politica) favorevoli a una drastica chiusura delle frontiere e all’espulsione in massa degli immigrati»60.

Per quel che concerne il terzo punto è indubbio che ambienti culturali avvezzi al confronto con storie, memorie, conoscenze, simboli, valori, iden- tità diverse: insomma, abituati al «traffico delle culture»61 possono delinea-

re atmosfere disponibili e comunicative nei confronti del fenomeno della immigrazione, diversamente da quelli che poggiano su forme identitarie ri- gide e tendono ad omologare nelle strettoie di un unico modello di vita.

Dunque e per concludere: nella cornice appena disegnata quale rapporto può instaurarsi tra autoctoni e immigrati? O, meglio, quali modalità di inte- grazione si presentano ai cittadini stranieri?

La letteratura sull’argomento propone alcune interpretazioni che vale ri- chiamare alla memoria: a) l’integrazione come uguaglianza di risorse e po- sizione sociale e giuridica, b) l’integrazione come utilità; c) l’integrazione come somiglianza. Nel primo caso gli immigrati sono integrati se dispon- gono dello stesso reddito e dello stesso livello di istruzione dei nativi; nel secondo caso se sono produttivi e non interferiscono con gli interessi degli autoctoni; nel terzo caso se mostrano un sistema valoriale simile a quello dei cittadini del Paese di approdo62. I fattori individuali, le dinamiche della

società di approdo e quelle della cultura di partenza, il piano delle risorse e delle opportunità incidono, quindi, non poco nel percorso integrativo.

Tuttavia, qualunque siano le interazioni che si confrontano, un punto – ci sembra – non si presti ad equivoci: l’inderogabilità, per chiunque viva nella società multietnica, di imparare a negoziare con altri cataloghi di va- lori. Sappiamo bene che questa raccomandazione non può proteggere dall’eventualità di rischi, trappole ed errori. Ma nell’attuale, grande partita fra le culture, errori, trappole e rischi fanno parte del gioco: essenziale, al momento, è interrompere la prigionia dei fondamentalismi, alleggerire il peso delle mitologie, favorire il compromesso delle possibilità, realizzare

60 Ibidem.

61 Fabietti U., Il traffico delle culture, cit., p. 166.

62 Ribella N., “Indicatori dell’insediamento e dell’integrazione degli immigrati in Italia:

una rassegna” in Sciortino G., Colombo A. (a cura di), Un’immigrazione normale, il Muli- no, Bologna, 2003, p. 313.

una convivenza sociale che sia retta da una «solidarietà tra estranei»63, per

dirla con Jurgen Habermas: ovvero, promuovere incontri alla pari per avvi- cinare quell’equilibrio tra i punti cardinali che occorre cercare e proteggere per favorire il diritto alla somiglianza, il solo che può tutelare il diritto all’essere eguali e all’essere diversi. Al momento, questo ci sembra l’unico modo per disporsi a riconoscere e a riesaminare – per governarle – le dina- miche interculturali che l’universo bruscamente rimpicciolito dell’oggi ha posto sul tappeto.

63 Habermas J., Solidarietà tra estranei: interventi su “Fatti e norme”, Guerini, Milano,