di Vittorio Lannutt
2.8. Le famiglie transnazionali: il caregiver a distanza
Quando la famiglia continua a vivere separata tra due Paesi, si parla di famiglie transnazionali, caratterizzate da molteplici rapporti e da dinamiche affettive complesse, nelle quali prevalgono malinconia e nostalgia. È emer- so in alcune ricerche32 che ad avere i figli in patria sono soprattutto le don-
ne dell’Europa orientale. Queste, infatti, raggiungono l’Italia pensando di restarvi solo il tempo necessario per raggiungere l’obiettivo economico pre- fissato, e poi tornare nel Paese d’origine. Non tutte, però, riescono nell’in- tento; e molte sostano assai a lungo nel nostro Paese, sperimentando la maternità a distanza.
Nelle famiglie transnazionali sono presenti due paradossi. Il primo pog- gia sulla lontananza fisica. Gli adulti, ed in particolare le madri, emigrano per assicurare un futuro migliore e dignitoso ai propri figli, ma non possono accompagnarli nella loro crescita. Il secondo è che le migranti svolgono la funzione di caregiver con i loro “datori di lavoro”: gli anziani e i bambini che accudiscono e non con i propri figli, come si accennava. Questi, in ge- nere, vengono affidati alle nonne o alle zie e, talora, anche a persone estra- nee alla famiglia che svolgono lo stesso lavoro che le migranti svolgono nei Paesi di destinazione. Questo secondo paradosso dà luogo ad una stratifica- zione internazionale delle opportunità di accudimento, parallela al livello di benessere economico dei Paesi di appartenenza delle famiglie e delle lavo- ratrici coinvolte. All’apice troviamo le famiglie abbienti dei Paesi occiden-
32 Cfr. Boccagni P., “Come fare le madri da lontano? Percorsi, aspettative e pratiche del-
la ‘maternità transnazionale’ dall’Italia”, Mondi migranti, 1, 2009; Lannutti V., Il lavoro di cura in Vallesina, 2009, www.cestim.it; Pavolini E., Il mercato privato dell’assistenza nelle Marche: caratteristiche e ruolo regolativi dell’attore pubblico, Armal, Ancona, 2005.
tali, che fanno ricorso alle lavoratrici per attività di assistenza ad anziani e bambini; seguono le famiglie transnazionali sospese tra le madri che emi- grano per svolgere attività di cura all’estero e i figli che restano nei Paesi d’origine. Queste ultime a loro volta per far fronte al care drain33 (fenome-
no analogo al più noto brain drain e allo storico drenaggio prima di risorse naturali, poi di manodopera, da parte dei Paesi ricchi nei confronti delle ex colonie e dei Paesi meno sviluppati)34 devono ricorrere a parenti o lavora-
trici del loro stesso Paese per accudire i propri figli. Nella posizione più bassa di questa stratificazione internazionale si trovano le donne che lavorano nei Paesi in via di sviluppo per le famiglie prive della figura femminile. At- traverso il care drain i Paesi ricchi privano i Paesi d’origine delle nostre assi- stenti familiari e colf della risorsa della cura e della dedizione, proprie del ruolo femminile, secondo i canoni culturalmente prescritti. Le immigrate cer- cano di compensare questa grave carenza con l’invio di rimesse regolari, an- che se il più delle volte i figli pretendono dalle madri l’affettività, mentre rivendicano le rimesse maggiormente dai padri.
Questo secondo paradosso implica una grave asimmetria, dovuta alla normativa vigente in Italia, in quanto se da un lato è facile importare donne straniere per impiegarle in questo settore lavorativo, dall’altro lato si pon- gono molti ostacoli per i ricongiungimenti familiari, grazie ai quali le don- ne immigrate potrebbero assolvere i loro compiti genitoriali.
L’argomento sul rapporto tra madri emigrate e figli rimasti in patria è stato efficacemente affrontato da Rhacel Parreñas35 in una ricerca sulle ma-
dri filippine che lavorano a Los Angeles e Roma. La Parreñas ha svolto questo lavoro partendo dalla considerazione che se, da un lato, la ristruttu- razione del mercato del lavoro globale ha offerto alle donne immigrate la possibilità di assumere una posizione di relativo vantaggio rispetto agli uomini; dall’altro, a questo importante ed epocale mutamento, non si è ac- compagnato un cambiamento delle aspettative nei loro confronti, poiché si continua a pretendere che le donne, all’interno delle mura domestiche, con- tinuino a svolgere le stesse mansioni di una volta. La stessa cosa è accaduta alla donna italiana quando, una volta emancipatasi dal ruolo che la vedeva relegata nelle mura domestiche, è diventata quella che Laura Balbo ha defi- nito la donna della “doppia presenza”, dato che l’ingresso nel mercato del lavoro non ha comportato una diminuzione dei suoi compiti di cura. Secon- do la ricercatrice filippina, nelle famiglie da lei analizzate, i genitori prov-
33 Secondo una ricerca dell’Acli del 2007 sta diventando sempre più difficile assumere
moldave, ucraine e romene. In Ucraina, in particolare, le autorità politiche e la Chiesa stanno lavorando per bloccare il flusso dell’emigrazione femminile, perché vengono lasciati soli i figli, le famiglie si spezzano con conseguenze devastanti sul piano sociale.
34 Ambrosini M., Un’altra globalizzazione, il Mulino, Bologna, 2008.
35 Parreñas R.S., Servants of globalization. Women, migration and domestic work, Stan-
vedono alle cure materiali, ma sono carenti sul piano delle attenzioni emo- tive. Le madri transnazionali filippine affrontano la pena della separazione fornendo ai propri figli tre tipologie di risposte:
1. la mercificazione dell’amore (che sostituisce la cura quotidiana con beni materiali);
2. la repressione delle tensioni emotive (basata sulla negazione dei costi emotivi della separazione);
3. la razionalizzazione della distanza (i guadagni economici superano i co- sti emotivi e la distanza fisica può essere gestita con la comunicazione regolare).
La razionalizzazione della distanza definita dalla Parreñas è stata analiz- zata da molte altre ricerche nelle quali è emerso come le nuove tecnologie abbiano facilitato questo processo. Telefono, posta elettronica, sms, webcam, invio di filmati sono tutti strumenti per restare in contatto, vedersi, sentirsi, ma senza toccarsi e senza la costanza della quotidianità. In ogni caso questi nuovi strumenti hanno prodotto forme di adattamento meno critiche alla se- parazione. Sono comunque sempre le madri le più attive nella comunicazione a distanza.
Va anche aggiunto che, per la donna migrante, la maternità a distanza più spesso si combina con nuclei familiari incompleti, spezzati o ricomposti.