I REATI IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE DOPO IL PACCHETTO SICUREZZA
8.3 IL REATO DI INOTTEMPERANZA ALL’ORDINE DI ALLONTANAMENTO DAL TERRITORIO DELLO
STATO.
Sembra preliminarmente opportuno soffermare l’indagine sulle problematiche afferenti la validità del provvedimento amministrativo presupposto, qui costituito dall'ordine di allontanamento del questore. Trattandosi di un reato di inottemperanza, sarà necessario che l'ordine del questore, emesso ex art. 14, comma 5-bis, sia valido ed efficace, incidendo ogni vizio dell'atto sulla legittimità o meno della condotta dello straniero, e quest’ultima sulla sussistenza del reato136.
In particolare, si tratterà di valutare le conseguenze della mancata o insufficiente motivazione del provvedimento del questore, della mancata
135 Cosi la relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione del D.l. 89/2011
n 4449 -‐ Camera dei Deputati, p. 9.
136Si rammenta che l’ordine di allontanamento del questore non è suscettibile di autonoma
impugnazione con il procedimento previsto per l’opposizione all’espulsione “ non essendo ammissibile un’indeterminata espansione dei mezzi di tutela indicati dalla legge” (così Cass. civ., ss.uu., 18 ottobre 2005, Icka c. Questura di Torino, in Rep. FI. 2005, straniero [6540], n. 303).
indicazione delle conseguenze penali previste per la trasgressione e della mancata traduzione.
Una questione assai dibattuta in giurisprudenza e che si è manifestata in maniera più intensa, attiene la problematica che investe la motivazione dell’ordine del questore di lasciare il territorio dello Stato allo straniero irregolare.
Secondo un primo orientamento della Corte di Cassazione, si rileva come il questore non eserciterebbe una propria e autonoma discrezionalità amministrativa, ma sarebbe una sorta di longa manus del prefetto, in quanto si limiterebbe ad adottare un provvedimento per lui inevitabile, una volta constatata l’oggettiva impossibilità di trattenere lo straniero o di espellerlo manu militari. Non vi sarebbe, di conseguenza, alcuna necessità di una motivazione che ecceda i presupposti che in astratto rendano, ad esempio, impossibile il trattenimento forzato in C.I.E.137, in quanto solo il provvedimento espulsivo prefettizio deve essere corredato da un’adeguata motivazione circa i presupposti applicativi e amministrativi dell’espulsione138.
Un secondo orientamento139, contrapposto al primo, ritiene che il provvedimento del questore debba essere corredato da un’adeguata motivazione che non si limiti alla mera enunciazione dei presupposti indicati dalla legge per la sua emissione.
Tale orientamento esige un’effettiva e concreta motivazione del provvedimento amministrativo da ritenersi soddisfacente se espressa "anche in modo sintetico, purché nel provvedimento stesso si dia conto degli elementi di fatto che giustificano la riconducibilità della vicenda concreta alla fattispecie astratta delineata dalla norma140”. Punto di partenza, per giustificare questo diverso orientamento, è la natura stessa del provvedimento del questore,
137Cass. pen., sez III, 21 dicembre 2005, n. 2775; tale sentenza stabilisce che “il provvedimento
di natura decisoria è, in realtà, l'ordine di espulsione emesso dal prefetto, rispetto al quale l'attività del questore è meramente esecutiva".
138 Cass. pen., sez. I, 28 febbraio, 2006, n. 9285, la quale ha affermato che “il decreto con il
quale il questore intima allo straniero di allontanarsi dal territorio dello Stato, di cui all'art. 14 comma 5-‐bis d. lgs. n. 286/98 e successive modifiche deve essere accertato dal giudice penale in sede di sindacato sulla legittimità dell'atto presupposto, ma non deve essere specificamente ed analiticamente motivato, in quanto ha carattere attuativo del decreto prefettizio di espulsione”.
139 In questo senso Cass. pen., sez. I, 9 febbraio 2006, n. 9121.
provvedimento di natura chiaramente amministrativa. Orbene, per ciò che concerne gli atti amministrativi il punto di riferimento normativo resta la legge sul procedimento amministrativo (legge 7 agosto 1990, n. 241), che all’art. 3 prevede in maniera esplicita che tutti gli atti amministrativi direttamente incidenti nella sfera giuridica sostanziale del destinatario debbono essere motivati141.
La ratio di tale disposizione - tesa a garantire diritti e libertà fondamentali di fronte alla pubblica amministrazione - non lascia dubbi circa la derogabilità dell’obbligo solo in presenza di norme specifiche che esplicitamente dispongano in tal senso. Così non è nel caso de quo poiché l’art. 14, comma 5-bis, lungi dall’escludere la necessità della motivazione, enuncia in maniera specifica e dettagliata le situazioni che possono legittimare l’adozione di un provvedimento con cui venga ordinato l’allontanamento dal territorio dello Stato, indicando specificamente l'oggetto di tale motivazione. Per il questore vi sono quindi una serie di opzioni progressive, ciascuna delle quali è praticabile previo accertamento della non attuabilità della precedente, cosicché la motivazione del provvedimento non può mai prescindere dall’illustrazione delle cause che, nel caso concreto, abbiano precluso le diverse e privilegiate modalità per dar corso all’ordine prefettizio (accompagnamento coattivo o collocamento presso un C.I.E.).
La commissione del reato in esame presuppone l’effettiva conoscenza da parte dello straniero del provvedimento di espulsione e dell'ordine di allontanamento del questore.
L’art. 14. comma 5-bis, infatti, nel disciplinare le modalità di emanazione dell’ordine del questore, stabilisce testualmente che “l’ordine è dato con provvedimento scritto, recante l’indicazione delle conseguenze sanzionatorie”. Inoltre, lo stesso art. 13, comma 7, dispone a sua volta che gli atti in questione (provvedimento di espulsione del prefetto e provvedimento di trattenimento del questore, così come gli altri atti concernenti l'ingresso e il soggiorno) “sono comunicati all’interessato unitamente all'indicazione delle
141 Nessun dubbio invece sul fatto che in tema di espulsione amministrativa dello straniero,
l’autorità procedente non ha alcun obbligo, ex art. 7 l. 241/1990, di comunicare allo straniero stesso l’avvio del procedimento, in quanto, trattandosi di procedimenti improntati ad indubbie esigenze di celerità, l'atto che va a formarsi (e cioè il decreto di espulsione) non presuppone alcuna procedura amministrativa, ma si forma nel momento stesso in cui l’autorità verifica l’esistenza dei suoi presupposti.
modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola142".
La ratio di queste disposizioni, tese a garantire allo straniero l’effettiva conoscenza di un provvedimento che incide, limitandoli, su diritti costituzionalmente garantiti, trova la sua origine nel riconoscimento, anche per lo straniero comunque presente sul territorio dello Stato143, del pieno diritto di difesa, in attuazione dell’art. 24 della Costituzione.
Nella pratica si rende necessario stabilire quale debba essere il livello minimo e sufficiente di conoscenza dell’atto, così da dare piena attuazione ai principi sopra esposti.
Su questo punto la Corte Costituzionale - chiamata a giudicare sulla presunta illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 24 Cost., e dell’art. 14. comma 5-bis nella parte in cui non prescrive la traduzione del provvedimento del questore che intima l’allontanamento nella lingua effettivamente conosciuta dall’intimato - ha dichiarato non fondate le questioni sollevate, stabilendo che la normativa sull’immigrazione stabilisce comunque un contenuto minimo di conoscenza dell'atto, sufficiente a garantire i diritti fondamentali ad essa collegati144.
Il Giudice delle leggi ha infatti affermato che “la conoscenza minima del provvedimento di espulsione è garantita dall’art. 3. comma 3, del d.p.r. 394/1999 (che assicura la conoscenza dell’atto mediante traduzione in lingua comprensibile o in subordine in inglese, francese, o spagnolo), mentre la valutazione in concreto dell’effettiva conoscibilità dell’atto spetta ai giudici di merito i quali devono verificare se il provvedimento abbia raggiunto o meno il suo scopo, traendone le dovute conseguenze in ordine alla effettiva sussistenza
142 Cass. pen., sez. I, 26 maggio 2006, n. 19132, ha stabilito che "la traduzione si configura come
condizione dì validità del provvedimento e che l’emissione del provvedimento in lingua italiana, accompagnata dalia traduzione in una dette tre lingue indicale (francese, inglese, spagnolo) presuppone, a pena di invalidità del decreto, l'acquisizione della prova della conoscenza da parte dello straniero di una di queste lingue”.
143 Il diritto alla conoscenza dell’atto è un presupposto preliminare al diritto di difesa che
spetta non soltanto agli stranieri che soggiornano legittimamente in Italia, ma anche a coloro che sono presenti illegittimamente sul territorio nazionale, come testimonia l’art. 13, comma 8, del T.U.I. ove è ripresa la formula, contenuta nell’art. 2, comma 1, dello stesso testo unico, dello straniero “comunque presente... nel territorio dello Stato".
dell’illecito penale contestato allo straniero, escludendo in particolare il reato nel caso in cui la mera traduzione in una delle lingue d'obbligo non è stata sufficiente a rendere conoscibile l’atto all'interessato145”.
Pertanto, alla luce del dettato dei giudici costituzionali, si deve ritenere che l’effettiva conoscenza dell’atto sia garantita anche se lo stesso non sia stato tradotto nella lingua comprensibile al destinatario, ma solamente in inglese, francese o spagnolo, allorché il giudice di merito tragga ugualmente la ragionevole convinzione - sfruttando tutti gli elementi disponibili in proprio possesso - che il destinatario abbia avuto effettiva conoscenza e consapevolezza dell’atto a lui diretto146.
145 Cfr., inoltre, Cass. pen., sez I, 6 dicembre 2006, n. 42384.
146 Da osservare che è stato più volte sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità che la
verifica dell’avvenuta traduzione del provvedimento deve considerarsi oggetto di prova nel dibattimento. Cfr. Cass. pen., sez IV, 1 dicembre 2004, n. 4626.