RESPINGIMENTI, RINVII FORZATI E POLITICHE DI NON ARRIVO
6.3 RINVII FORZATI E POLITICHE DI NON ARRIVO.
Le pratiche di prevenzione e contrasto degli arrivi, che riguardano flussi misti di migranti e richiedenti la protezione internazionale, non comprendono soltanto il respingimento e la riammissione ovvero il rimpatrio coattivo, bensì anche misure di controllo sui porti di partenza, di pattugliamento marittimo, di interdizione in alto mare e rinvio forzato, attuate in stretta collabora-
79 VETTORI, II respingimento dello straniero: le Sezioni Unite individuano i diritti e il loro
giudice (Nota a Corte di Cass. civ., S.U., 10 giugno 2013, n. 14502 e Cass. civ.. S.U., 17 giugno
2013, n. 15115).
zione con gli Stati terzi81. Le basi giuridiche rilevanti sul punto sono l’art. 12 («disposizioni contro le immigrazioni clandestine»), co. 9- bis, 9-ter e 9- quinquies, del T.U.I., introdotti con la 1. Bossi-Fini, nonché un d.m. interno del 19.6.2003, recante misure su attività di contrasto dell’immigrazione illegale via mare. Da questo nucleo di norme si desume che le navi italiane in servizio di polizia o navi della Marina militare, che incontrino nel mare territoriale o nella zona contigua (venti miglia circa oltre la costa) una nave, di cui si ha fondato motivo di ritenere che sia adibita o coinvolta nel trasporto illecito di migranti, possono fermarla, sottoporla ad ispezione e, se vengono rinvenuti elementi che confermino il coinvolgimento della nave in un traffico di migranti, sequestrarla conducendo la stessa in un porto dello Stato. Al di fuori delle acque territoriali, tali poteri di inseguimento e ispezione possono essere esercitati solo nei limiti consentiti dal diritto internazionale o da accordi tra Stati82.
Sul punto, una pronuncia della Cassazione ha escluso la giurisdizione italiana sul procedimento penale relativo agli scafisti fermati oltre le acque territoriali che siano stati intercettati in acque internazionali, in ragione del fatto che non sussiste il «diritto di inseguimento di una nave straniera da parte delle autorità italiane se l’inseguimento non inizi all’interno delle acque territoriali (ovvero della zona contigua quando ricorra il suo legittimo riconoscimento da parte dei Paesi coinvolti nella condotta)» (Cass. pen., sez. I, sent. n. 32960/2010).
Il citato d.m. del 19.6.2003, inoltre, regolamenta le modalità di intervento delle suddette unità navali impegnate nelle azioni di contrasto: in particolare, nell’ambito delle attività di pattugliamento svolte dalle navi italiane è consentito loro di rinviare imbarcazioni prive di bandiera nei porti di provenienza, a condizione che siano rispettate le salvaguardie previste dal diritto nazionale, comunitario ed internazionale in materia di diritti umani, tra cui non può non emergere il diritto di asilo, nonché in materia di tutela della vita umana e della
81 Cfr. BONETTI, Profili generali e costituzionali, in Diritto degli stranieri, a cura di
NASCIMBENE, Padova, 2004, pp. 255 ss.
82 In materia di strumenti di contrasto all’immigrazione irregolare in rapporto agli obblighi
internazionali di tutela dei diritti umani, si veda SCOVAZZI, La lotta all’immigrazione
clandestina alla luce del diritto internazionale del mare, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2003, fasc. IV, pp. 48 ss., nonché VASSALLO PALEOLOGO, Obblighi di protezione e controlli delle frontiere marittime, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2007, fasc. III, pp.
dignità della persona (art. 7; tra gli atti internazionali rilevanti, cfr. la Convenzione sulla ricerca ed il salvataggio in mare del 1979, ratificata e resa esecutiva in Italia con la 1. n. 146/2006).
Il soccorso dei natanti in difficoltà, come regolamentato dal diritto internazionale marittimo, obbliga a prestare assistenza anche attraverso il trasbordo dei migranti sulle navi che effettuano il salvataggio e che dovranno trasferire le persone in un luogo sicuro.
Si tratta di un passaggio normativo fondamentale: sebbene la normativa italiana preveda la possibilità di ricondurre l’imbarcazione soccorsa nel porto di partenza, prevalgono gli obblighi internazionali di tutela dei diritti umani ed innanzi tutto i princìpi di non refoulement e di soccorso in mare. In particolare, le operazioni di trasbordo sulle navi italiane dei migranti soccorsi comportano l’applicabilità del diritto italiano e, dunque, del divieto di respingimento e dell’obbligo di accesso al territorio e alla procedura di protezione internazionale, in quanto le navi militari italiane sono territorio italiano ex art. 4 c.nav.
A partire dal maggio 2009, il Governo italiano ha attuato una politica di rinvio forzato in Libia di migranti e richiedenti la protezione internazionale: il discorso pubblico l’ha definita politica di «respingimento» e il termine è senz’altro corretto nel suo significato di mancato accesso al territorio del Paese di destinazione, nonché alla procedura di protezione internazionale per i richiedenti colpiti. Tuttavia, alla luce dell’analisi normativa, è opportuno rilevare come si tratti di misure interdittive attuate in mare oltre la frontiera italiana - soglia ove si compie il respingimento in senso stretto - ed aventi come grave conseguenza il rinvio coattivo verso la Libia non in funzione di procedure individuali di riammissione, ma tramite operazioni forzose di riconduzione nel luogo di presunta partenza ovvero di riconsegna alle autorità libiche.
Il Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra la Repubblica italiana e la Grande Giamahiria araba libica popolare socialista, siglato a Bengasi il 30.8.2008, è stato ratificato e reso esecutivo con la 1. n. 7/2009. L’art. 19 è l’unica clausola del Trattato che contenga riferimenti espliciti alla «collaborazione... nella lotta all’immigrazione clandestina», prevedendo che le due Parti promuovano la realizzazione di un «sistema di controllo delle frontiere
terrestri libiche da affidare a società italiane in possesso delle necessarie competenze tecnologiche» (co. 2) e collaborino alla «definizione di iniziative, sia bilaterali, sia in ambito regionale, per prevenire il fenomeno dell’immigrazione clandestina nei Paesi di origine dei flussi migratori» (co. 3). Vi è poi un riferimento al precedente accordo bilaterale siglato da Italia e Libia nel 2000 per la collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico illegale di stupefacenti e all’immigrazione clandestina, nonché ai successivi protocolli operativi del 2007, ove si prefiguravano già azioni di pattugliamento congiunto, anche tramite motovedette cedute dall’Italia, nell’ambito di «operazioni di controllo, di ricerca e salvataggio nei luoghi di partenza e di transito delle imbarcazioni dedite al trasporto di immigrati clandestini, sia in acque territoriali libiche che internazionali, operando nel rispetto delle Convenzioni internazionali vigenti, secondo le modalità operative che saranno definite dalle competenti autorità dei due Paesi». Nessuno di questi accordi autorizza la riconsegna in mare e il trasbordo dei migranti da unità militari italiane a mezzi della marina militare libica al fine di un trasferimento forzato in Libia; e comunque nessun atto bilaterale può valicare gli obblighi di rispetto dei diritti umani stabiliti dal diritto internazionale, comunitario e costituzionale.
Tali rinvii forzati hanno sollevato denunce di violazioni e aspre critiche a livello nazionale ed internazionale, anche per le modalità adottate: l’ACNUR, tra gli altri, ha espresso forte preoccupazione per la mancata previa valutazione delle possibili esigenze di protezione internazionale dei migranti coinvolti e per il loro rinvio in Libia, Stato che non ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati, che non dispone di un solido sistema nazionale di asilo e non garantisce il rispetto dei diritti fondamentali, infliggendo ai cittadini di Paesi terzi trattamenti inumani e degradanti quando non anche torture.
Il principio di non refoulement83, componente essenziale e non derogabile della protezione internazionale dei rifugiati, è generalmente considerato una norma di diritto internazionale consuetudinario ed è sancito
83 Cfr. Manuale pratico per le guardie di frontiera, ad uso delle autorità competenti degli Stati
dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951, che fa divieto agli Stati di «espellere o respingere (refouler) - in qualsiasi modo - un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua razza, religione, nazionalità, appartenenza ad una determinata categoria sociale o delle sue opinioni politiche».
Il termine «refouler» è volutamente ampio e include quindi qualsiasi forma di trasferimento forzato: l’art. 33 della Convenzione di Ginevra del 1951 è dunque applicabile a qualsiasi strumento di rinvio coattivo - verso un qualsiasi luogo (non solo il paese di origine) ove vi sia un rischio per la vita o la libertà della persona - che la prassi e le politiche di controllo migratorio possano sviluppare. Ed ancora si noti che la disposizione si riferisce al «rifugiato» e non al richiedente la protezione internazionale, consolidando così un ulteriore concetto chiave posto a garanzia del diritto di asilo: il riconoscimento dello status di rifugiato è atto di natura meramente dichiarativa e non costitutiva del diritto. Il principio di non refoulement non contiene limitazioni geografiche ed è applicabile ovunque lo Stato in questione eserciti il proprio potere, dunque anche in acque internazionali, secondo quanto elaborato nel parere consultivo del l’ACNUR del 2007.
Anche a seguito dell’acceso dibattito suscitato dagli episodi di rinvii forzati verso la Libia che si sono succeduti in particolare da maggio a ottobre 2009, il 9.11.2010 la Camera dei deputati ha approvato tre mozioni parlamentari volte alla revisione del Trattato italo-libico, al fine di renderlo aderente agli obblighi internazionali e costituzionali sul rispetto dei diritti umani e innanzi tutto del diritto alla vita, di chiarire le modalità di azione del pattugliamento congiunto compreso l’uso delle armi, nonché di sollecitare il governo libico a ratificare la Convenzione di Ginevra del 1951 e consentire la piena riapertura dell’ufficio dell’ACNUR a Tripoli. Pur trattandosi di un indubbio segnale di positivo cambiamento e di una nuova consapevolezza politico-istituzionale, tuttavia, in sede di adozione finale di tali documenti non è stata approvata la richiesta di una revoca esplicita della politica italiana di respingimento verso la Libia84.
84 Alcune osservazioni sugli aspetti giuridici della gestione dell’emergenza dal Nord Africa
Senonchè, negli ultimi tempi, la relativa rotta migratoria si è drammaticamente riaperta come via marittima di fuga verso l’Italia a seguito dell’inizio del conflitto in Libia. In questo scenario, reso più complesso dall’ampia crisi che ha interessato il Nord Africa e, in particolare, la Siria, la Somalia e l’Eritrea, sono state riattivate le procedure di soccorso in mare e di sbarco dei migranti in arrivo a Lampedusa ed in Sicilia, da dove successivamente coloro che richiedono la protezione internazionale hanno accesso al sistema nazionale di accoglienza e alla procedura di riconoscimento.
In tale contesto viene prepotentemente in rilievo l’operazione militare italiana “Mare Nostrum” iniziata il 12 ottobre 2013 proprio per fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria in corso nello Stretto di Sicilia, dovuto all’eccezionale afflusso di migranti.
L’operazione si sostanzia nel potenziamento del dispositivo di controllo dei flussi migratori già attivo nell’ambito della missione “Constant Vigilance” che la Marina Militare svolge dal 2004 con una nave che incrocia permanentemente nello Stretto di Sicilia e con aerei da pattugliamento marittimo.
In buona sostanza, l’operazione ha una duplice missione : - garantire la salvaguardia della vita in mare;
- assicurare alla giustizia tutti coloro che lucrano sul traffico illegale di migranti85.
Nelle intenzioni del Governo l’operazione doveva avere durata breve, tanto che il Ministro della Difesa Roberta Pinotti, in un’intervista al Sole 24 Ore86 affermava che “finchè lo scenario libico resta instabile non possiamo sospenderla” perché in Libia “non abbiamo interlocutori istituzionali stabili e non si possono ipotizzare accordi per bloccare il flusso migratorio in partenza”.
Così, dall’inizio dell’anno a fine luglio 2014 sono sbarcati quasi 70000 profughi e, secondo le stime del Viminale, 20000, soprattutto siriani, hanno
riflessioni a margine degli sbarchi dei migranti provenienti dal Nord Africa, (2011), su www.asgi.it/home.
85 Il dispositivo vede impiegato il personale e i mezzi navali ed aerei della Marina Militare,
dell’Aeronautica Militare, dell’Arma dei Carabinieri, della Guardia di Finanza, della Capitaneria di Porto, personale del Corpo militare della Croce Rossa italiana, nonché del Ministero dell’interno-‐Polizia di Stato imbarcato sulle unità della M.M. e di tutti i corpi dello Stato che, a vario titolo, concorrono al controllo dei flussi migratori via mare.
proseguito il viaggio verso il Nord Europa, mentre 50000 sono rimasti in Italia con una spesa di oltre 600 milioni di euro87.
Con questo ritmo, secondo i giornalisti, entro l’inverno si supererà quota 120000 sbarchi e il budget sfiorerà il miliardo di euro.
Proprio in considerazione di questa drammatica realtà, il Ministro Alfano ha chiesto l’aiuto diretto dell’UE: “l’Europa deve dirci con chiarezza se è pronta a subentrare a Mare Nostrum. Abbiamo salvato migliaia di vite umane, ora l’UE deve affrontare il tema della frontiera. Se non se ne farò carico, l’Italia dovrà assumere delle decisioni….noi dismetteremo Mare Nostrum, anche se continueremo a farci carico del soccorso in mare”88.
Il grido di dolore lanciato dal Ministro Alfano è stato fortunatamente recepito dall’Unione europea. Infatti, in un vertice tenutosi il 27 agosto 2014 a Bruxelles tra il Ministro Alfano e il Commissario UE agli Affari Interni Cecilia Malstroem, si è deciso che il pattugliamento del Mediterraneo, nel Canale di Sicilia sarà fatto sotto la regia dell’UE, con un’operazione che si chiamerà “Frontex Plus” che partirà alla fine di novembre.
La grande novità consisterà nel fatto che la missione UE non si spingerà più in acque internazionali: a Frontex Plus spetterà la sorveglianza delle frontiere e, quindi, si articolerà all’interno delle acque marittime italiane (ed in questo caso anche europee), diversamente da Mare Nostrum che si estende anche in acque internazionali.
L’operazione europea, in sostanza, non si spingerà più in acque internazionali andando incontro ai barconi per soccorrerli, ma aspetterà che si avvicinino e interverrà solo quando questi entreranno in acque italiane.
Ecco le differenze principali.
Le navi di Mare Nostrum, oggi, non appena intercettano una “carretta del mare” anche in acque internazionali, le vanno incontro, soccorrono i migranti, li ospitano a bordo e li trasportano in Italia. I barconi, abbandonati in alto mare,
87 PITRELLI-‐SASSO, Immigrazione: il caos di Mare Nostrum. Ecco quanto spenderà l’Italia, in
L’Espresso, 25 agosto 2014.
88 Immigrazione, Alfano: La UE ci aiuti o addio a Mare Nostrum, in www.tgcom24.it, 24
vengono recuperati dai “mercanti di morte” (come li chiama il Ministro Alfano) che, con tutta calma, li riportano in Libia e li riutilizzano per altri viaggi.
Frontex Plus avrà, invece, un compito diverso, quello istituzionale, ovvero il pattugliamento delle frontiere di mare a sud dell’Europa.
Un’altra novità consiste nel fatto che, a differenza di oggi, le “carrette di mare” saranno sequestrate e distrutte .
Come detto, la nuova missione avrà inizio nel prossimo mese di novembre89.
Da ultimo, il rafforzamento di Frontex Plus solleva la questione relativa alle competenze UE in tema di gestione delle frontiere esterne. I Paesi UE hanno determinato il proprio percorso di integrazione abbattendo le proprie frontiere interne, consentendo ai cittadini europei di muoversi e stabilirsi liberamente su tutto il territorio dell’Unione. La creazione di uno spazio unico europeo deve però corrispondere ad una gestione più concertata delle frontiere esterne dell’Unione. La cancellazione delle barriere interne dovrebbe logicamente condurre ad una unificazione di quelle esterne. Il passo non è comunque così immediato. Gli Stati membri non sono sempre disponibili ad ulteriori cessioni di sovranità, soprattutto quando si parla di politiche sensibili come quelle relative all’immigrazione che influenzano e sono fortemente influenzate dalle caratteristiche del proprio tessuto economico e sociale.
Se la strada intrapresa è però quella che porta verso un’unica cittadinanza europea, l’UE deve promuovere l’integrazione delle politiche migratorie chiedendo, per esempio, un maggior rispetto dei propri standard procedurali e di garanzia e permettendo una diversa mobilità a coloro che ricevono la protezione internazionale. Infatti, secondo Guido Riedo, sulla rivista
Europae, “un Plus effettivo nella gestione comune delle frontiere UE potrebbe
contribuire a definire l’orientamento del processo di integrazione in atto, conferendo caratteri potenzialmente differenti all’identità stessa dell’Unione”.
89 Sul punto cfr. CUSTODERO, Sbarchi, intesa Italia-‐UE “Niente più soccorsi in acque