Come già accennato nei capitoli precedenti, l‟avvento della cultura convergente conduce ad un necessario ripensamento della figura del consumatore, che diviene un prosumer e prende parte attivamente al flusso di creazione, secondo le dinamiche individuate da Tapscott e Williams e costantemente sotto i nostri occhi.
I fan stessi, come abbiamo appena visto, costituiscono l‟archetipo del prosumer, status che è oggi appartenente praticamente a ciascuno di noi.
I prosumers, infatti, sono
“persone che processano informazioni, consumano criticamente, arrivano a organizzare campagne di boicottaggio, a ri-codificare i messaggi pubblicitari delle aziende oppure a crearne di propri. Persone che, grazie agli strumenti del Web partecipativo, hanno in mano il potere per organizzarsi e rispondere agli „attacchi‟ delle marche”233
.
Si è assistito dunque, in questi ultimi anni, ad un vero e proprio empowerment dei consumatori, favorito anche dall‟acquisizione di expertise precedentemente possedute in modo esclusivo dalle aziende.
In particolare, anche negli studi di marketing si sono registrati cambiamenti che hanno segnato un ulteriore passaggio in avanti nel percorso di evoluzione di questa disciplina
233
Bernard Cova, Alex Giordano, Mirko Pallera, Marketing non convenzionale: viral, guerrilla,
e delle dinamiche concreta ad essa connesse.
Tradizionalmente, infatti, la produzione accademica sul marketing distingue in quattro fasi la sua evoluzione all‟interno dell‟impresa234
:
1. 1920-1930: orientamento alla produzione. In questa fase vi è una netta predominanza della domanda sull‟offerta: sono le esigenze di produzione ad orientare le decisioni strategiche sul prodotto. In riferimento a questo periodo si parla infatti di marketing passivo.
2. 1930-1950: orientamento alle vendite. Cominciano ad intensificarsi e ad assumere sempre maggiore rilievo le operazioni di promozione e marketing, nella profonda convinzione che sia possibile influenzare la decisione di acquisto dei consumatori ricorrendo a tecniche di persuasione.
3. 1950 in poi: orientamento al mercato: aumenta l‟offerta ed il mercato tende a saturarsi. Si presenta dunque la necessità di prestare maggiore attenzione al cliente ed alle potenziali segmentazioni del mercato, al fine di individuare nicchie di azione che consentano non tanto di perseguire un obiettivo di persuasione del consumatore ma di “assistenza” all‟atto di acquisto. Assumendo un atteggiamento di orientamento al cliente il marketing cosiddetto operativo (o strategico) deve tenere conto di tutto il contesto e gli attori che possono determinare la decisione di acquisto del cliente. A livello di management un approccio di questo genere comporta dunque un necessario ripensamento della separazione dei ruoli aziendali: il marketing non costituirà più un compartimento a tenuta stagna, i contatti regolari con i clienti e la coordinazione della strategia di impresa a tutti i livelli contribuiranno a dare forma ad un market driven management.
Già dalla prima metà degli anni ‟80 del secolo scorso, tuttavia, da più parti235
si comincia a sollevare l‟ipotesi che sia necessario elaborare una nuova concezione del
234
Jean-Jacques Lambin,Marketing strategico e operativo, Milano, McGraw-Hill, 2000.
235
Si veda ad esempio Nikhilesh Dholakia, Johan Arndt, Changing the course of marketing:
marketing. I vecchi modelli sembrano non funzionare più e si comincia a parlare di una “malattia” del marketing236
e delle necessità di trovare dei modi per contrastarla.
Il cosiddetto new marketing, tuttavia, inizia ad assumere un aspetto multiforme, mentre il dibattito accademico intorno ad esso ferve: oltre al lavoro di Palmer e Ponsonby237, sono numerosi i testi che, pur concordando sulla necessità di un nuovo marketing, giungono poi a soluzioni differenti, con il conseguente proliferare di quelle che Badot, Bucci e Cova238 identificano come “panacee del marketing”.
La ricerca e la reazione ad una classica impostazione del marketing - vista ormai come una “vecchia scuola” – trova un buon esempio in questa tabella postata dall‟insegnante di linguaggio Java Kathy Sierra sul suo blog239 nell‟agosto 2005.
236
Stephens Brown, Postmodern Marketing. Consumer Research & Policy, London, Routledge, 1995.
237
Adrian Palmer, Sharon Ponsonby, “The social construction of new marketing paradigms: the influence of personal perspective”, Journal of Marketing Management, Vol. 18, 2002, pp.173-192. 238
Olivier Badot, Ampelio Bucci, Bernard Cova, “Beyond Marketing Panaceas. In Praise of Societing”, 2006, disponibile all‟indirizzo: http://visionarymarketing.com/_repository/societing/societingcovabadotbucci.pdf [marzo 2010]. 239
L‟originale è disponibile a questo indirizzo:
http://headrush.typepad.com/creating_passionate_users/ [9 dicembre 2010]. La tabella qui riportata è stata ottenuta grazie alla scansione della versione italiana tradotta e riportata in B. Cova, A. Giordano, M. Pallera, op. cit., p. 46.
Come accennavamo, Badot, Bucci e Cova hanno dunque condotto una ricognizione sulle possibili panacee giungendo all‟elaborazione di un elenco che, ai tempi della pubblicazione, nel 2007, consisteva già in un numero elevato (oltre 70) di possibili nuovi marketing individuati. Ecco l‟elenco dei casi da loro raccolti tra il 1985 e il 2005240:
240
Questa tabella è tratta da Olivier Badot, Ampelio Bucci, Bernard Cova, “Beyond Marketing Panaceas. In Praise of Societing”, 2006, disponibile all‟indirizzo: http://visionarymarketing.com/_repository/societing/societingcovabadotbucci.pdf, p.6 [6 dicembre 2010].
Il passo successivo degli studiosi è stato dunque quello di cercare di sistematizzare un elenco tanto lungo cercando di raggruppare per aree le posizioni espresse dalle panacee individuate, al fine di comprendere in che modo si collocassero rispetto all‟impostazione classica kotleriana (vedi figura della pagina seguente241).
241
Ivi, p.8. Si noti che Philip Kotler è considerato da più parti uno dei padri fondatori del marketing come disciplina scientifica. Il suo contributo accademico è universalmente conosciuto.
Dal grafico emergono, in effetti, diverse possibili aree ed approcci in cui collocare le panacee.
- Il primo gruppo fa riferimento all‟ambiente di mercato, quindi a tutte quelle strutture di tipo socio-politico, naturale e culturale che lo definiscono e ne fanno parte. Sono inclusi in questo insieme anche tutti i fattori esterni che condizionano il mercato stesso.
- Nel secondo gruppo – il marketing niche - rientra tutto quell‟insieme di panacee che si focalizzano sulle nicchie per poi raggrupparle in base a precise caratteristiche come origine geografica o passioni. Appartengono a questa categoria, ad esempio, il marketing virale ed il tribal marketing che saranno oggetto di più ampia trattazione nei paragrafi successivi.
- Le panacee che fanno riferimento alle client relationships si focalizzano sul rapporto impresa-consumatore cercando di valorizzarlo al meglio e privilegiando la cura di tale relazione. Come osservato da Badot, Bucci e Cova la logica dietro questo terzo gruppo di panacee è quella dello spostamento da un mercato di massa ad una massa di mercati. Ogni singola relazione con il cliente,
di fatto, costituisce un mercato. Questo genere di impostazione è stata quella dominante negli anni ‟90.
- Le panacee basate sulle esperienze soggettive, invece, prestano grande attenzione alle emozioni, alle sensazioni vissute dall‟utente, allo scopo di favorire la creazione di un contesto in cui il brand ed il mercato sono integrati nella vita del consumatore che deve divenire un elemento attivo nei processi di marketing (basti pensare all‟ampio concetto di marketing esperienziale).
- L‟ultimo gruppo ruota intorno al concetto di competenze del consumatore, che si cerca di coinvolgere in attività di co-creazione.
Rispetto all‟elenco presentato dagli studiosi, restano fuori dalle categorie individuate alcune tipologie di marketing come il guerrilla marketing242, che, comunque è di solito parte di una più ampia strategia promozionale.
242
Il concetto di guerrilla (spesso indicato in italiano con “guerriglia”) marketing fu ideato da Jay Conrad Levinson nel 1982, l'epoca in cui l'insoddisfazione verso il marketing tradizionale cominciava a farsi strada.
A quel tempo la concezione di guerrilla marketing di Levinson faceva riferimento ad una strategia di sopravvivenza delle piccole imprese che, a fronte di bassi budget, potevano però contare sul rapporto relazionale diretto con il cliente e sulla centralità dell'azione creativa. Oggi, invece, il guerrilla marketing rientra nell'ambito di quelle tecniche di marketing non convenzionale che contribuiscono a costruire una più ampia strategia di azione per i brand in un mercato fortemente competitivo e segnato dalla forte presenza di un utente esperto.
Le azioni di guerrilla marketing sono dunque mirate a produrre degli eventi di breve durata ma di grande intensità che siano non solo notiziabili, ma che portino ad innescare dinamiche di viralizzazione e passaparola sull'evento, al fine di rafforzare la brand awareness e di veicolare - in modo ben diverso dalle tecniche tradizionali (a cui di solito il consumatore risponde con "barriere mentali") - i valori che costituiscono la brand identity. Allo stesso modo, la guerriglia militare crea azioni di sabotaggio ed imboscate che entrano poi a far parte dei racconti, del mito e del folklore; l'obiettivo è spesso la sovversione dell'ordine costituito e la presa del potere. Per un approfondimento si veda Andrea Natella, “Guerriglia Marketing. Una definizione convenzionale”, disponibile online qui: http://www.guerrigliamarketing.it/pdf/guerriglia_marketing.pdf [9 dicembre 2010].