DAL MARKETING AL SOCIETING
SOCIETING MARKETING
3.4 I L MARKETING VIRALE
Il marketing innovativo tiene dunque conto sia degli aspetti che guidano i processi di scambio, che degli attributi dei consumatori in termini di conoscenza, controllo e creazione di informazioni. Il consumatore condivide pareri, critiche, aneddoti con altri utenti.
Tutti questi soggetti rivestono ruoli differenti ma fondamentali all‟interno delle comunità di consumatori per determinare la propagazione di un buzz249 e sono dunque soggetti centrali nell‟ambito del cosiddetto marketing virale.
“La comunicazione virale definisce l‟insieme di strategie che permettono un più semplice, accelerato ed economico sistema per diffondere il messaggio, creando al contempo una piattaforma in grado di supportare tale diffusione esponenziale e aumentandone l‟impatto”250.
Più precisamente, questo tipo di marketing è definito “virale” perché si basa sul concetto di propagazione di un meme, in modo analogo a quanto avviene con un‟epidemia.
E‟ possibile ricondurre a tre le fasi di una strategia di marketing virale:
- fase 1 = inoculazione (consiste nella conoscenza di un prodotto, da intendersi come primo contatto con esso o con la campagna ad esso legata);
- fase 2 = incubazione (coinvolge i primi consumatori/early adopters); - fase 3 = diffusione/infezione (ampia diffusione del prodotto).
Questo genere di sequenzialità trova la sua origine sociologica nella teoria sulla comunicazione di Lazarsfeld, il “2 steps flow of communication”, secondo cui un messaggio passa dai mass media agli opinion leaders che a loro volta lo diffondono. In un tale contesto gli agenti di diffusione del messaggio possono collocarsi esternamente
249
Letteralmente un “ronzio”. Si tratta del “rumore” prodotto dalle conversazioni online e riassumibile in termini di traffico creato, ricorsività di determinati argomenti o link, condivisione di contenuti in Rete etc..
250
Gianluca Arnesano, Viral marketing e altre strategie di comunicazione innovativa, Milano, Franco Angeli, 2007, p. 17.
o internamente alla sfera sociale degli altri individui: in quest‟ultimo caso, essi avranno maggiore credibilità all‟interno dell‟ambiente sociale in cui sono inseriti.
Nel suo libro Il punto critico251, Gladwell riflette su una serie di fattori della viralità che possono essere significativi anche in un‟ottica di marketing.
“La possibilità che i cambiamenti si verifichino all'improvviso è al centro della teoria del punto critico” […] che “è il momento in cui si raggiunge la massa critica, la soglia, il punto di ebollizione” […] “Tutte le epidemie hanno un punto critico”252
. In particolare secondo lo studioso
“Le epidemie possono raggiungere il punto critico in più modi. Esse assumono caratteristiche diverse in funzione delle persone che trasmettono gli agenti del contagio, dell'agente stesso dell'infezione e dell'ambiente in cui quest'ultimo si trova a operare. Quando un'epidemia arriva al punto critico e il suo equilibrio viene sconvolto, ciò accade per qualche motivo particolare. Un determinato cambiamento si deve essere verificato in uno, forse due o persino tutti e tre i suddetti fattori, che chiamerò rispettivamente «legge dei pochi», «fattore presa» e «potere del contesto»”253.
tuttavia
“La contagiosità è in larga parte funzione del messaggero, mentre il fattore presa è principalmente una proprietà del messaggio”254.
In particolare, quando Gladwell parla della legge dei pochi fa riferimento a varie tipologie di soggetti.
251
Malcolm Gladwell, Il punto critico: i grandi effetti dei piccoli cambiamenti, Milano, Rizzoli, 2000. 252 Ivi, pp. 16-17. 253 Ivi, p. 25. 254 Ivi, p. 274.
Egli distingue tra:
1) Connettori: devono conoscere molta gente e sono persone che familiarizzano con tutti.
Sono importanti però non solo per la quantità di contatti posseduti, ma per il genere di gente che fa parte delle loro reti255.
Si tratta in questo caso di quella che Granovetter ha definito come “la forza dei legami deboli”, ossia l‟idea che le conoscenze siano una fonte di potere, dal momento che esse costituiscono dei “ponti sociali” che sono tali non solo nel metterci in collegamento con altre persone, ma anche con altri mondi sociali da noi distanti e che ci sarebbero, altrimenti, preclusi.256.
Secondo Gladwell, inoltre, i connettori si distinguerebbero in “specialisti in persone” e “specialisti in informazioni”, a seconda che la densità della rete in cui sono inseriti sia data dal numero di contatti personali o dalla mole di informazioni con cui i connettori vengono a contatto e che possono diffondere. Naturalmente le due figure possono anche coincidere257.
2) I diffusori delle epidemie possono essere anche degli “esperti di mercato”, cioè soggetti che fondono insieme il proprio sapere e l‟abilità nello stabilire legami sociali.
In questo caso ciò che conta non è tanto cosa queste persone conoscano, ma il modo in cui lo diffondono.
Si tratta di soggetti che solitamente vogliono aiutare gli altri solo per il puro piacere di farlo, e questo sembra avere ripercussione sulla loro capacità di
255
Per l‟approfondimento di questa interessante ed ancora attuale teoria si veda Mark Granovetter, “The Strength of Weak Ties”, American Journal of Sociology, May 1973, vol. 78, n. 6, pp. 1360- 1380.
256
M. Gladwell, op. cit., p. 66. 257
attrarre l‟attenzione degli altri (rinforzando così i legami sociali e la loro reputazione all‟interno della rete)258
.
3) I venditori. Sono soggetti che dimostrano di avere una notevole attitudine alla vendita e, dunque, alla persuasione.
La classificazione di Gladwell è accostabile a quella proposta da Arnesano che distingue tra:
- influentials: parlano di un brand ed hanno peso sulla propria comunità - advocates: amano il brand e ciò che esso rappresenta
- employees: letteralmente gli impiegati, spesso inconsapevoli di creare buzz In verità, sono numerosi gli studiosi, i giornalisti e i vari opinionisti come Godin che si sono interrogati sul ruolo dei consumatori e sul potenziale che la posizione da loro assunta ha per i brand.
Godin259, ad esempio, distingue nell‟online tra “promiscuous sneezer” (sostanzialmente dei testimonial, nel senso più classico del termine) e “powerful sneezer” (persone che offrono disinteressatamente le proprie opinioni e che, per questo, sono dunque maggiormente accettate e stimate).
Salzman, Matathia ed O‟Reilly260
distinguono gli “alpha” (delle sorte di early adopters che però comunicano poco con gli altri) dai “Bee” (rendono edibili i concetti degli alpha e li diffondono).
Rosen261 distingue i “mega hub” (le “celebrità” immediatamente identificabili dalle aziende) dai “regular hub”, i meno noti soggetti comuni che sono però particolarmente attivi nel proprio network personale.
258
Ivi, p. 81. 259
Seth Godin, Propagare l’ideavirus, Milano, Alchera Words, 2001. 260
Marian L. Salzman, Ira Matathia, Ann O‟Reilly, Buzz. Harness the Power of Influence and
Create Demand, Hoboken, J. Wiley, 2003.
261
Emanuel Rosen, Passaparola. Come costruire con poco una campagna di marketing vincente, Milano, Il Sole 24 Ore, 2009.
In questa tabella262 è possibile visualizzare una sintesi delle varie tipologie di opinion leaders individuati nella letteratura di marketing:
Indipendentemente, insomma, dalle denominazioni adottate, è evidente che una concezione come quella del marketing virale si basa su due capisaldi:
- forza dell‟idea - soggetti propagatori
Il primo caso è tutt‟oggi al centro di numerose ricerche di marketing: il paradigma del “sex, pets and absurd”, cioè i presunti fattori che comunemente – almeno secondo quanto emerso dall‟osservazione delle interazioni ed attività degli utenti – si ritengono
262
determinanti per viralizzare un contenuto, non è ovviamente una regola ed oltretutto sarebbe difficilmente applicabile ad un‟ampia gamma di settori.
Per dirla ancora una volta con Gladwell:
“se osservate da vicino le idee o i messaggi a carattere epidemico, scoprirete che, la metà delle volte, gli elementi che li rendono capaci di fare presa sono insignificanti e all'apparenza banali”263.
D‟altra parte il clutter, cioè l‟eccesso di informazioni, ha reso sempre più complessa la penetrazione di un‟idea, soprattutto in un contesto come quello del Web dominato da logiche di forte partecipazione degli utenti.
Non esiste una “formula magica” della viralità, ma è possibile individuare delle strategie di user engagement che possono portare a favorire la diffusione di un messaggio, come vedremo in seguito con le case histories.
Se trasportiamo questo discorso in un‟ottica di Social Media marketing, comprendiamo immediatamente che genere di contributo rilevante possa essere offerto dagli utenti nei confronti del brand.
Online, infatti, viene potenziato esponenzialmente il cosiddetto “word of mouth”, e sono numerosi i fattori che possono innescare il passaparola – positivo o, come accade in alcuni casi, negativo (il cosiddetto “bad mouth”) -, quindi il diffondersi di una cattiva reputazione che può effettivamente danneggiare il brand.
Le tribù di consumatori hanno, in tal senso, un potere davvero elevato derivante dalla loro stessa aggregazione.
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