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L A PARTECIPAZIONE ATTIVA DEI FAN : ECONOMIA AFFETTIVA E LOVEMARKS

I fan, dunque, possono fruire del testo ad almeno tre livelli202. Accanto alla testualità primaria (il testo propriamente detto) e alle “testualità secondarie” (cioè il merchandising ufficiale del franchise ma anche spin off, siti Web, forum etc.) sono altresì individuabili delle forme di testualità terziaria, risultanti dall‟insieme di produzioni grassroots dei fan che, solitamente, non hanno uno scopo di lucro e rientrano dunque in quella che viene definita “shadow economy” (come vedremo, però, il Social Network marketing degli audiovisivi di fatto monetizza queste produzioni stimolandole in fase promozionale).

E‟ grazie ad Internet ed ai suoi sviluppi che queste forme produttive proliferano e ridefiniscono i confini stessi del fandom. Come ricorda Scaglioni203, già Kirsten Pullen, osservava che il Web

“ha radicalmente trasformato il fandom, rendendolo meno di nicchia e più mainstream, perché ha permesso a molte più persone di partecipare ad attività riservate a comunità tradizionalmente più appartate. Sembrerebbe che il Web abbia fatto saltare i confini del fandom, generando una maggiore partecipazione alle culture di fandom”204.

D‟altra parte, come dice Scaglioni, riferendosi anche agli studi di Matt Hills “Il fandom ha perso molti dei suoi confini ritualistici (convention, fan club) e ha iniziato a permeare con forza la vita quotidiana: la crescente disponibilità e quotidianità del fandom on-line sembrerebbe dunque configurare una sorta di 'fandom diffuso'. Di fandom mainstream”205.

202

John Fiske, Television Culture, London, Routledge, 1987. 203

Massimo Scaglioni, Fan and the city. Il fandom nell'età della convergenza, in “Telefilm”, numero monografico di Link. Idee per la televisione (speciale telefilm), RTI, Milano 2007, p. 155. 204

Ibidem. 205

La mainstreamizzazione del fandom va inoltre ricondotta anche a motivi di carattere propriamente economico. La televisione nell‟era della convergenza e dei fruitori “esperti” e connessi deve trovare nuove forme di fidelizzazione. Con l‟avvento di forme seriali come Lost e la copiosa produzione americana di questi ultimi anni, si può affermare che sempre più ci si è orientati verso una strategia di costruzione degli audiovisivi come brand multimediali ed high concept, basati su un sistema di cross-promotion che crea universi permanenti (basti pensare alla fortunata longevità del Buffyverse) e mira a stimolare l‟attenzione del fruitore in maniera sempre più personale, coinvolgendolo ed emozionandolo.

“La „cultura partecipativa‟ tipica del fandom trova nell‟era della convergenza il suo massimo sviluppo, e ne rappresenta il modello. Ereditando alcuni tratti dalle culture di fandom sviluppatesi negli anni „90attorno a serie di culto come X-Files e Twin Peaks, i losties, i fan di Lost, impegnati nell‟elaborazione di complesse teorie sull‟universo creato nella serie, rompono l‟ultimo tabù nella rappresentazione culturale del fandom: da fanatici, ossessionati e soggetti patologici i fan diventano ora spettatori critici, appassionati e competenti. Gli spettatori ideali per forme narrative sempre più raffinate e complesse”206.

Allo stesso tempo, anche i fruitori sono consapevoli che per superare definitivamente il modello di una televisione “narcotizzante”, le armi migliori sono in mano allo spettatore e sono quelle della riflessione e di un umorismo critico:

“Applicare un sense of humour cosi intelligente e dark alle cose che pervadono le nostre vite toglie un po‟ di potere ipnotico [alla televisione, NdA]. Guardando a tutto ciò in modo critico ci si rende conto che si tratta di qualcosa che si sta esperendo ed a cui si sta partecipando, piuttosto che qualcosa che ci sta narcotizzando”207.

206

Ivi, p. 156. 207

Mark Andrejevic, “Watching television without pity: The productivity of online fans”,

Evidentemente, dunque, è ben chiaro il potere di coinvolgimento che i prodotti televisivi hanno. Si tratta in effetti di universi che coinvolgono emotivamente chi ne fa parte.

Una delle conseguenze della cultura convergente, infatti, è l‟emergere di una sempre più problematica gestione dell‟economia dell‟attenzione. La mole di messaggi, informazioni e fonti con cui veniamo a contatto è talmente tanta che, di fatto, l‟attenzione rappresenta una risorsa scarsa con cui bisogna fare i conti quando si pianificano precise strategie.

Il problema dell‟abbondanza, tra l‟altro, non concerne esclusivamente le informazioni ma anche i brand e, quindi, i franchise mediali la cui massiccia presenza rischia di far passare inosservata la loro esistenza vanificando a livello pratico i costosi investimenti pubblicitari ed economici affrontati.

Si cerca allora di raggiungere il potenziale spettatore aggirando le barriere mentali che di solito rendono inefficaci le strategie promozionali ed “elevando” il fan al ruolo di “spett-attore”, partecipe delle narrazioni e a tal punto coinvolto in esse da stabilire un legame di tipo emotivo.

Come sollecitato da Henry Jenkins, nell‟ambito di un più generale discorso sulle forme di protesta dei fan di American Idol208,

“Dobbiamo imparare a conoscere meglio quella che chiamo „economia affettiva‟. Con ciò intendo una nuova concezione del marketing, ancora poco nota ma in via di diffusione nel mondo dei media, che interpreta la componente emozionale nelle scelte di consumo come una forza motrice che determina ciò che guardiamo e che acquistiamo. Per molti aspetti l‟economia affettiva costituisce un tentativo di allineamento alle ricerche svolte negli ultimi decenni dai cutural studies

invece la seguente: “Applying such a smart, dark sense of humour to the thing that pervades our lives takes away some of it‟s hypnotic power. When you look at it critically it is something you are experiencing and participating in, rather than something that is narcotizing you”.

208

sulle comunità di fan, così come di comprendere le pratiche di fruizione degli spettatori. Con una differenza cruciale, però: i cultural studies analizzavano il consumo mediatico dal punto di vista dei fan, articolando desideri e fantasie che non erano pienamente soddisfatti dal sistema attuale dei media; le nuove teorie di marketing cercano invece di plasmare quei desideri per orientare le scelte di consumo […]. Nell‟epoca dell‟economia affettiva, si può immaginare, i fan di certe trasmissioni televisive di culto possono guadagnare una maggiore influenza sulle decisioni di programmazione”209.

In un certo senso, alcuni aspetti dell‟economia affettiva sono mutuabili dal marketing emozionale e da quello esperienziale, ma è la definizione di “lovemarks”210 proposta da Kevin Roberts, CEO di Saatchi & Saatchi, quella che maggiormente contribuisce a descrivere il rapporto che i nuovi prodotti audiovisivi mirano ad instaurare con i loro fan.

Nel contesto dell‟attention economy si assiste, infatti, al lancio costante di nuovi prodotti e ad un bombardamento mediatico del consumatore. Bisogna dunque mirare a guadagnarne l‟attenzione, dimostrando di averla meritata: è necessario, insomma, costruire non dei brand tradizionali ma dei lovemarks, basati su una risorsa inesauribile: le emozioni.

In un noto schema (vedi figura sotto), il manager colloca infatti i lovemarks ad alti livelli di amore e di rispetto, mentre i brand, che pure hanno alti livelli di rispetto non fanno altrettanto sul versante affettivo; nella parte bassa del quadrante troviamo poi i prodotti (cioè le commodities in generale, quindi i beni non differenziabili, come le materie prime) che hanno bassi livelli di amore e rispetto e le mode passeggere, i trend, che hanno sì un alto valore affettivo ma un basso grado di rispetto.

209

Ivi, p.44. 210

I clienti dei lovemarks sono dunque persone prima che target di mercato ed è a questi “consumatori ispiranti”, come lo stesso Roberts li definisce, che bisogna rivolgersi e con cui bisogna dialogare. Essi hanno infatti la virtù (in questo senso hanno un ruolo assimilabile a quello dei brand ambassadors) di poter promuovere e sostenere il brand, di suggerire modifiche, miglioramenti, opportunità, soprattutto in un ambiente economico governato ancora dalla regola dell‟80/20211.

Secondo Roberts, i brand non riescono a stabilire un vero contatto emotivo con il consumatore, per tutta una serie di ragioni:

1) sono logorati dall‟uso 2) non sono più un mistero

3) non riescono a capire il nuovo consumatore

211

Per molti prodotti di consumo l‟80% degli acquisti è effettuato dal 20% dei consumatori. Ci sono naturalmente delle eccezioni e si potrebbero analizzare diversi significativi casi in cui, a fronte di una regola di questo genere, si ha però una lunga coda di consumo basata sulle nicchie. Per un approfondimento si veda Chris Anderson, La coda lunga - Da un mercato di massa a una

4) la concorrenza fatta dai brands è superata 5) sono stati ridotti a formule

6) sono stati soffocati dal conservatorismo

Come visualizzabile nello schema seguente, Roberts puntualizza dunque in modo esatto le caratteristiche principali che consentono di operare una distinzione tra brand e lovemarks.

D‟altra parte, come spiega l‟autore in una intervista ad Alan Webber di Fast Company: “I Trustmarks vengono dopo i brands, i Lovemarks dopo i Trustmarks…Come si fanno i soldi di solito? Si fanno quando utenti fedeli forti consumatori, usano sempre il tuo prodotto. E‟ lì che stanno i soldi. Quindi è meglio una storia d‟Amore a lungo termine che un rapporto di fiducia”212.

212

La fedeltà di chi ama i lovemarks è per Roberts una “fedeltà oltre la ragione”213. Come scritto sul sito stesso di lovemarks:

“I Lovemarks raggiungono il vostro cuore e la vostra mente, creando una connessione intima ed emotiva senza la quale non riuscirete a vivere. Mai più.

Portate via un brand alla gente e troverà come rimpiazzarlo. Togliete loro un lovemark e le persone ne reclameranno l‟assenza. I lovemarks sono una relazione non una mera transazione. Voi non comprerete semplicemente i lovemarks, li abbraccerete con passione. Ecco perché non vorrete lasciarli andare.

Detto in parole semplici, i lovemarks ispirano: è una fedeltà oltre la ragione”214.

Il vero potenziale dei lovemarks può dispiegarsi poi con tutta la propria forza soprattutto nell‟online. Scrive Roberts:

“Internet come medium è stato affossato dalle misurazioni di efficacia, calcolando accessi e click invece di scoprire come interagire nella vita delle persone. La mia esperienza coi consumatori mi convince che c‟è una vita emotiva su Internet cui possiamo attingere”215.

I lovemarks appartengono dunque, in primo luogo, alla gente che li ama. Come detto da Tim Sanders216, citato a sua volta da Roberts

213

Il corsivo è nostro. 214

La citazione è tratta da: http://www.lovemarks.com/index.php?pageID=20020 [15 dicembre 2010]. La traduzione è nostra, la versione originale è la seguente: “Lovemarks reach your heart as well as your mind, creating an intimate, emotional connection that you just can‟t live without. Ever. Take a brand away and people will find a replacement. Take a Lovemark away and people will protest its absence. Lovemarks are a relationship, not a mere transaction. You don‟t just buy Lovemarks, you embrace them passionately. That‟s why you never want to let go. Put simply, Lovemarks inspire: loyalty behind reason”.

215

K. Roberts, op. cit., p. 167. 216

Ex Chief Solutions Officer di Yahoo! ed autore del libro Love is the Killer App: How to Win

“Se pensate al viral marketing e alle persone che raccomandano vivamente il vostro servizio ad altri convincendoli ad utilizzarlo, quelli sono i vostri Consumatori Ispiratori. Sono essi stessi a vendere ciò di cui sono appassionati. […] Per l‟azienda diventano uno strumento di buzz marketing”217

.

Secondo Roberts siamo in un‟epoca che ci vede al crocevia tra tecnologia, marketing e creatività. E‟ il momento, secondo il CEO di Saatchi & Saatchi, di passare dall‟Information Economy, la Knowledge Economy, l‟Interruption Marketing (cioè il Mass Market), il Permission Marketing, l‟Experience Economy e l‟Attention Economy

ad una “Attraction Economy”218. Per Roberts il futuro della comunicazione si colloca

nell‟attrazione, cioè nella capacità che i brand – anzi i lovemarks – devono avere di attrarre le persone e di stabilire un legame con esse. Bisogna “attrarre” i consumatori non guadagnare semplicemente la loro attenzione.

Ecco infatti in sintesi le principali differenze tra attention economy e attraction economy secondo Roberts:

217

K. Roberts, op. cit., p. 170. 218

Si veda lo speech tenuto da Kevin Roberts in Florida nel settembre 2006 e disponibile online all‟indirizzo:

http://www.lovemarks.com/index.php?pageID=20022&_fr_collectionid=8&_fr_collection1id=163 [dicembre 2006].

In quest‟ottica, è dunque evidente come i fan costituiscano davvero un possibile, potente strumento per gli uomini di marketing, e come la loro affettività verso il prodotto possa determinare consistenti cambiamenti ed influenzare le normali logiche produttive. Gli audiovisivi, inoltre, rappresentano secondo noi un significativo caso di lovemarks dato che, come vedremo nei capitoli successivi, il loro carattere di beni esperienza rende complesso il posizionamento sul mercato e la previsione del loro andamento.