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Nel documento don bosco in vaticano (pagine 35-40)

A lcuni mesi prima della presa di Roma veniva inaugurata la Stazio­

ne Termini all'Esquilino. L'ing. Bian­

chi, progettista dell'edificio conce­

pito con una certa grandiosità, si sentì dire da Pio IX Mastai: « E così, voi avete predisposto la stazione di Roma capitale d'Italia ». Non era cieco Pio IX. Sapeva (e all'occor- renza veniva a ricordarglielo don Bosco) di non potere affatto conta­

re sugli aiuti delle potenze terrene e di dover perdere gli stessi domìni temporali suoi propri. Contro le opinioni dei suoi immediati prede­

cessori, non riteneva che risibili ostacoli potessero ormai ferm are il fatale corso della storia. Ma conti­

nuava ad arricchire Roma e ad ab­

bellirla, per incrollabile amore ver­

so la città. Fin dal 1846 (anno pri­

mo del suo pontificato) aveva emesso una notificazione per una gara d'appalto tra società che in­

tendessero partecipare alla crea­

zione della rete ferroviaria dello Stato pontificio; ed era com e por­

re le premesse al ravvicinam ento di tutte le regioni d'Italia e al con­

centram ento del sistema ferrovia­

rio sulla futura capitale. Intorno al 1860 e nel decennio conclusivo del suo governo, le diverse linee ferroviarie, attestate provvisoria­

mente in vari punti della periferia, furono condotte a convergere nel­

la nuova stazione centrale (1863).

Sicché va ascritto al merito di Papa Mastai se la nuova Italia potè in un certo senso giungere in treno a Roma.

Q uesta soluzione portò al rapi­

do popolamento dell'Esquilino e allo sviluppo dei quartieri intorno al Castro Pretorio. Al piano

urbani-stico provvide la preveggenza e capacità organizzativa di un gio­

vane prelato belga, buon interpre­

te dei progetti papali, di nome ed auspicato una fondazione sale­

siana in Roma, ricevendone que­

sta curiosa dichiarazione: « Monsi­

gnore, le nostre Regole sono ap­

Che il piano edilizio proposto da mons. de Merode fosse felice, lo prova il fatto che dopo la presa di Roma (20 settembre 1870) l'espan­

sione sull'Esquilino non che arre­

starsi s'accelerò, incrementando ivi quasi una città nuova. Ricordia­

mo che quel progetto era nato nel periodo in cui — risvegliate dallo sviluppo econom ico ed emule del­

le imprese parigine del grande pre­

fetto G. E. Haussman — tutte le maggiori città europee mettevano in atto nuovi piani regolatori. L'in­

tuizione fondam entale del de M e­

rode consistette nell'immaginare la crescita di Roma in quella zona collinare che già aveva attratto le attenzioni di Sisto V Peretti (1585­

1590) ma che ormai da tre secoli, specie per crisi idrica, era stata ab­

bandonata. Non ai piemontesi, ma al ministro pontificio, spetta il me­

rito di avere ideato (tra l'altro) una grande strada detta « Pia », diven­

tata poi via Nazionale, per collega­

re il centro storico con la zona di Termini e con i quartieri esquilini in continua espansione. Al cui com ­ pletamento m ancava tuttavia qualcosa...

M ancava un supplemento d'anima. Neppure una chiesa era stata innalzata nei nuovi quartieri.

E qui è da sottolineare la cura che di solito Pio IX aveva invece dedi­

cato alle chiese di Roma. Quel Pa­

pa aveva una sua grande strategia spirituale, rilevabile non solo dal Concilio V aticano I e dai suoi con­

tenuti (Primato, Infallibilità), ma dalla sua azione missionaria, spe­

cie nelle Am eriche, dal ristabili­

mento della gerarchia in Gran Bre­

tagna, dalla sfida alla rivoluzione mediante grandi documenti come il Sillabo, dalla riaffermazione della centralità e dal primato di Roma con iniziative a carattere dogmati­

co (proclamazione del dogma ma­

riano dell'im macolata, canonizza­

zioni significative, ecc.), da tutto un insieme di iniziative, insomma, che riaffermavano Roma come centro ideale del vasto mondo cattolico. Tanta grandezza del pontificato Mastai è ancora in gran parte da riscoprire sui versan­

ti dell'opinione pubblica italiana, troppo intenta al solo urto contin­

gente della politica risorgimentale.

A ben guardare nei fatti, l'atteggia­

mento di quel Pontefice fu pro­

gressista e profetico, nel senso che stagliò Roma al di sopra della pre­

Non si contano le chiese roma­

ne che inalberano lo stemma Ma- stai per ricordare i radicali restauri o la stessa fondazione. Se a un cer­

to momento venne meno questa cura degli edifici ecclesiastici, ciò fu dovuto in gran parte alla spolia­

zione di beni e di autorità subita dal Pontefice. Q uesta sorte toccò anche all'Esquilino. Al dilatarsi dei quartieri — in gran parte popolari, aggrediti da immigrati eterogenei in cerca di lavoro e di sistema­

zione — non fece riscontro alcuna preoccupazione spirituale, che nessuno ebbe dopo il fatidico 1870. Il clero veniva definito l'« esercito nero » di una Chiesa in cerca di rivendicazioni temporali.

Si inneggiava piuttosto a Giordano Bruno e a ogni altro « martire » del­

l'oppressione clericale. In tale con­

testo soltanto Pio IX, benché esau­

sto di mezzi, rivolse l'attenzione agli « abbandonati » dell'Esquilino, e fu una riaffermazione del proprio primato spirituale, in tempi di così aggressiva violenza materialista.

Quell'attenzione non fu episo­

dica. Era partito dal Belgio un mo­

vim ento inteso a prom uovere la consacrazione della Chiesa uni­

versale al S. Cuore. « Mi parrebbe assai accetta al Cuore di Gesù la promessa — diceva il promoto­

re — che verrà innalzato in Roma, a spese dei cattolici d'Italia, un tempio in onore del divin Cuore qualora si ottenga il trionfo della Chiesa e del romano Pontefice ».

In parallelo fu coinvolta la Francia, che mediante una sottoscrizione nazionale elevò una chiesa al S. Cuore sulla collina di Mont- martre. E resta da verificare se

ana-loghi intenti non abbiano sug­ vescovi italiani consacrarono al S. Cuore le rispettive diocesi. E Pio IX, che già pensava a una chie­

sa sull'Esquilino, decise d'intitolarla al S. Cuore appunto. Senonché la morte del Papa arenò ogni pro­

getto di costruzione. A ricaldeg­

giare l'iniziativa fu Leone XIII con una lettera ai vescovi di tutto il mondo. Le risposte giunsero posi­

tive e il 17 agosto 1879 fu posta la prima pietra del tempio. Questo doveva sorgere su disegno dell'ar­

chitetto pontificio Francesco Ve- spignani, in stile bramantesco, ma i lavori dovettero essere tosto so­

spesi per m ancanza di fondi, né valse a dare fiducia una consisten­

te offerta dal Belgio, a patto che i disegni fossero modificati in puro stile gotico nordico. Davanti a in­

sormontabili difficoltà, Leone XIII ricorse a don Bosco, che in un'udienza del 5 aprile 1880 si sentì autorevolmente interpellato al ri­

guardo. « Ma io non potrò darvi superavano di parecchio quelli delle altre città italiane. « Chiedo solo — soggiunse — di poter edifi­

care accanto alla chiesa un O rato­

rio e una scuola per i più poveri tra i figli del popolo ». Il Papa acco n­

sentì e benedisse l'impresa con ogni benefattore che volesse con­

correre alla sua riuscita.

Vi fu tuttavia chi volle osteggia­ un'istruzione; perciò lasciamolo in pace ». D'intesa con il cardinale Vicario Raffaele Monaco La V ailet­

ta, don Bosco portò a termine l'opera in sette anni. Logoro co­

m'era in salute e attempato in età, dovette sobbarcarsi a estenuanti viaggi per l'Italia, la Francia, la Spa­ Bosco vedeva finalmente realizza­

to il suo desiderio di avere una se­

de stabile in Roma. Varie case gli erano già state proposte da Pio IX, altre gliene avevano offerte vari benefattori, ma tutte inadeguate e precarie, inclusa la « cappellania » presso le nobili Oblate di Tor de' Specchi dove ebbe stanza la prima Procura salesiana. Q uesta volta si trattava di un Oratorio vero e proprio annesso alla chiesa del S. Cuore, con tanto si scuole d'arti e mestieri, corsi umanistici, e ogni altra iniziativa già sperimentata a Valdocco. Subito quest'impresa suscitò consensi, ma — strano a dirsi — più dalla stampa « laica » e agnostica che da quella cattolica, al solito piuttosto avara di ricono­

scim enti...

La consacrazione del tempio ebbe luogo il 14 maggio 1887 con una solenne liturgia del Cardinale Vicario Nom ine Pontificis e con la partecipazione di don Bosco che contro il parere dei medici sfidò la malferma salute e venne a suscita­

re in Roma com mozione ed entu­

siasmo. In quei giorni, rilevano le

« Memorie », la stanza del santo di­

venne mèta di continue visite:

porporati, prelati, ecclesiastici, se­

minaristi, nobili, dignitari e molti popolani fecero ressa per incon­

trarlo e parlargli. Leone XIII ricevet­

te due volte don Bosco avanti i fe­

steggiamenti per esprimergli la gratitudine della Santa Sede.

Mentre tante personalità auto­

revoli solennizzavano la festa e l'ottavario, risuonavano nel tem ­ pio le scelte esecuzioni musicali della Schola cantorum di V ald oc­

co diretta dal M° G. Dogliani.

Per l'occasione fu cantata tra l'al­

tro la M essa dell'incoronazione del Cherubini. Il 16 maggio infine, di buon mattino, don Bosco volle ce­

lebrare una Messa all'altare del- l'Ausiliatrice. Intendeva ringraziare Gesù e Maria per il com pim ento dell'opera, ma soprattutto confi­

dare il suo « consum m atum est», ritenendo com piuta la faticosa missione terrena. Lo circondava molta folla, ma egli non l'avvertì. La biare lupi in agnelli, presagiva la di­

latazione della missione nello spa­

zio e nel tempio ad opera dei suoi Spirito contro quanti avrebbero preteso di ridurre Roma a mera

« città terrena »; si era situato nel grande progetto storico-ecclesiale di un Papa che in tristi momenti ri­

vendicava a Roma, « caelestis urbs », il titolo di capu t mundi.

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Nel documento don bosco in vaticano (pagine 35-40)