A lcuni mesi prima della presa di Roma veniva inaugurata la Stazio
ne Termini all'Esquilino. L'ing. Bian
chi, progettista dell'edificio conce
pito con una certa grandiosità, si sentì dire da Pio IX Mastai: « E così, voi avete predisposto la stazione di Roma capitale d'Italia ». Non era cieco Pio IX. Sapeva (e all'occor- renza veniva a ricordarglielo don Bosco) di non potere affatto conta
re sugli aiuti delle potenze terrene e di dover perdere gli stessi domìni temporali suoi propri. Contro le opinioni dei suoi immediati prede
cessori, non riteneva che risibili ostacoli potessero ormai ferm are il fatale corso della storia. Ma conti
nuava ad arricchire Roma e ad ab
bellirla, per incrollabile amore ver
so la città. Fin dal 1846 (anno pri
mo del suo pontificato) aveva emesso una notificazione per una gara d'appalto tra società che in
tendessero partecipare alla crea
zione della rete ferroviaria dello Stato pontificio; ed era com e por
re le premesse al ravvicinam ento di tutte le regioni d'Italia e al con
centram ento del sistema ferrovia
rio sulla futura capitale. Intorno al 1860 e nel decennio conclusivo del suo governo, le diverse linee ferroviarie, attestate provvisoria
mente in vari punti della periferia, furono condotte a convergere nel
la nuova stazione centrale (1863).
Sicché va ascritto al merito di Papa Mastai se la nuova Italia potè in un certo senso giungere in treno a Roma.
Q uesta soluzione portò al rapi
do popolamento dell'Esquilino e allo sviluppo dei quartieri intorno al Castro Pretorio. Al piano
urbani-stico provvide la preveggenza e capacità organizzativa di un gio
vane prelato belga, buon interpre
te dei progetti papali, di nome ed auspicato una fondazione sale
siana in Roma, ricevendone que
sta curiosa dichiarazione: « Monsi
gnore, le nostre Regole sono ap
Che il piano edilizio proposto da mons. de Merode fosse felice, lo prova il fatto che dopo la presa di Roma (20 settembre 1870) l'espan
sione sull'Esquilino non che arre
starsi s'accelerò, incrementando ivi quasi una città nuova. Ricordia
mo che quel progetto era nato nel periodo in cui — risvegliate dallo sviluppo econom ico ed emule del
le imprese parigine del grande pre
fetto G. E. Haussman — tutte le maggiori città europee mettevano in atto nuovi piani regolatori. L'in
tuizione fondam entale del de M e
rode consistette nell'immaginare la crescita di Roma in quella zona collinare che già aveva attratto le attenzioni di Sisto V Peretti (1585
1590) ma che ormai da tre secoli, specie per crisi idrica, era stata ab
bandonata. Non ai piemontesi, ma al ministro pontificio, spetta il me
rito di avere ideato (tra l'altro) una grande strada detta « Pia », diven
tata poi via Nazionale, per collega
re il centro storico con la zona di Termini e con i quartieri esquilini in continua espansione. Al cui com pletamento m ancava tuttavia qualcosa...
M ancava un supplemento d'anima. Neppure una chiesa era stata innalzata nei nuovi quartieri.
E qui è da sottolineare la cura che di solito Pio IX aveva invece dedi
cato alle chiese di Roma. Quel Pa
pa aveva una sua grande strategia spirituale, rilevabile non solo dal Concilio V aticano I e dai suoi con
tenuti (Primato, Infallibilità), ma dalla sua azione missionaria, spe
cie nelle Am eriche, dal ristabili
mento della gerarchia in Gran Bre
tagna, dalla sfida alla rivoluzione mediante grandi documenti come il Sillabo, dalla riaffermazione della centralità e dal primato di Roma con iniziative a carattere dogmati
co (proclamazione del dogma ma
riano dell'im macolata, canonizza
zioni significative, ecc.), da tutto un insieme di iniziative, insomma, che riaffermavano Roma come centro ideale del vasto mondo cattolico. Tanta grandezza del pontificato Mastai è ancora in gran parte da riscoprire sui versan
ti dell'opinione pubblica italiana, troppo intenta al solo urto contin
gente della politica risorgimentale.
A ben guardare nei fatti, l'atteggia
mento di quel Pontefice fu pro
gressista e profetico, nel senso che stagliò Roma al di sopra della pre
Non si contano le chiese roma
ne che inalberano lo stemma Ma- stai per ricordare i radicali restauri o la stessa fondazione. Se a un cer
to momento venne meno questa cura degli edifici ecclesiastici, ciò fu dovuto in gran parte alla spolia
zione di beni e di autorità subita dal Pontefice. Q uesta sorte toccò anche all'Esquilino. Al dilatarsi dei quartieri — in gran parte popolari, aggrediti da immigrati eterogenei in cerca di lavoro e di sistema
zione — non fece riscontro alcuna preoccupazione spirituale, che nessuno ebbe dopo il fatidico 1870. Il clero veniva definito l'« esercito nero » di una Chiesa in cerca di rivendicazioni temporali.
Si inneggiava piuttosto a Giordano Bruno e a ogni altro « martire » del
l'oppressione clericale. In tale con
testo soltanto Pio IX, benché esau
sto di mezzi, rivolse l'attenzione agli « abbandonati » dell'Esquilino, e fu una riaffermazione del proprio primato spirituale, in tempi di così aggressiva violenza materialista.
Quell'attenzione non fu episo
dica. Era partito dal Belgio un mo
vim ento inteso a prom uovere la consacrazione della Chiesa uni
versale al S. Cuore. « Mi parrebbe assai accetta al Cuore di Gesù la promessa — diceva il promoto
re — che verrà innalzato in Roma, a spese dei cattolici d'Italia, un tempio in onore del divin Cuore qualora si ottenga il trionfo della Chiesa e del romano Pontefice ».
In parallelo fu coinvolta la Francia, che mediante una sottoscrizione nazionale elevò una chiesa al S. Cuore sulla collina di Mont- martre. E resta da verificare se
ana-loghi intenti non abbiano sug vescovi italiani consacrarono al S. Cuore le rispettive diocesi. E Pio IX, che già pensava a una chie
sa sull'Esquilino, decise d'intitolarla al S. Cuore appunto. Senonché la morte del Papa arenò ogni pro
getto di costruzione. A ricaldeg
giare l'iniziativa fu Leone XIII con una lettera ai vescovi di tutto il mondo. Le risposte giunsero posi
tive e il 17 agosto 1879 fu posta la prima pietra del tempio. Questo doveva sorgere su disegno dell'ar
chitetto pontificio Francesco Ve- spignani, in stile bramantesco, ma i lavori dovettero essere tosto so
spesi per m ancanza di fondi, né valse a dare fiducia una consisten
te offerta dal Belgio, a patto che i disegni fossero modificati in puro stile gotico nordico. Davanti a in
sormontabili difficoltà, Leone XIII ricorse a don Bosco, che in un'udienza del 5 aprile 1880 si sentì autorevolmente interpellato al ri
guardo. « Ma io non potrò darvi superavano di parecchio quelli delle altre città italiane. « Chiedo solo — soggiunse — di poter edifi
care accanto alla chiesa un O rato
rio e una scuola per i più poveri tra i figli del popolo ». Il Papa acco n
sentì e benedisse l'impresa con ogni benefattore che volesse con
correre alla sua riuscita.
Vi fu tuttavia chi volle osteggia un'istruzione; perciò lasciamolo in pace ». D'intesa con il cardinale Vicario Raffaele Monaco La V ailet
ta, don Bosco portò a termine l'opera in sette anni. Logoro co
m'era in salute e attempato in età, dovette sobbarcarsi a estenuanti viaggi per l'Italia, la Francia, la Spa Bosco vedeva finalmente realizza
to il suo desiderio di avere una se
de stabile in Roma. Varie case gli erano già state proposte da Pio IX, altre gliene avevano offerte vari benefattori, ma tutte inadeguate e precarie, inclusa la « cappellania » presso le nobili Oblate di Tor de' Specchi dove ebbe stanza la prima Procura salesiana. Q uesta volta si trattava di un Oratorio vero e proprio annesso alla chiesa del S. Cuore, con tanto si scuole d'arti e mestieri, corsi umanistici, e ogni altra iniziativa già sperimentata a Valdocco. Subito quest'impresa suscitò consensi, ma — strano a dirsi — più dalla stampa « laica » e agnostica che da quella cattolica, al solito piuttosto avara di ricono
scim enti...
La consacrazione del tempio ebbe luogo il 14 maggio 1887 con una solenne liturgia del Cardinale Vicario Nom ine Pontificis e con la partecipazione di don Bosco che contro il parere dei medici sfidò la malferma salute e venne a suscita
re in Roma com mozione ed entu
siasmo. In quei giorni, rilevano le
« Memorie », la stanza del santo di
venne mèta di continue visite:
porporati, prelati, ecclesiastici, se
minaristi, nobili, dignitari e molti popolani fecero ressa per incon
trarlo e parlargli. Leone XIII ricevet
te due volte don Bosco avanti i fe
steggiamenti per esprimergli la gratitudine della Santa Sede.
Mentre tante personalità auto
revoli solennizzavano la festa e l'ottavario, risuonavano nel tem pio le scelte esecuzioni musicali della Schola cantorum di V ald oc
co diretta dal M° G. Dogliani.
Per l'occasione fu cantata tra l'al
tro la M essa dell'incoronazione del Cherubini. Il 16 maggio infine, di buon mattino, don Bosco volle ce
lebrare una Messa all'altare del- l'Ausiliatrice. Intendeva ringraziare Gesù e Maria per il com pim ento dell'opera, ma soprattutto confi
dare il suo « consum m atum est», ritenendo com piuta la faticosa missione terrena. Lo circondava molta folla, ma egli non l'avvertì. La biare lupi in agnelli, presagiva la di
latazione della missione nello spa
zio e nel tempio ad opera dei suoi Spirito contro quanti avrebbero preteso di ridurre Roma a mera
« città terrena »; si era situato nel grande progetto storico-ecclesiale di un Papa che in tristi momenti ri
vendicava a Roma, « caelestis urbs », il titolo di capu t mundi.
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