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Fallimento e processo tributario: correlazioni e interferenze

Conclusioni

La tutela del fallito è stato il leitmotiv della ricerca, perché in un ordinamento di diritto non può e non deve essere immaginabile una procedura concorsuale aperta nel 1987 e chiusa nel 2008.

Il fallimento era visto nel passato come una “colpa grave”1 e

aveva pesanti ripercussioni sul godimento e l‟esercizio dei

1 Si pensi che prima della riforma, il fallimento determinava la perdita

dell‟elettorato attivo e passivo. Tale effetto era previsto dall‟art. 2 DPR 223/1967, secondo cui non sono elettori e di conseguenza non sono eleggibili, coloro che sono dichiarati falliti finché dura lo stato del fallimento, ma non oltre cinque anni dalla data della sentenza dichiarativa. Questa sanzione portava con sé altre limitazioni, essendovi attività che per legge sono precluse a coloro che siano privi dei diritti politici come la professione di avvocato, di dottore commercialista, di ragioniere, di notaio, di geometra ecc.. La riforma ha abrogato l‟art. 2 DPR 223/1967 che disponeva la cancellazione dei falliti dalle liste elettorali e ne discende che sono venute meno per il fallito le preclusioni all‟esercizio di attività per le quali è previsto il godimento dei diritti civili e politici.

diritti civili per i soci persone fisiche che venivano travolti dalla dichiarazione di fallimento dell‟impresa.

Oggi tale scenario non può essere accettato in uno stato di diritto, perché le situazioni che portano ad un fallimento possono essere innumerevoli e non sempre dovute a negligenza dell‟imprenditore2.

La lentezza della procedura concorsuale è la prima evidente lesione subita dalle parti del procedimento – anche dai creditori – e il caso esaminato non è di certo isolato. Infatti, la questione è stata ripetutamente portata all‟attenzione della CEDU che non ha potuto non rilevare la irragionevole durata delle procedure concorsuali3, il mancato rispetto del diritto alla

2 Se si analizzano i dati contabili della società R.e.v. (nome di fantasia della

società oggetto del caso concreto), è palese che il fallimento poteva essere evitato. La ditta edile composta da due soci tra l‟altro coniugi, all‟apertura del fallimento presentava un attivo di €555.912,52 e creditori ammessi al passivo per €943.979,70 (con conseguente passivo iniziale per €388.067,18). Si consideri che alcuni fabbricati erano in costruzione e con pochi interventi hanno raddoppiato il loro valore. Inoltre, è stata venduta all‟asta l‟abitazione personale dei soci e quella dei fidejussori bancari con annessi dei terreni. Il fallimento ha visto soddisfatti, il 100% dei creditori privilegiati, mentre quelli chirografari nella misura del 45,48%. Il fallimento è stato chiuso con debiti residui pari ad €374.842,22. Questo dimostra che il fallimento è stato generato da una assenza di liquidità e il debito residuo derivava soprattutto dagli interessi bancari su prestiti che negli anni ottanta erano davvero elevati.

3 Si veda il caso SHAW c. Italia (n. 981/04), in cui la CEDU ha accertato la

violazione dell‟articolo 6 (per eccessiva durata della procedura fallimentare) della Convenzione, dell‟articolo 1 del Protocollo n° 1 (tutela dei beni) e dell‟articolo 2 del Protocollo n° 4 (libertà di circolazione); e la sentenza datata il 15 novembre 1996, con cui i giudici di Strasburgo hanno condannato l‟Italia per il mancato rispetto del “termine ragionevole” nell‟ambito dello svolgimento di una causa fallimentare celebratasi davanti al Tribunale di Fermo.

vita privata e familiare e in alcuni casi l‟assenza di un ricorso effettivo davanti alla giurisdizione nazionale4.

Uno degli aspetti più interessanti attiene proprio alla tutela della corrispondenza, prevista dall‟art. 8 CvEDU e che nella procedura fallimentare viene assoggettata al controllo costante del curatore, ai sensi dell‟art. 48 L. Fall.5.

Invero, prima della riforma, la corrispondenza veniva consegnata direttamente al curatore fallimentare che doveva trattenere quella riguardante gli interessi patrimoniali. Al fallito era riconosciuto solo il diritto di prenderne visione con inevitabile contrazione della tutela giurisdizionale e in particolare dell‟esercizio dell‟azione tributaria.

Ciò che non può essere in alcun modo derogato, soprattutto in materia tributaria, è la conoscenza della pretesa impositiva

4 Artt. 6, 8 e 13 della CvEDU. La disciplina della equa riparazione per la

irragionevole durata del processo trova applicazione anche nella procedura fallimentare, in quanto la nozione di procedimento presa in considerazione dall'art. 6, par. 1, della citata Convenzione Europea, in conformità anche alla interpretazione fornita dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, riguarda anche i procedimenti esecutivi e in genere tutti i processi che appartengono alla giurisdizione, essendo condotti sotto la direzione o la vigilanza del giudice a garanzia della legittimità del loro svolgimento. Tuttavia, la Corte europea dei diritti dell‟uomo è solita escludere dall‟art. 6 della Convenzione la materia tributaria, in quanto ancora facente parte del

“nocciolo duro delle prerogative della potestà pubblica”. Per tutti F. Gallo, “Verso un “Giusto processo” tributario” in Rassegna tributaria 1/2003, pag.

11.

5 Si consideri che nella formulazione originaria dell‟art. 48 L. Fall. in vigore

fino al 16.01.2006, era previsto che “La corrispondenza diretta al fallito

deve essere consegnata al curatore, il quale ha diritto di trattenere quella riguardante interessi patrimoniali. Il fallito ha diritto di prendere visione della corrispondenza. Il curatore deve conservare il segreto sul contenuto di questa estraneo agli interessi patrimoniali”.

anche in ragione della struttura tipica dell‟accertamento e della riscossione. Gli atti tributari sono atti recettizi che vengono conosciuti dal destinatario solo con la notifica.

Infatti, nonostante il fallito resti soggetto passivo di imposta, non sussiste alcun obbligo per l‟amministrazione finanziaria di notificare gli atti dell‟accertamento ovvero gli atti della riscossione in pendenza di un fallimento6, stante la possibilità

riconosciuta dalla giurisprudenza di procedere all‟insinuazione al passivo utilizzando “titoli” differenti dal ruolo7.

Le ripercussioni di questo sistema sono innumerevoli con riguardo ai principi del diritto e all‟effettività della tutela, perché viene meno la certezza – o meglio la stabilità – delle singole posizioni.

Il principio di effettività8, in particolare, impone di approntare un bagaglio di tutele processuali idonee ad assicurare una protezione pienamente satisfattiva alle situazioni soggettive, anche nelle ipotesi in cui si è generata l‟insolvenza di un‟impresa.

6 Per un esame si veda A. Carinci “La Cassazione conferma il proprio orientamento sulla non necessità della notifica della cartella ai fini dell'insinuazione al passivo” op. cit..

7 Cass. SS.UU. 4126/2012 op. cit..

8 Previsto in ambito nazionale dagli artt. 24, 103, 113 Cost., nonché in

La centralità della tutela del fallito, non deve essere confusa però con una preminenza rispetto alla tutela dei creditori e in special modo della potestà pubblica, essendo due aspetti della stessa medaglia che devono essere bilanciati e non contrapposti.

La conoscenza piena ed effettiva della pretesa fiscale, genera certezze e linearità della riscossione anche nell‟ipotesi del ritorno in bonis del fallito9.

Del resto la giurisprudenza ha affermato a chiare lettere che

"nel caso di contestazione del debitore erariale il giudice delegato non ha modo di verificare la fondatezza delle censure, essendo le relative questioni rimesse al giudice tributario, in mancanza del ruolo (e della relativa impugnazione) l'esito della domanda di ammissione dovrà essere necessariamente sfavorevole per il creditore, attesa l'impossibilità, per il giudice delegato del fallimento, di formulare giudizio di merito al riguardo"10.

Tale soluzione è inevitabile, stante la prevalenza della riserva di giurisdizione dettata dall‟art. 2 DLgs 546/92, rispetto all‟art.

9 Nel caso esaminato se le notifiche al solo curatore non fossero state

ritenute nulle e non si fosse ottenuto il decreto di esdebitazione, il fallito avrebbe dovuto corrispondere gli importi portati dalle cartelle di pagamento. Di conseguenza, alcuni principi posti a favore del fallito hanno dei vantaggi anche per l‟amministrazione.

24 L. Fall.. Del resto se il giudice delegato non può conoscere l‟an e il quantum della pretesa fiscale e il processo tributario nasce e si sviluppa attorno ad un atto impugnabile, non potrebbe esserci altra soluzione.

Non vi sono, tuttavia, reali benefici per l‟ente impositore a procedere senza la preventiva notifica di un atto impugnabile, essendo possibile ricorrere anche al ruolo straordinario.

È pur vero che se l‟istanza di insinuazione al passivo viene presentata dall‟Agenzia delle entrate, senza ricorso al ruolo, si potrà insinuare l‟intero ammontare del credito e non solo la quota oggetto di intimazione, non dovranno essere rispettati i termini prescritti per l‟affidamento all‟Agente della riscossione e non conterrà l‟aggio. Si ridurrebbero, inoltre, le cd. “insinuazioni ultra-tardive” consentite ai sensi dell‟art. 101 L. Fall.11 in ragione della difficoltà di dar prova della non

imputabilità del ritardo, non essendo necessario, secondo la Cassazione, attendere i tempi dell‟affidamento del ruolo12.

11 F. Paparella “Insinuazione al passivo tardiva dei crediti fiscali: recenti ordinanze della Suprema Corte tra vecchie questioni e nuova disciplina dell‟accertamento esecutivo” op. cit..

12 A. Carinci “L‟ammissione al passivo dei crediti tributari”, op. cit. e G.

D‟Angelo “L‟insinuazione al passivo fallimentare del credito tributario”, op. cit.. Per una critica della ricostruzione operata dalle Sezioni Unite si veda L. Del Federico “Innovazioni giurisprudenziali sui crediti tributari nel

Tali vantaggi, tuttavia, sono davvero irrisori rispetto alla stabilità generata dal ruolo, sia per il fallito, sia per l‟amministrazione. Inoltre, la disciplina fallimentare deve essere rapportata e coordinata con la normativa tributaria che all‟art. 87 DPR 602/73 espressamente individua nel ruolo la base per la domanda di insinuazione al passivo.

La ratio degli interventi giurisprudenziali è certamente quella di voler riportare tutti i creditori, compresa l‟amministrazione finanziaria, all‟interno delle regole procedimentali dettate dalla legge fallimentare, dando preminenza agli artt. 53 e 93 della legge stessa.

È evidente che si è tentato di abolire – meglio di negare – un “privilegio” ulteriore di natura procedimentale per il credito di imposta, ma non può essere perseguito un siffatto obiettivo eludendo le regole dettate in tema di riscossione, fondate su una struttura tracciata proprio per garantire al contribuente l‟esercizio dei diritti previsti dall‟ordinamento13.

13 Il principio della parità delle parti del rapporto di imposta si è affermato

nel corso del tempo, unitamente al principio di effettività della tutela. Per tutti si veda P. Boria, “L‟interesse fiscale”, Torino, 2002; F. Moschetti, “Il

principio democratico sotteso allo Statuto dei diritti del contribuente e la sua forza espansiva” in Riv. dir. trib. 2011, pag. 753.

Sembra volersi ribadire con fermezza che i cd. privilegia fiscii14 non possono e non devono essere considerati sul piano procedimentale come uno strappo alla regola della par condicio

creditorum, in quanto operano esclusivamente ai fini gerarchici

interni, ossia per stabilire l‟ordine e il concorso con gli altri interessi di natura privatistica, ugualmente garantiti dalla Costituzione e con essi concorrenti.

La normativa sui privilegi fiscali dispone certamente un diverso grado di preferenza del credito erariale in ragione della fonte pubblicistica, senza però riconoscere preferenze procedimentali aggiuntive o rafforzative15.

Tale ricostruzione è assolutamente condivisibile e apprezzabile ma non può appiattirsi sul contenuto dell‟art. 93 L. Fall..

Infatti, come viene riconosciuta una deroga alla vis attrattiva dell‟art. 24 L. Fall. con riguardo alla giurisdizione tributaria, si deve accettare una deroga al contenuto della domanda di insinuazione al passivo per il credito di imposta, che deve

14 Sul tema dei privilegi fiscali si rinvia, senza pretesa di esaustività, a F.

Batistoni Ferrara “I privilegi del credito tributario”, Milano, 1971; Id.

“Privilegi” in Trattato di diritto tributario, diretto da Amatucci, Padova,

1994, II, pag. 317; C. Glendi “Privilegi: II) Privilegi del credito di imposta” in Enc. giur. Treccani XXIV, Roma, 1991; S. Ghinassi “Privilegi fiscali” in Enc. dir. Agg., II, 1998, pag. 722.

15 A. Giovannini – A. Marinello, “I privilegi del credito di imposta: profili sostanziali”, in F. Paparella (a cura di), Il diritto tributario delle procedure

necessariamente essere fondato sul ruolo, in quanto espressamente stabilito dalla legislazione tributaria.

Questo vincolo non crea pregiudizi per il credito fiscale, anzi garantisce una certezza anche nella fase della riscossione post – fallimento.

La semplice previsione di insinuazione al passivo a mezzo ruolo, genera una serie di importanti corollari in termini di tutela giurisdizionale che non possono essere ignorati.

Il ruolo, infatti, deve essere portato a conoscenza del destinatario, essendo un atto recettizio ai sensi degli artt. 25 e 26 DPR 602/73, con conseguente rispetto della struttura tipica della riscossione.

Il contribuente dichiarato fallito, vede così rispettati i termini decadenziali previsti dall‟ordinamento, conosce la motivazione dell‟atto a lui destinato e soprattutto può stabilire con certezza il dies a quo da cui calcolare il termine di sessanta giorni per l‟impugnazione dell‟atto.

Per dare attuazione ai principi cardine dell‟ordinamento, basta quindi applicare la normativa già esistente al fine di evitare

situazioni paradossali e condanne inutili dagli ordinamenti sovrannazionali16.

Del resto gli atti di accertamento – oggi atti esecutivi – sono di formazione unilaterale e il destinatario non ha modo di conoscerli prima della loro emissione17.

La corretta conoscenza degli atti tributari in pendenza di una procedura concorsuale, consente l‟esercizio dell‟azione giudiziaria seppur residuale. Infatti, il fallito dopo aver verificato la volontà del curatore fallimentare, potrà scegliere se intervenire in via suppletiva. L‟importante tassello della notifica degli atti tributari al fallito genera una apprezzabile base di partenza per garantire il diritto di difesa dello stesso.

16 Come noto, le convenzioni e i trattati sovrannazionali hanno il compito di

fissare esclusivamente lo standard minimo di tutela che deve essere riconosciuto da tutti gli Stati membri, che in tal modo contribuiscono all‟opera di universalizzazione dei diritti dell‟uomo. Infatti, la decisione di preferenza dell‟ambito più vicino all‟interessato avviene sia se è prevista una tutela maggiore sia a parità di condizioni. In quest‟ottica, il meccanismo del previo esaurimento dei ricorsi interni, previsto ad esempio dall‟art. 35 CvEDU, ha proprio lo scopo di creare congiunzione e coordinamento tra il livello nazionale e quello europeo per consentire, l‟intervento di quest‟ultimo, solo nel caso in cui i rimedi giurisdizionali interni si rivelino inidonei a fornire una protezione adeguata. Il giudice nazionale, pertanto, diventa il primo garante dell‟applicazione della Convenzione.

17 Tutti gli inviti, le comunicazioni e le forme di contraddittorio previste

dall‟ordinamento sono nella maggior parte dei casi facoltative e non prevedono sanzioni laddove non attivate. Dall‟altra parte se non si effettuano accessi, ispezioni e verifiche presso i locali del contribuente, solo la notifica dell‟avviso di accertamento consente di conoscere lo svolgimento di un‟attività di indagine e conseguente recupero. Si permetta un parallelismo con la materia penale in cui è possibile conoscere se una persona è stata iscritta nel registro delle notizie di reato, con l‟istanza di cui all‟art. 335 c.p.p..

Restano, tuttavia, alcune problematiche procedurali: la concorrenza delle azioni dei destinatari dell‟atto, stante l‟impossibilità per il fallito di attendere il decorso del termine previsto per il curatore per procedere con una impugnazione personale, e il riconoscimento di un intervento del fallito nel processo tributario intrapreso dal curatore.

Questi due aspetti, se risolti, eleverebbero notevolmente l‟effettività della tutela giurisdizionale riconosciuta al fallito, in quanto si offrirebbe la possibilità di partecipare al contenzioso tributario, in ragione sia della qualifica di soggetto passivo di imposta e sia di destinatario degli effetti della sentenza al momento del ritorno in bonis.

Con riguardo alla prima questione si potrebbe ipotizzare per il curatore fallimentare l‟obbligo di notifica del ricorso ai fini della

litis denuntiatio, ossia per informare il fallito della proposizione

del ricorso avverso la pretesa fiscale. Ciò consentirebbe in termini pratici al fallito di non procedere ad una impugnazione autonoma18, stante l‟assenza di legittimazione processuale.

18 Nell‟ipotesi in cui il fallito abbia già provveduto a notificare un proprio

ricorso avverso l‟atto di recupero, potrebbe non iscrivere a ruolo la causa così da evitare una declaratoria di inammissibilità, evitando di dover versare le spese di giustizia e anche scongiurando una condanna al pagamento delle spese processuali, ai sensi dell‟art. 15 DLgs 546/92.

Per quanto attiene, invece, alla questione di ammettere nel processo tributario un intervento adesivo dipendente19, non sembrerebbero sussistere motivi ostativi, in quanto nel processo tributario è prevista la possibilità di avere una pluralità di parti, sussiste per l‟interveniente un legame con l‟atto di recupero e soprattutto con il rapporto sotteso, essendo il fallito il soggetto passivo di imposta esposto agli effetti della sentenza tributaria.

Secondo autorevole dottrina20, l‟interesse che legittima il terzo

all‟intervento adesivo dipendente, risiede proprio nell‟opportunità di evitare il formarsi di un precedente giurisprudenziale sfavorevole, pertanto l‟istituto può essere perfettamente coordinato con la perdita di capacità processuale prevista per il fallito dall‟art. 43 L. Fall..

L‟intervento del fallito avrebbe il preciso obiettivo di migliorare e definire la linea difensiva intrapresa dal curatore, offrendo ad

19 La soluzione migliore sarebbe quella di riconoscere la possibilità di

procedere con un intervento autonomo, ma l‟istituto andrebbe certamente a cozzare con la normativa che prevede solo una legittimazione processuale residuale per il fallito. Infatti, l‟intervento automono comporterebbe la possibilità di ampliare il thema decidendum, presentando motivi ulteriori e nuovi rispetto a quelli proposti dal ricorrente principale.

esempio una diversa valutazione giuridica dei fatti21, senza mutare il thema decidendum.

Questa soluzione garantirebbe al fallito non solo un controllo sull‟operato del curatore, stante l‟esposizione ai riflessi, anche di carattere sanzionatorio, che conseguono alla definitività dell'atto impositivo, ma una puntuale e calzante linea difensiva, in ragione della conoscenza diretta dei fatti contestati, essendosi formati prima della dichiarazione di fallimento.

Ad esempio contestazioni da parte dell‟amministrazione finanziaria circa l‟antieconomicità delle spese sostenute ovvero delle scelte commerciali operate dal fallito difficilmente potrebbero essere contrapposte in ricorso dal curatore fallimentare22.

La possibilità di esercitare un diritto di difesa pieno garantisce una ripresa della riscossione post – fallimento priva di intralci e

21 M. Mauro, “Controversie tributarie e posizione processuale del fallito nell‟ordinamento italiano”, op. cit.

22 Il criterio di antieconomicità utilizzato dall‟amministrazione finanziaria

per disconoscere spese o scelte aziendali, deve infatti essere valutato caso per caso, con piena cognizione dei fatti e delle valutazioni che hanno determinato un investimento, poiché l‟economicità o meno dell‟operazione non può essere valutata in astratto, in via teorica, ma in concreto comparando rischi e benefici e certamente tale giudizio non può essere dato ex post dall‟ufficio in sede di accertamento, che avviene dopo anni dall‟operazione oggetto di recupero. (Cassazione, sentenza 3947/2011).

contestazioni, a meno che non sia intervenuta l‟esdebitazione del fallito.

L‟istituto dell‟esdebitazione, infatti, come introdotto dalla nuova formulazione dell‟art. 142 L. Fall., si inserisce perfettamente nel solco tracciato dall‟odierna riforma fallimentare, ispirata ad una prospettiva di recupero del patrimonio imprenditoriale, più che all‟accentuazione del carattere sanzionatorio ed afflittivo della procedura, aspetti propri della vecchia legge del 1942.

Gli stringenti requisiti previsti per l‟esdebitazione, la necessaria notifica del ricorso ai creditori concorsuali e il parere richiesto al curatore fallimentare e al comitato dei creditori, impediscono un‟esclusione sic et simpliciter dei crediti di imposta.

Come illustrato nel terzo capitolo di questo lavoro non hanno pregio i tentavi di negare l‟esdebitazione fiscale utilizzando i temi dell‟estraneità dei tributi dall‟esercizio di impresa ovvero del principio dell‟indisponibilità dell‟obbligazione tributaria. Inoltre, il dato normativo non esclude affatto i crediti fiscali dall‟esdebitamento fallimentare, anzi ragionando a contrario sembra aver ricompreso nell‟art. 142 L. Fall. integralmente la materia tributaria.

Infatti, nella L. 3/2012 all‟art. 14 terdecies è stata puntualmente prevista un‟esclusione in ambito fiscale23, pertanto l‟assenza di qualsiasi riferimento nell‟art. 142 L. Fall. deve essere intesa nel senso più ampio possibile.

L‟esdebitazione, comunque, non può essere considerata un premio per il fallito, perché è subordinata al possesso di stringenti requisiti. Del resto anche la transazione fiscale consente all‟istante il pagamento parziale dei tributi, con conseguente “estinzione” della parte falcidiata.

È proprio sul dato letterale dell‟art. 142 L. Fall. che si vuole porre l‟attenzione. La norma, infatti, recita “L'esdebitazione

non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti,