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Limiti soggettivi del giudicato ed effetti della sentenza tributaria nella procedura concorsuale Il

Effetti delle sentenze dei giudici tributari e passivo fallimentare

3. Effetti della sentenza tributaria e contrasto di giudicat

3.2 Limiti soggettivi del giudicato ed effetti della sentenza tributaria nella procedura concorsuale Il

giudicato formatosi a seguito di una contestazione nel procedimento di verifica dello stato passivo ovvero in un giudizio riassunto dal curatore, in ragione della nuova formulazione dell‟art. 96 L. Fall., ha effetti solo all‟interno della procedura concorsuale56.

54 Per una ricostruzione delle due tesi dottrinali si veda A. Jorio, "Le crisi d'impresa. Il fallimento", in Tratt. dir. priv. Iudica Zatti, Milano, 2000, pag.

631; per un esame della giurisprudenza sempre A. Jorio, op. cit., pag. 631; tra gli altri A. Ferretti, "Accertamento del passivo e dei diritti reali mobiliari.

Effetti dell'accertamento", in Diritto fallimentare, collana diretta da I.

Greco, III, Milano, 1995, pag. 89, nt. 11; e M. Montanari,

"Dell'accertamento del passivo e dei diritti reali mobiliari. Introduzione", in

Le procedure concorsuali, G.U. Tedeschi (a cura di), I, 2, Torino, 1996, pag. 689.

55 R. Romei “Crisi di imprese e garanzie dei crediti di lavoro”, Milano, 1990,

pag. 90.

56 Soluzione raggiunta anche dalla dottrina maggioritaria, prima del DLgs

La disposizione solleva non pochi interrogativi se posta in raffronto con la materia tributaria, stante le peculiarità del rapporto tra amministrazione e soggetto fallito, a seguito della chiusura del fallimento.

Occorre ribadire che il fallito resta soggetto passivo di imposta esposto alla conseguenze anche sanzionatorie dell‟accertamento ovvero del recupero posto in essere dall‟amministrazione finanziaria.

Gli effetti di un‟applicazione diretta dell‟art. 96 L. Fall. anche al giudicato tributario possono comportare una contrazione della tutela del fallito in sede giurisdizionale, essendo possibile adire le commissioni tributarie solo laddove ricorrano precisi requisiti.

Del resto il giudizio promosso dal curatore o dal fallito in opposizione all‟insinuazione al passivo dell‟Agente della riscossione (ovvero dell‟amministrazione) o in caso di riassunzione, dovrebbe essere riportato ai principi generali della legge fallimentare, essendo una “parentesi extraterritoriale”57 del procedimento di verifica dello stato

passivo.

57 Termine utilizzato da M. Montanari “Controversie tributarie nel fallimento e conflitto di giudicati” in GT Rivista di Giurisprudenza Tributaria, 2/2015,

Sicché, gli effetti della sentenza tributaria non dovrebbero avere una dimensione oggettiva e soggettiva diversificata rispetto alle decisioni del giudice delegato.

Il fallito, pertanto, non dovrebbe essere vincolato al giudicato tributario formatosi in sede di accertamento dello stato passivo su iniziativa del curatore, non perché non ha assunto la qualità di parte nel contenzioso ai sensi dell‟art. 2909 c.c., ma per una espressa deroga prevista in materia fallimentare.

Tuttavia, tali passaggi non soddisfano appieno, perché il fallito resta privato di qualsiasi tutela una volta tornato in bonis. Come accennato sopra, gli altri creditori riacquistano l‟esercizio delle azioni nei confronti del debitore e lo stato passivo divenuto definitivo costituisce anche prova scritta per la richiesta di un decreto ingiuntivo.

In ambito civile, di conseguenza, si riattivano i rapporti sospesi dall‟apertura della dichiarazione di fallimento, mentre in materia tributaria gli atti utilizzati per l‟insinuazione al passivo e notificati al curatore e al fallito diventano definitivi decorso il termine di sessanta giorni.

È evidente, quindi, che si opera su piani completamente differenti e per poter esaminare al meglio la questione, occorre

analizzare la dottrina e la giurisprudenza precedenti alla riforma58, anche per consentire un raffronto.

Prima della riforma fallimentare e in assenza della disposizione dettata dall‟ultimo comma dell‟art. 96 L. Fall., si distingueva tra due ipotesi: l‟impugnazione in sede tributaria del soggetto fallito quale titolare di una legittimazione passiva residuale condizionata all'inerzia della curatela e l‟impugnazione di un atto in una fase precedente la dichiarazione di fallimento. Nella prima fattispecie, non sussistevano particolari problematiche, in quanto il fallito presa contezza della pretesa tributaria ne contesta il merito in sostituzione del curatore fallimentare.

La seconda ipotesi, invece, si presenta più complessa in quanto con la dichiarazione di fallimento il processo intrapreso dal contribuente poi dichiarato fallito viene interrotto ai sensi dell‟art. 43 L. Fall., per essere riassunto dal curatore fallimentare.

Questo meccanismo, però, non sempre ha funzionato59, comportando due diversi problemi riguardati gli effetti – e

58 La disposizione riportata nell‟ultimo comma dell‟art. 96 L. Fall. è stata

inserita dal DLgs 5/2006.

59 In alcune circostanze, il curatore non ha conosciuto la pendenza della lite

e il fallito ha portato avanti il contenzioso. Non è raro che il curatore abbia poi impugnato gli atti oggetto dell‟insinuazione al passivo, con conseguente duplicità di contenziosi e di giudicati.

quindi l‟utilizzabilità – della sentenza tributaria e il contrasto di giudicati.

Le modifiche apportate dal DLgs 5/2006 all‟art. 43 L. Fall., hanno tentato di risolvere tale situazione, prevedendo espressamente un‟ipotesi di interruzione ex lege.

Infatti la dottrina maggioritaria60, prima della riforma, sosteneva la non rilevabilità d‟ufficio del difetto di legittimazione processuale del fallito, con la conseguenza che gli atti posti in essere dal fallito, sia sostanziali che processuali, non erano di per sé invalidi, ma semplicemente inopponibili alla procedura e pertanto caratterizzati da inefficacia relativa, che solo il curatore poteva eccepire.

La nuova formulazione dell‟art. 43 L. Fall. stabilisce, invece, un principio differente, riconoscendo la rilevabilità d‟ufficio e l‟interruzione automatica del processo, stante la deroga generale alle regole in materia di interruzione.

La ratio è quella di evitare che i processi vengano interrotti a distanza di tempo su eccezione di parte; ciò comporta che gli atti posti in essere dal fallito dopo l‟apertura della procedura fallimentare, non hanno valore giuridico, in quanto la

60 Per tutti F. Marelli “Commento all‟art. 43 L. Fall.” in Il nuovo diritto

fallimentare – Commentario diretto da A. Jorio, coordinato da M. Fabiani, 2006, pag. 713.

dichiarazione di fallimento interrompe automaticamente il giudizio dallo stesso intrapreso.

Tale circostanza, in ogni caso, sembrerebbe non comportare anche il superamento dell‟interpretazione dottrinale secondo cui la sentenza pronunciata tra le parti originarie, nell‟ipotesi di mancata interruzione, non è inutiliter data, “potendo produrre

i suoi effetti nei confronti del fallito che abbia riacquistato la sua capacità, ma è da considerarsi inopponibile alla procedura fallimentare”61.

Alla stessa soluzione sembra giungere la Suprema Corte con la sentenza n. 16816/201462, in cui afferma “In tema di

contenzioso tributario, la sentenza di merito che accerta il credito erariale nei confronti del curatore del fallimento, il quale, pur avendone contezza, non sia intervenuto nell'autonomo giudizio introdotto dal fallito ed avente ad oggetto il medesimo atto impositivo, spiega i suoi effetti solo nella procedura concorsuale in quanto funzionale alla scelta dell'Amministrazione finanziaria di ottenere un titolo ai fini dell'ammissione al passivo. Ne consegue che il giudicato formatosi in detto giudizio non può essere opposto dal fisco al

61 Cfr. Cass. 24963/2010 in Il Fall. 2011, pag. 749; si veda altresì Caiafa “La legge fallimentare riformata e corretta” Padova 2008, pag. 287.

62 Cass. 16816/2014, in GT – Riv. giur. trib. 2015, pag. 144 con nota di M.

contribuente tornato "in bonis", nei cui confronti risulti pronunciata altra sentenza del giudice tributario, anch'essa passata in giudicato, di annullamento dell'atto impositivo, poiché i due giudicati operano su piani distinti e non può essere ravvisato un contrasto tra gli stessi, visto che nei rapporti tributari la sostituzione processuale del curatore al fallito è caratterizzata da elementi di peculiarità e resta subordinata e limitata alle valutazioni di opportunità del primo”.

Le conclusioni a cui giungono i giudici di legittimità devono essere esaminate tenendo ben in considerazione la disciplina

ratione temporis applicabile alle fattispecie sottese.

Infatti, in entrambe i casi decisi, il fallimento era stato dichiarato prima della riforma del 2006 e di conseguenza trovava applicazione la precedente formulazione dell‟art 43 L. Fall., che non derogava alla regola dettata dall‟art 300 c.p.c., secondo cui l'interruzione del processo a seguito della perdita della capacità della parte costituita si verifica soltanto quando il procuratore della stessa dichiari in udienza o notifichi alle altre parti l'evento interruttivo.

Sicché, se l‟interruzione non veniva fatta rilevare dalla parte, non poteva essere eccepita d‟ufficio dal giudice e il processo

proseguiva tra le parti originarie e l'eventuale sentenza pronunciata nei confronti del fallito non era nulla, né inutiliter

data, ma solo inopponibile al fallimento - rispetto al quale il

giudizio in tal modo proseguito costituisce res inter alios acta - e può produrre i suoi effetti nei confronti del fallito che abbia riacquistato la sua capacità.

È evidente che tale principio, come anticipato, può trovare applicazione anche nell‟attuale assetto normativo, in quanto il fallito che ha proseguito il giudizio63 ha ottenuto una pronuncia

priva di qualsiasi collegamento con l‟accertamento dello stato passivo e per la quale non può operare la disposizione dell‟ultimo comma dell‟art. 96 L. Fall.

Più articolato è il caso esaminato dalla sentenza 16816/2014, in cui il fallito e il curatore fallimentare hanno impugnato lo stesso atto impositivo con due differenti giudizi (nonostante il curatore conoscesse il ricorso presentato dal fallito)64.

63 Non essendo stata rilevata la perdita della capacità processuale del

fallito, né dalle parti né dal giudice, il processo anche se interrotto automaticamente è continuato e di conseguenza la decisione esiste nell‟ordinamento giuridico, almeno per le parti originarie. Il curatore, invero, potrebbe anche scegliere di non intervenire una volta reso edotto della pendenza del giudizio e di conseguenza il fallito potrebbe proseguire con pieno titolo in ragione della legittimazione processuale residuale.

64 L'autonoma e tempestiva impugnazione dell‟atto impositivo proposta dal

curatore fallimentare, escludeva il presupposto della "inerzia o disinteresse" degli organi della procedura concorsuale, cui è ricollegata la insorgenza della legittimazione processuale "sostitutiva" del fallito.

Sul punto si richiama quanto già sostenuto nel precedente capitolo, circa il riconoscimento di una capacità processuale del fallito solo supplettiva rispetto a quella del curatore e non certamente concorrente65. La Corte ha ritenuto che le due

sentenze operassero su piani differenti, perché quella del curatore era opponibile alla procedura, mentre quella ottenuta dal fallito si rifletteva sulla sua sfera personale dopo la chiusura del fallimento. Le motivazioni addotte riguardano l‟assenza di partecipazione del fallito al giudizio intrapreso dal curatore e la mancata sostituzione ad opera del curatore66. Di conseguenza, gli effetti della sentenza tributaria ottenuta a seguito della verifica dello stato passivo, anche prima della riforma, venivano ricondotti ad un piano endofallimentare. L‟assenza di una puntuale disposizione ha portato ad utilizzare motivazioni fondate sui limiti soggettivi del giudicato e sulla sostituzione processuale.

65 In caso di impugnazione del curatore fallimentare, il fallito non avrebbe

potuto adire la commissione tributaria Cfr. Cass. 5384/2016, in banca dati Ipsoa.

66 La Corte ha ritenuto che il curatore assumerebbe le vesti di sostituto

solamente quando abbia ad attivarsi in un certo modo, subentrando al contribuente fallito in un giudizio già pendente anziché promuoverne uno

ex novo, ovvero quando lo dica espressamente, dichiarando apertis verbis

di agire "in rappresentanza" del fallito e non della massa. In realtà, questa ricostruzione non è avvalorata dalla normativa in quanto il curatore opera a tutela della massa dei creditori e del fallito.