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FALLIMENTO E PROCESSO TRIBUTARIO: CORRELAZIONI E INTERFERENZE

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Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche

Indirizzo “Giustizia Costituzionale e diritti fondamentali” Curriculum “Diritto processuale tributario”

Fallimento e processo tributario:

correlazioni e interferenze

Dottoranda Relatore

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INDICE SOMMARIO

INTRODUZIONE

pag. 01

CAPITOLO I

PROCESSO TRIBUTARIO E DICHIARAZIONE DI

FALLIMENTO pag. 14

1. La sentenza dichiarativa di fallimento e

l‟interruzione dei processi pendenti pag. 14 1.1 La riassunzione del processo interrotto pag. 24 2. La legittimazione processuale del fallito pag. 32

2.1 L‟inerzia del curatore quale requisito per la

legittimazione processuale del fallito pag. 36 2.2 Notifica degli atti impositivi o mera

conoscenza pag. 40

2.3 Concorrenza tra azione del curatore e del

fallito pag. 49

2.4 La difesa tecnica del curatore pag. 50 3. Litisconsorzio e intervento del fallito nel

processo tributario pag. 52

3.1 L‟intervento pag. 56

CAPITOLO II

EFFETTI DELLE SENTENZE DEI GIUDICI TRIBUTARI

E PASSIVO FALLIMENTARE pag. 61

1. I rapporti tra giurisdizione tributaria e

procedimento di accertamento del passivo pag. 61 2. Il titolo per l‟ammissione al passivo pag. 69

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2.1 Il ruolo pag. 71 2.2 I titoli diversi dal ruolo e le aperture

giurisprudenziali pag. 76

2.3 Aspetti processuali e tutela del fallito pag. 79 3. Effetti della sentenza tributaria e contrasto di

giudicati pag. 87

3.1 La cosa giudicata in materia tributaria pag. 88 3.2 Limiti soggettivi del giudicato ed effetti

della sentenza tributaria nella procedura

concorsuale pag. 96

3.3 Contrasto di giudicati pag.105

CAPITOLO III

L‟ESDEBITAZIONE E L‟OBBLIGAZIONE TRIBUTARIA pag.109 1. Riscossione e processo tributario dopo il ritorno

in bonis del fallito pag.109

2. Cenni all‟istituto dell‟esdebitazione pag.116 3. L‟esdebitazione e l‟obbligazione tributaria pag.122

3.1 I rapporti estranei all‟esercizio di impresa pag.125 3.2 Indisponibilità dell‟obbligazione tributaria pag.128 4. La lite temeraria nel processo tributario a

seguito di esdebitazione pag.135

CONCLUSIONI

pag.149

(5)

Tesi di dottorato in Scienze Giuridiche

Indirizzo “Giustizia Costituzionale e diritti fondamentali” Curriculum “Diritto processuale tributario”

Fallimento e processo tributario:

correlazioni e interferenze

Introduzione

Il tema che si è scelto di affrontare durante gli anni di dottorato, nasce da un‟esigenza reale, oserei dire umana, in quanto mi sono trovata ad analizzare, nell‟esercizio della professione forense, la posizione di un fallito assoggettato ad una procedura concorsuale aperta nell‟anno 1987 e chiusa nell‟anno 2008.

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Il ruolo di professionista e di “appassionata” del diritto hanno offerto l‟occasione per fare ricerca e tentare di superare la dicotomia ormai creatasi tra sapere e realtà.

Sempre con maggior enfasi si sta diffondendo l‟idea che la ricerca deve essere finalizzata alla risoluzione di un problema si studia per offrire risposte al caso concreto, come se il sapere fosse merce1.

La realtà, invece, può e deve stimolare l‟interprete, in quanto vivifica la disposizione, ma non devono essere trascurati i pilastri del sapere giuridico, a cui tutto deve essere ricondotto. Purtroppo si sta facendo spazio l‟immagine di una dualità tra la ricerca e l‟applicazione della legge, come se non fossero due facce della stessa medaglia, ingenerando una netta separazione tra lo studioso e colui che si trova a dover dare applicazione alla legge2.

Scrive A. Giovannini: “La realtà non è un accadimento

puramente accidentale che si frappone come un inciampo sulla via dell‟interprete. La realtà è ciò che il diritto regola in astratto nel suo “dover essere” (Sollen), ma anche in concreto

1 Illuminante lo scritto di A. Giovannini “Le metodologie di ricerca nel diritto tributario” in Rassegna Tributaria 1/2016, pag. 99.

2 Giovannini op. cit. “Questa asimmetria ha finito per legittimare questa separazione netta tra i due mondi, cosicché la giurisprudenza si è incamminata su una strada autonoma e i risultati della ricerca hanno finito per rimanere imprigionati in un sarcofago”, pag. 105.

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nel suo essere (Sein), perché è dalla realtà, quella composta da interessi individuali e fatti concreti, che il diritto prende avvio e alla realtà che deve tornare”.

È proprio la realtà e la durata giurassica della procedura concorsuale esaminata che hanno aperto innumerevoli interrogativi e hanno offerto l‟occasione per analizzare i fatti concreti tentando però di riportare le questioni ai principi del diritto, per giungere al fine ultimo del diritto stesso, la giustizia.

E tutto ciò ha condotto ad un esame sia del fallimento sia delle questioni processual tributarie che ne discendono, perché entrambe le materie sono portatrici di interessi propri e meritevoli di tutela e che inevitabilmente generano correlazioni e interferenze.

L‟apertura del fallimento interrompe il processo di cui il soggetto fallito sia parte, ai sensi dell‟art. 43, comma 3 L. Fall.3 con una serie di conseguenze processuali che incidono

sulla tutela dei “beni della vita” oggetto dei giudizi pendenti. Infatti, il fallito non perde la sua qualità di soggetto passivo di imposta, ai sensi dell‟art. 183 Tuir, con conseguente

3 Come modificato dall‟art 41, comma 1, DLgs 5/2006 in vigore dal 16

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esposizione a tutti gli effetti della definitività dell‟atto impositivo, anche di carattere sanzionatorio.

È proprio tale qualifica che rende necessarie molteplici considerazioni ed apre ad una serie di tutele giurisdizionali che non possono essere disattese.

L‟art. 75, comma 2, c.p.c. dispone che le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti possono stare in giudizio solo se “rappresentate, assistite o autorizzate secondo le norme

che regolano la loro capacità”: il riferimento è non solo alla

minore età, all‟interdizione o all‟inabilitazione, ma anche ad ogni altra situazione dalla quale può derivare la perdita o la limitazione della capacità di agire, in particolare, e per quanto in questa sede rileva, alla dichiarazione di fallimento, che determina l‟incapacità del fallito limitatamente ai rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento.

Al fallito, infatti, è riconosciuta una capacità processuale residuale, o meglio solo suppletiva rispetto a quella del curatore fallimentare.

È l‟inerzia del curatore fallimentare che abilita il fallito all‟esercizio dei propri diritti. Tant‟è vero che l‟eccezione di carenza di legittimazione processuale può essere fatta rilevare

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solo dal curatore fallimentare, non essendo possibile neanche la rilevazione d‟ufficio da parte del giudice4.

Il riconoscimento di una legittimazione processuale residuale non è da sola sufficiente, però, a garantire al fallito il pieno esercizio del diritto di difesa, essendo necessaria la ricezione dell‟atto impositivo contenente la pretesa tributaria.

Sono due, quindi, gli aspetti che si intersecano: la sussistenza dell‟assenza di contestazioni del curatore e la ricezione dell‟atto impositivo da parte del fallito.

Entrambi i punti aprono molteplici valutazioni. Infatti, il fallito è tenuto, prima di poter esperire l‟impugnazione dell‟atto, a verificare l‟inerzia del curatore fallimentare. In realtà, la giurisprudenza ha ritenuto che l‟inerzia deve essere intesa anche come scelta di non esperire una determinata azione giudiziale5.

Sicché, la semplice assenza di contenzioso non autorizza il fallito a procedere con una azione personale, ma dovrà verificare le ragioni del mancato intervento del curatore fallimentare6.

4 Cass. civ., sez. Unite, 21-07-1998, n. 7132.

5 Si veda Corte di Cassazione 17367/2012 con commento di C. Ferri e C.

Bellomi “La capacità processuale del fallito nell‟inerzia del curatore” in Il Fallimento, 2013, pag. 948.

6 Nella pratica trattasi di una richiesta molto gravosa a carico del fallito, in

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Altro aspetto nodale è la conoscenza da parte del fallito dell‟atto impositivo, in quanto i termini di cui all‟art. 21 DLgs 546/92 decorrono dal giorno della notifica.

Invero, nel diritto fallimentare è previsto un obbligo di cooperazione tra fallito e curatore in tema di corrispondenza. Infatti, l‟art. 48 prima della modifica apportata dal DLgs 169/2007 prevedeva l‟obbligo di consegna della corrispondenza diretta al fallito nelle mani del curatore.

Sicché, il soggetto sottoposto a procedura concorsuale restava privato di una reale conoscenza degli atti impositivi, in quanto l‟amministrazione non riteneva di dover procedere anche alla notifica diretta al destinatario.

Tuttavia, la giurisprudenza7 ha costantemente affermato la

necessità, nonché la doverosità della notifica al fallito dell‟atto tributario, sia per la possibilità del fallito di sopperire all‟inerzia

sono state sottoposte al Giudice fallimentare. Si consideri che ai sensi dell‟art. 25, n. 6) L. Fall. il Giudice fallimentare “autorizza per iscritto il

curatore a stare in giudizio come attore o come convenuto. L'autorizzazione deve essere sempre data per atti determinati e per i giudizi deve essere rilasciata per ogni grado di essi. Su proposta del curatore, liquida i compensi e dispone l'eventuale revoca dell'incarico conferito ai difensori nominati dal medesimo curatore”, pertanto potrebbe non risultare dal

fascicolo fallimentare la scelta di non impugnare un atto impositivo e/o proseguire un giudizio, essendo necessaria solo l‟autorizzazione ad esercitare l‟azione.

7 Per tutte Cass. 17687/2013, esaminata in Rassegna di giurisprudenza Dir

e prat. trib 1/2016, pag. 349 “ll debito fiscale nelle procedure concorsuali.

Parte prima. I debiti sorti prima della procedura (2006 – 2015)” a cura di

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del curatore, sia per l‟incisività della pretesa tributaria sul patrimonio del fallito tornato in bonis.

Del resto l‟art. 6 Statuto del contribuente precisamente stabilisce che “l‟amministrazione finanziaria deve assicurare

l‟effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati”.

Tuttavia, il mero riconoscimento di una legittimazione processuale supplettiva e della notifica degli atti, non assicura ancora al fallito una piena tutela giurisdizionale, stante le peculiarità del processo tributario.

Un primo problema attiene al dies a quo dal quale far decorrere, per il fallito, il termine decadenziale previsto dall‟art. 21 Dlgs 546/92. Infatti, qualora la notifica dell‟atto impositivo avvenga ad entrambi i soggetti, il fallito non potrà attendere il decorso del termine per il curatore, valutare le ragioni dell‟eventuale inerzia dello stesso e solo poi esercitare l‟azione giudiziale in via suppletiva.

Dovrà, invece, impugnare l‟atto impositivo nel termine di legge che decorre dalla propria notifica, restando, quindi, esposto al rischio di una declaratoria di inammissibilità ove si accerti che anche il curatore abbia adito la Commissione tributaria.

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Per tentare di risolvere tale impasse si esamineranno gli istituti del litisconsorzio necessario e dell‟intervento, al fine di valutare l‟applicazione ai giudizi tributari riguardanti fattispecie sorte prima della procedura concorsuale, che coinvolgono il curatore e il fallito.

Infatti, la riserva di giurisdizione in favore delle Commissioni tributarie, garantita dall‟art. 2 DLgs 546/92, deve trovare applicazione anche laddove si accerti l‟ammissione al passivo di un credito erariale e nonostante l‟art. 24 L. Fall.8.

Il diritto fallimentare prevede una competenza esclusiva del giudice delegato che è tenuto a verificare l‟anteriorità del credito riguardo alla dichiarazione di fallimento e il rispetto della par condicio creditorum.

Tuttavia, in ragione della riserva di giurisdizione, non può conoscere l‟an e il quantum della pretesa fiscale, pertanto in caso di contestazioni in sede di ammissione al passivo dovrà essere adito il giudice tributario.

Ebbene proprio tale aspetto pone altrettanti interrogativi, anche a seguito dell‟evoluzione giurisprudenziale relativa ai titoli necessari per l‟ammissione al passivo.

8 “Il tribunale che ha dichiarato il fallimento è competente a conoscere di tutte le azioni che ne derivano, qualunque ne sia il valore”.

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Infatti, equiparare il contenuto dell‟istanza di ammissione al passivo dell‟erario con quella degli altri creditori, non solo viola il disposto dell‟art. 87, comma 2, DPR 602/739, ma non valuta

le peculiarità del processo tributario e la giurisdizione esclusiva riconosciuta alle Commissioni.

Come è noto il processo tributario nasce come “reazione” ad un atto impositivo e nonostante le aperture in tema di atti impugnabili10, non tutti i provvedimenti dell‟amministrazione

possono essere oggetto di ricorso, altrimenti verrebbe meno lo schema tipico del contenzioso e la disposizione contenuta nell‟art. 19 DLgs 546/92.

La par condicio creditorum, nonostante sia un principio importante e da porre in risalto, deve in ogni caso essere coordinata con la materia tributaria, altrimenti si possono generare delle situazioni paradossali in termini di tutela.

Si pensi all‟insinuazione al passivo dell‟Agenzia delle entrate fondata sulla dichiarazione del contribuente che ha omesso il versamento delle imposte.

9 “… il concessionario chiede, sulla base del ruolo, per conto dell'Agenzia delle entrate l'ammissione al passivo della procedura”.

10 Per una disamina si veda A. Poddighe “Gli atti impugnabili dinnanzi alle Commissioni tributarie: rassegna di giurisprudenza di legittimità e dottrina”

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Le conseguenze che ne derivano in termini di ammissione allo stato passivo sono drastiche, perché l‟Agenzia delle entrate potrebbe essere esclusa in caso di contestazione11 ovvero il

fallito potrebbe venire a conoscenza del detto recupero solo all‟esito della procedura concorsuale, con la ripresa della riscossione una volta tornato in bonis.

In entrambe le ipotesi è evidente un‟assenza di garanzie, nonostante le pesanti ripercussioni, anche in termini sanzionatori, che la fattispecie genera.

Ed è proprio la fase di riscossione post – fallimento che ha portato all‟esame di tutte le fattispecie descritte, in quanto il fallito tornato in bonis, nell‟ipotesi in cui non ci sia l‟integrale soddisfacimento dei creditori concorsuali, è esposto alle azioni che i singoli vorranno intraprendere e tra questi anche dell‟amministrazione finanziaria.

In effetti, il Fisco non può esimersi dal perseguire il recupero dei crediti rimasti insoddisfatti, con conseguente ripresa della riscossione.

11 Si noti che le Sezioni Unite (sentenza n. 413/2012) hanno precisato: "tenuto conto della circostanza che nel caso di contestazione del debitore erariale il giudice delegato non ha modo di verificare la fondatezza delle censure, essendo le relative questioni rimesse al giudice tributario, in mancanza del ruolo (e della relativa impugnazione) l'esito della domanda di ammissione dovrà essere necessariamente sfavorevole per il creditore, attesa l'impossibilità, per il giudice delegato del fallimento, di formulare giudizio di merito al riguardo".

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Questa fase porterà al pettine tutti i nodi della procedura concorsuale, perché occorrerà verificare se il fallito è stato adeguatamente informato – o meglio se è stato destinatario – degli atti impositivi notificati alla curatela, se l‟amministrazione si è insinuata al passivo in forza di titoli diversi dal ruolo, se i processi pendenti sono stati correttamente interrotti12, in ragione della nuova formulazione dell‟art. 43 L. Fall. e se non è intervenuta un‟esdebitazione del fallito.

Questo nuovo istituto introdotto dalla riforma fallimentare13

con l‟art. 142, consente alla persona fisica dichiarata fallita di ottenere l‟inesigibilità di tutti i debiti concorsuali rimasti insoddisfatti14. Tale opportunità, inserisce all‟interno

dell‟ordinamento giuridico italiano una causa estintiva dell‟obbligazione diversa dall‟adempimento, di cui non può disconoscersi l‟importanza, soprattutto con riguardo agli effetti sull‟obbligazione tributaria.

12 La mancata interruzione del processo comporta una serie di conseguenza

in termini di giudicato, in quanto si potrebbero avere anche sentenze non opponibili alla massa dei creditori concorsuali.

13 Attuata con DLgs. 9 gennaio 2006, n. 5 e successivo DLgs n. 169/07, che hanno

modificato il Capo IX del Regio Decreto del 16 marzo 1942 n. 267 e regolato dagli artt. 142, 143, 144 L. Fall..

14 Ovviamente dovranno sussistere una serie di condizioni espressamente

elencate dalla norma. Per tutti si veda V. Carbone “Condizioni per la

concessione dell‟esdebitazione” in Corriere Giur., 2012, 1, 17, commento a

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Sul punto è intervenuta anche una recente ordinanza della Corte di Cassazione e precisamente la n. 23129 del 30 ottobre 2014, che ha risposto all‟eccezione sollevata dall‟Agenzia delle entrate circa l‟esclusione ope legis di tutti i debiti tributari dall‟esdebitamento, in ragione della lett. a) del comma 3 dell‟art. 142 L. Fall. e dell‟art. 53 Cost..

La norma, infatti, esclude dalla dichiarazione di inesigibilità dei debiti rimasti insoddisfatti, “le obbligazioni derivanti da

rapporti estranei all'esercizio dell'impresa”.

La Suprema Corte, però, non ha accolto le tesi dell‟Avvocatura, evidenziando alcuni aspetti fondamentali: 1) il debito tributario non può essere generalizzato in assoluto ed escluso sic et simpliciter dall‟esercizio di impresa (si pensi all‟Iva e all‟Irap); 2) in merito all‟indisponibilità dell‟obbligazione tributaria, sono ormai numerosi gli istituti che consentono al contribuente di addivenire ad un “accordo” con l‟Amministrazione15 affievolendo la portata del principio.

La possibilità riconosciuta al fallito tornato in bonis di reinserirsi sul mercato economico, tuttavia, non è così immediata come potrebbe apparire, perché al termine del

15 Si pensi all‟accertamento con adesione, ma anche la mediazione e in

particolare in materia tributaria la transazione fiscale, regolata dagli artt. 182 bis e 182 ter L. Fall..

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fallimento – anche se ha ottenuto un‟esdebitazione – potrebbe dover fronteggiare gli strascichi di una procedura concorsuale che ha generato dei vuoti di tutela che andranno assolutamente recuperati.

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CAPITOLO I

Processo tributario e dichiarazione di

fallimento

SOMMARIO: 1. La sentenza dichiarativa di fallimento e l‟interruzione dei processi pendenti; 1.1 La riassunzione del processo interrotto; 2. La legittimazione processuale del fallito; 2.1 L‟inerzia del curatore quale requisito per la legittimazione processuale del fallito; 2.2 Notifica degli atti impositivi o mera conoscenza; 2.3 Concorrenza tra azione del curatore e del fallito; 2.4 La difesa tecnica del curatore 3. Litisconsorzio e intervento del fallito nel processo tributario; 3.1 L‟intervento.

1. La sentenza dichiarativa di fallimento e l’interruzione dei processi pendenti

All‟esito dell‟istruttoria prefallimentare, il tribunale in camera di consiglio, dopo aver accertato l'esistenza dei presupposti previsti dall‟art. 1 RD 267/194216, dichiara con sentenza il fallimento dell'imprenditore17.

16 In seguito il regio decreto verrà indicato con l‟abbreviazione L. Fall.. 17 L‟istruttoria può peraltro concludersi anche con provvedimento che

dichiara l‟incompetenza del giudice adito ovvero con decreto di archiviazione che viene emanato quando il creditore ricorrente, avendo ottenuto il soddisfacimento totale o parziale del proprio credito od essendo

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La sentenza dichiarativa di fallimento può essere considerata un provvedimento complesso, essendo composta da una serie di statuizioni di diversa natura.

La pronuncia di fallimento vera e propria ha natura dichiarativa ed è idonea al passaggio in giudicato, mentre le altre statuizioni previste dall‟art 16 L. Fall. sono di natura ordinatoria18, volte a regolare lo svolgimento della procedura

liquidativa.

Aspetto interessante ai fini dell‟analisi che si sta svolgendo attiene agli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento e alla loro decorrenza. Infatti, nella precedente formulazione l‟art.16 L. Fall.19 stabiliva semplicemente che la sentenza era

stato altrimenti convinto a non insistere, ritira il ricorso per dichiarazione di fallimento (istanza di desistenza). Il tribunale non può, infatti, d‟ufficio dichiarare il fallimento, ma può solo indirizzare al PM una segnalazione affinché assuma l‟iniziativa. L‟assenza dei presupposti normativi per la dichiarazione di fallimento comporta l‟emanazione di un decreto di rigetto, provvedimento non ostativo alla proposizione di un nuovo ricorso e non suscettibile di passare in giudicato. Per un esame approfondito si veda L. Guglielmucci “Diritto fallimentare”, Torino, Giappichelli Editore, 2012.

18 1) nomina il giudice delegato per la procedura; 2) nomina il curatore; 3)

ordina al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell'elenco dei creditori, entro tre giorni, se non è stato ancora eseguito a norma dell'articolo 14; 4) stabilisce il luogo, il giorno e l'ora dell'adunanza in cui si procederà all'esame dello stato passivo, entro il termine perentorio di non oltre centoventi giorni dal deposito della sentenza, ovvero centottanta giorni in caso di particolare complessità della procedura; 5) assegna ai creditori e ai terzi, che vantano diritti reali o personali su cose in possesso del fallito, il termine perentorio di trenta giorni prima dell'adunanza di cui al numero 4 per la presentazione in cancelleria delle domande di insinuazione.

19 Modificato prima dall'art. 14, DLgs. 5/2006, con decorrenza dal

16.07.2006 e poi sostituito nella vigente versione dal comma 5 dell‟art. 2, DLgs. 169/2007, in vigore dal giorno 01.01.2008.

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provvisoriamente esecutiva e dopo orientamenti contrastanti la Suprema Corte aveva ritenuto determinante il deposito in cancelleria20 ai fini della decorrenza degli effetti.

Nel novellato art. 16, è stato recepito il consolidato orientamento della Cassazione ed è stato puntualmente individuato il dies a quo degli effetti della sentenza che sono differenziati “nei riguardi dei terzi”.

Si legge “La sentenza produce i suoi effetti dalla data della

pubblicazione ai sensi dell'articolo 133, primo comma, del codice di procedura civile. Gli effetti nei riguardi dei terzi si producono dalla data di iscrizione della sentenza nel registro delle imprese ai sensi dell'articolo 17, secondo comma”.

Sicché, la sentenza deve essere comunicata (art. 136 c.p.c.) alle parti costituite, va notificata al debitore fallito ai sensi dell‟art. 137 c.p.c., sempre a cura del cancelliere, e va fatta l‟annotazione presso il registro delle imprese del luogo in cui la procedura è stata aperta e – se diverso – anche in quello in cui l‟imprenditore ha la sede legale21. Inoltre, se nel fallimento

20 Cfr. Cass. 2382/1994 e 12573/1991.

21 L„art. 9 L. Fall. stabilisce una competenza funzionale per la procedura

fallimentare, individuando il tribunale competente in quello del luogo ove l‟impresa ha la sede principale. Il criterio, pertanto, da preminenza alla sede effettiva dell‟impresa e non alla sede legale, ossia la sede in cui si svolge l‟attività amministrativa e direttiva (Cass. 5391/2005), mentre non rileva il luogo in cui viene esercitata l‟attività produttiva. In ipotesi di trasferimento della sede la riforma ha ovviato alla incerta definizione

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sono compresi beni immobili o beni mobili registrati l‟annotazione della sentenza deve esser fatta anche presso i pubblici registri, ai sensi dell‟art. 88, comma 2, L . Fall..

In ogni caso l'aver condizionato l'efficacia della sentenza (per i terzi) all'iscrizione nel registro delle imprese comporta l'applicazione della regola generale prevista dall'art. 2193 c.c. , e cioè la presunzione assoluta di conoscenza.

La precedente formulazione dell‟art. 17 L. Fall. prevedeva, altresì, ai fini della pubblicità della sentenza, anche la pubblicazione in estratto nei fogli degli annunzi legali della provincia22.

Ebbene la sentenza dichiarativa di fallimento apre la procedura concorsuale, determinando l‟interruzione dei processi in corso, ai sensi dell‟art. 43, comma 3, L. Fall.. L‟avvio della procedura concorsuale è sempre stata considerata una causa interruttiva del processo23, ma il novellato art. 4324 ha regolato gli effetti

processuali della sentenza dichiarativa di fallimento.

utilizzata, stabilendo che “il trasferimento della sede intervenuto nell‟anno

antecedente all‟esercizio dell‟iniziativa per la dichiarazione di fallimento”

non rileva ai fini della competenza. Inoltre, il trasferimento della sede all‟estero non esclude la giurisdizione italiana se è avvenuto dopo il deposito del ricorso.

22 Tali fogli sono stati aboliti dall'art. 31 L 340/2000.

23 Per tutti F. Carnelutti “Interruzione e continuazione del processo” in Riv.

dir. proc. 1959, II, p. 658 e F. Finocchiaro “Interruzione del processo” (dir. proc. civ.) in Enc. dir. XXII, Milano, 1972, p. 445.

24 Il terzo comma dellart. 43 L. Fall. è stato aggiunto dall'art. 41, D.Lgs. 9

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La categorica statuizione contenuta nel terzo comma dell‟art. 43 L. Fall. “L'apertura del fallimento determina l'interruzione

del processo”, introduce una deroga al generale principio

dell‟interruzione dei giudizi25, determinando una interruzione

automatica26, a differenza di quanto si affermava in passato. Infatti, la dottrina maggioritaria pur ritenendo la dichiarazione di fallimento idonea a determinare l‟interruzione del processo pendente, stante la perdita di legittimazione passiva del debitore fallito27, riteneva operante l‟interruzione ope

exceptionis, ossia a condizione che l‟evento fosse ritualmente

25 Per un esame approfondito della norma si rinvia a M. Bruzzone “sub art. 40 DLgs 546/92” in Commentario breve alle leggi del processo tributario a

cura di C. Consolo e C. Glendi, Breviaria iuris Cian – Trabucchi, 2008, pag. 457.

26 Cass. 614/2016 “L'art. 43 della legge fallimentare è stato integrato con l'introduzione di un comma 3 che, nello stabilire che l'apertura del fallimento determina l'interruzione del processo, va interpretato nel senso che l'interruzione è automatica e va dichiarata dal giudice d'ufficio non appena sia venuto a conoscenza dell'evento. La norma, inoltre, come espressamente previsto dall'art. 150 D.Lgs. n. 5 del 2006, è tuttavia applicabile ai soli fallimenti dichiarati a partire dal 16 luglio 2006 (data di entrata in vigore della novella), e tanto basta ad escludere che possa esserle attribuita, seppure in via interpretativa, efficacia retroattiva”.

L‟interruzione automatica, si accompagna in genere, in dottrina, al rilievo secondo il giudice possa procedere con una dichiarazione d‟ufficio; così in dottrina F. Marelli, sub art. 43, in “Il nuovo diritto fallimentare”, Commentario diretto da A. Jorio e coordinato da M. Fabiani, tomo I, Bologna, 2006, pag. 714.

27 La perdita di capacità processuale del fallito veniva equiparata alle

ipotesi normativamente previste dall‟art. 300 c.p.c., secondo cui a seguito della morte o della perdita della capacità processuale della parte il procuratore può continuare a compiere le attività processuali e a ricevere le notificazioni. Infatti, se egli non dichiara o notifica l'evento interruttivo, il processo prosegue nei confronti delle parti originarie. Se ha ricevuto una procura ad litem per tutti i gradi del giudizio, ha anche il potere di far proseguire la causa fino alla decisione (è pienamente abilitato, ad esempio, a proporre appello in nome del defunto): i risultati del suo operato ricadranno anche sui successori universali.

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comunicato nel processo pendente con conseguente interruzione solo dal momento in cui la comunicazione veniva effettuata, come previsto dall‟art. 300 c.p.c..

Sicché, in caso di omessa denuntiatio, il processo proseguiva tra le parti originarie, dando tuttavia luogo ad una sentenza inopponibile alla massa dei creditori rispetto ai quali “il giudizio

in tal modo proseguito costituisce res inter alios acta”28.

Occorre, tuttavia, precisare che nonostante il comma terzo, dell‟art. 43 L. Fall. sia formulato in termini assoluti, è evidente che non può applicarsi ai processi relativi a rapporti giuridici non compresi nel fallimento29 e ai giudizi pendenti dinnanzi

alla Corte di Cassazione30.

L‟intervento del legislatore del 2006 può essere qualificato in termini di interpretazione autentica della norma e con la

28 Sul punto si veda Cass 6262/2002 in Giust. Civ. 2002, pag. 1508 e in

dottrina A. Caiafa “La legge fallimentare riformata e corretta”, Padova, Cedam, 2008. Per approfondimenti sulla questione cfr. infra cap. 2.

29 Sul punto si veda l‟art. 46 L. Fall.

30 Cass. 21153/2010 in cui si chiarisce “In tema di giudizio di cassazione, l‟intervenuta modifica dell‟art. 43 legge fall. per effetto dell‟art. 41 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5, nella parte in cui recita “L‟apertura del fallimento determina l‟interruzione del processo”, non comporta una causa di interruzione del giudizio in corso in sede di legittimità posto che in quest‟ultimo, che è dominato dall‟impulso d‟ufficio, non trovano applicazione le comuni cause di interruzione del processo previste in via generale dalla legge”. In dottrina V. Comerci – S. Chinaglia “Commento all‟art. 43” in AA- VV. “Commentario breve alla legge fallimentare” a cura

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precisa ratio di assicurare maggiore celerità ai processi che coinvolgono il fallimento31.

Nella relazione ministeriale di accompagnamento al DLgs 5/2006, si legge “in sintonia al criterio di delega secondo cui

occorre accelerare le procedure applicabili alle controversie in materia fallimentare (recte: in cui sia coinvolta un‟impresa dichiarata insolvente), si dispone che l‟apertura del fallimento determina l‟interruzione di diritto del processo evitando così che lo stesso possa essere interrotto a distanza di tempo qualora le parti informino formalmente il giudice ex art. 300 c.p.c.”.

È evidente la volontà di abbandonare lo schema generale dell‟interruzione del processo: la norma ha ricollegato l‟effetto interruttivo direttamente alla pronuncia della sentenza dichiarativa di fallimento, che apre la procedura concorsuale. Tale aspetto è di non poco conto se si considera che

31 Tale filone è stato confermato anche con l‟introduzione del quarto

comma dell‟art. 43 L. Fall., aggiunto dall'art. 7, comma 1, lett. b) decreto legge 83/2015, convertito, con modificazioni, dalla L 132/2015, con decorrenza dal 21.08.2015, che stabilisce “Le controversie in cui è parte un

fallimento sono trattate con priorità. Il capo dell'ufficio trasmette annualmente al presidente della corte di appello i dati relativi al numero di procedimenti in cui è parte un fallimento e alla loro durata, nonché le disposizioni adottate per la finalità di cui al periodo precedente. Il presidente della corte di appello ne da' atto nella relazione sull'amministrazione della giustizia”.

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dall‟interruzione del processo32 decorre il termine perentorio di tre mesi di cui all'art. 305 c.p.c. per la riassunzione, pena l'estinzione del procedimento in caso di inutile decorso.

Si profila, quindi, soprattutto in ambito tributario33 la necessità

di scindere il momento dell‟interruzione del processo da quello della decorrenza del termine per riassumere.

Infatti, il processo innanzi alle Commissioni tributarie risente della caratteristica struttura del diritto tributario sostanziale nella fase di attuazione del tributo. La legge determina il fatto manifestativo di capacità contributiva al cui verificarsi sorgono situazioni soggettive patrimoniali e non, oggetto di “accertamento” e di “riscossione” da parte dell‟Amministrazione con atti autoritativi che hanno la natura di provvedimenti amministrativi vincolati.

La fase di accertamento, ha la funzione di determinare la capacità contributiva della fattispecie realizzata, mentre la fase di riscossione, serve per acquisire somme via via più vicine a quanto dovuto, proprio in base alla capacità contributiva

32 Come rilevato la pubblicità della sentenza dichiarativa di fallimento varia

a seconda del soggetto interessato, ma effettuate le comunicazioni e le notificazioni previste dalla legge, decorrono tutti gli effetti di legge e quindi anche l‟interruzione automatica del processo.

33 Si applica l‟art. 43 DLgs 546/92 per l‟esame della norma si rinvia a M.

Bruzzone “sub art. 43 DLgs 546/92” in Commentario breve alle leggi del processo tributario a cura di C. Consolo e C. Glendi, Breviaria iuris Cian – Trabucchi, 2008, pag. 465.

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determinata nella fase di accertamento. Il processo davanti alle Commissioni può, pertanto, riguardare sia la fase di accertamento sia quella di riscossione, presentando così un carattere ibrido ossia da un lato è un processo impugnativo di atti (come quello amministrativo) dall‟altro incide anche sul rapporto obbligatorio, in quanto ha superato le originarie riserve in favore dell‟amministrazione34.

Tali aspetti denotano un forte interesse del ricorrente alla prosecuzione del giudizio e il decorso del termine per la riassunzione condurrebbe all‟estinzione del processo, con rilevanti conseguenze sul soggetto fallito tornato in bonis. Il problema della non coincidenza tra il momento della interruzione del processo e quello della decorrenza del termine per la riassunzione è stato esaminato anche per i giudizi civili. I Giudici della Consulta35 hanno espresso un principio

34 Per una maggiore ricostruzione delle caratteristiche del processo

tributario si veda A. Fantozzi “Nuove forme di tutela delle situazioni

soggettive nelle esperienze processuali: la prospettiva tributaria” in Riv.

dir. trib. 2004, pag. 10. Sulle questioni relative all‟oggetto del processo si rinvia alla nota n. ….

35 Sentenza della Corte Cost. 17/2010, in Corr. giur., 2010, p. 610, con

nota di F. Murino “Fictio iuris della regola dell‟ “ora zero” e dies a quo per la

prosecuzione del giudizio da parte della curatela fallimentare (dopo Corte Cost., 21 gennaio 2010, n. 17)”. La sentenza riprende un risalente

orientamento della Consulta fissato con due pronunce (139/1967 e 159/71), le quali avevano affermato l‟illegittimità della coincidenza del momento della interruzione automatica del giudizio con quello della decorrenza del termine per la sua riassunzione. Corte Cost. 139/1967 in Foro it., 1968 con cui si dichiarava l‟illegittimità dell‟art. 301 c.p.c. e Corte Cost. 159/1971 in Foro it., 1971, per l‟illegittimità dell‟art. 305 c.p.c.. In

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estremamente chiaro e applicabile all‟intero sistema processuale, di seguito riportato “In base ai principi affermati

da questa Corte si è consolidato nella giurisprudenza dei giudici di legittimità l‟orientamento secondo cui “il termine per la riassunzione del processo interrotto decorre non già dal giorno in cui si è verificato l‟evento interruttivo, bensì da quello in cui tale evento sia venuto in forma legale a conoscenza della parte interessata alla riassunzione” con la conseguenza che il relativo dies a quo “può ben essere diverso per una parte rispetto all‟altra36. … per effetto della modifica dell‟art. 43 della legge fallimentare, la dichiarazione di fallimento determina l‟interruzione automatica del processo, senza riferirsi alla decorrenza del termine per la riassunzione, come, invece, sembra ritenere il giudice a quo”37.

Appare evidente, quindi, che si tende ad escludere una perfetta coincidenza tra il momento interruttivo del processo e

dottrina V. Andrioli, “Riassunzione del processo civile a tempo

indeterminato”, in Giur. cost., 1967, pag. 1656; N. Trocker, “Riassunzione del processo e diritto di azione”, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1968, pag.

1176; C. Punzi, “L‟interruzione e l‟estinzione del processo civile e l‟art. 24

della Costituzione”, in Giur. it., 1968, I, pag. 749; V. Denti, “L‟interruzione „misteriosa‟ e l‟estinzione impossibile”, in Riv. dir. proc., 1968, pag. 603; A.

Finocchiaro, “Problemi vecchi e nuovi in tema di interruzione del processo:

il diritto alla difesa e la riassunzione del processo”, in Giust. civ., 1968, IV,

pag. 73; per la giurisprudenza v. Cass., 17 giugno 1968, n. 1943, ivi, 1968, I, pag. 1383, con nota di E. Ciaccio.

36 Cass. 24857/2008; Cass. 20361/2008; Cass. 5348/2007; Cass.

974/2006; Cass. 16020/2004; Cass. 664/2003; Cass. 12706/2001.

37 Per maggiori approfondimenti si veda anche L. Groppoli, nota a Corte

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quello di decorrenza del termine per la riassunzione, quantomeno in modo indiscriminato per tutte le parti del processo38.

Tale ricostruzione ha il pregio di scongiurare le cd. estinzioni misteriose dei processi39, ingenerate proprio dalla nuova formulazione dell‟art 43 L. Fall. che stabilisce un‟interruzione automatica, ma apre una importante questione, ossia quella di individuare il dies a quo dal quale far decorrere il termine per la riassunzione.

1.1 La riassunzione del processo interrotto. L‟art. 43

DLgs 546/92 regola la riassunzione del processo tributario dettando il termine di sei mesi dall‟intervenuta interruzione per la prosecuzione del giudizio40.

38 Contra parte della dottrina che ha affermato la perfetta e costante

coincidenza dei due termini R. Caiazzo “Gli effetti del fallimento per il

fallito” in “Fallimento e concordati” P. Celentano e E. Forgillo (a cura di),

Napoli, 2008, pag. 416; e S. Bonfatti e P.F. Censoni “Manuale di diritto

fallimentare”, Padova, 2007, pag. 116.

39 S. Loconte “Riassunzione del processo interrotto per fallimento: il conto alla rovescia parte dalla conoscenza legale”, commento alla sentenza della

Commissione Tributaria Regionale Sicilia – Sez. distaccata Catania – del 11.05.2016, n. 1853, in GT – Riv. giur. trib. 8-9/2016, pag. 701.

40 Sul punto occorre evidenziare che la L 69/2009 ha apportato numerose

modifiche al processo civile, soprattutto con riguardo ai termini per impugnare e per la riassunzione del processo. Tuttavia, l‟applicazione al contenzioso tributario non è automatica, ma va verificata caso per caso a seconda se vi sia un espresso rinvio al codice di procedura civile oppure no. Autorevole dottrina ha ritenuto che il termine per la riassunzione nel processo tributario sia rimasto invariato, in quanto non c‟è un rinvio al c.p.c. nell‟art. 43 DLgs 546/92, ma viene indicato il termine di sei mesi. Per una disamina si veda F. Tesauro “Riflessi sul processo tributario delle

recenti modifiche al codice di procedura civile” in Rass. Trib. 2010, pag.

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L‟individuazione del dies a quo dal quale far decorrere il suddetto termine assume, quindi, particolare rilievo al fine di evitare una pronuncia di estinzione del giudizio che potrebbe avere notevoli ripercussioni sostanziali.

La riassunzione, pertanto, deve essere posta in essere entro sei mesi dal momento in cui il soggetto abbia avuto effettiva conoscenza della pendenza della lite.

Si aprono così una serie di interrogativi sia in merito al concetto di conoscenza effettiva, sia con riguardo ai soggetti interessati dal fallimento.

Infatti, la decorrenza del termine per la riassunzione in un momento diverso dal verificarsi dell‟evento interruttivo (nel nostro caso la dichiarazione di fallimento) per i soggetti estranei alla procedura concorsuale non sembra creare ostacoli, in ragione della mancata conoscenza proprio dell‟evento interruttivo.

Non si giungeva, invece, alla medesima conclusione per il curatore e il fallito, ritenendo che per loro il termine per la riassunzione doveva decorrere dal momento interruttivo, stante la conoscenza della dichiarazione di fallimento.

L‟assunto da cui partiva tale ricostruzione è errato sotto un duplice profilo. In primis, la mera conoscenza dell‟emissione

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della sentenza dichiarativa di fallimento non può e non deve presupporre l‟esistenza di giudizi pendenti e di conseguenza il curatore potrebbe ignorare incolpevolmente la pendenza del processo di merito.

In secondo luogo, la normativa fallimentare prevede la necessaria notifica al fallito della sentenza, pertanto questi potrebbe avere conoscenza legale dell‟evento interruttivo solamente in un momento successivo alla pubblicazione della sentenza. Sicché, il principio espresso dalla Corte Costituzionale nel 2010, deve essere applicato a tutti i soggetti indistintamente, al fine di garantire il pieno esercizio del diritto di difesa e un‟uguaglianza sostanziale di tutte le parti interessate41.

Il tema che in realtà pone maggiori problematiche non attiene all‟individuazione del dies a quo per il decorso del termine di riassunzione, ma riguarda la conoscenza dell‟evento interruttivo e della pendenza del giudizio.

41 Cass., 5650/2013, in Dir. Fall., 2014, II, pag. 241 che, facendo

applicazione dell‟interpretazione dell‟art. 305 c.p.c. costituzionalmente orientata, afferma che “sia in relazione alla parte estranea all‟evento interruttivo, sia con riguardo alla parte da detto evento coinvolta, al fine del decorso del termine di riassunzione, non è sufficiente la sola conoscenza da parte del curatore dell‟evento interruttivo rappresentato dalla dichiarazione di fallimento ma è necessaria anche la conoscenza dello specifico giudizio sul quale il detto effetto interruttivo è in concreto destinato ad operare”; Trib. Padova, 28 ottobre 2013, in Pluris; Trib. Roma, 2 aprile 2014; Trib. Taranto, ord. 16 aprile 2015. In dottrina, G. Bettazzi, “Segnali di uniformità nell‟interpretazione giurisprudenziale

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La Suprema Corte ha ribadito che “la conoscenza deve inoltre

essere “legale” nel senso sopra chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte; deve cioè essere acquisita non in via di mero fatto ma per il tramite di una dichiarazione, notificazione o certificazione rappresentativa dell‟evento che determina l‟interruzione del processo, assistita da fede privilegiata”42. I limiti posti dalla giurisprudenza con riguardo alla conoscenza dell‟evento interruttivo e dei giudizi pendenti, non appaiono pienamente condivisibili, soprattutto con riguardo al processo tributario, in cui il ricorrente è nella quasi totalità dei casi il debitore fallito e la parte resistente, l‟Ente che ha emanato l‟atto.

Si condivide, pertanto, la tesi di non perfetta coincidenza tra l‟interruzione e il dies a quo da cui far decorrere la riassunzione, ma si deve poter riconoscere anche a fatti concreti la conoscenza dell‟evento interruttivo.

La giurisprudenza riprende, infatti, un concetto processual civilistico per dirimere la questione, senza considerare che in realtà la disciplina fallimentare detta regole proprie in tema di

42 Cass. 5650/20313 op. cit. (conf. Cassazione, 8 ottobre 2008, n. 24857,

in Mass. Giur. it., 2008; Cassazione, 8 marzo 2007, n. 5348, in Mass. Giur. it., 2007; Cassazione, 19 gennaio 2006, n. 974, in Mass. Giur. it., 2006; Cassazione, 17 agosto 2004, n. 16020, in Mass. Giur. it., 2004; Cassazione, 29 aprile 2003, n. 6654, in Mass. Giur. it., 2003; in Arch. civ., 2004, pag. 274; Cassazione, 18 ottobre 2001, n. 12706).

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conoscenza che richiamano solo in parte il codice di procedura civile.

Come illustrato precedentemente, gli artt. 16 e 17 L. Fall. fanno decorrere dal giorno della pubblicazione (richiamando l‟art. 133 c.p.c.) gli effetti della sentenza e impongono al cancelliere una serie di comunicazioni e notificazioni idonee alla pubblicità della stessa, tanto che opera per i terzi l‟art. 2193 c.c.43.

La ricostruzione processual civilistica utilizzata dalla Suprema Corte vanifica gli effetti della riforma fallimentare che è volta a contrarre la durata delle procedure concorsuali, soprattutto con riguardo alle controversie pendenti ovvero sorte nel corso della stessa44. Al contrario la Corte di Cassazione ha

43 Sul regime pubblicitario della sentenza dichiarativa introdotto dall‟art. 17

Ll. Fall. la giurisprudenza di merito (Trib. Roma 30 giugno 2009, in Il Fallimento, 2010, pag. 536, con nota di L. Groppoli) aveva ritenuto che il termine di decorrenza per la riassunzione coincidesse con l‟evento interruttivo. Inoltre, benché debba ritenersi ormai pacifica, come ribadito anche dal Tribunale di Milano, l‟irrilevanza endoprocessuale della presunzione di conoscenza ex art. 2193 c.c. dei fatti iscritti al registro delle imprese (Cass. 26 settembre 2013, n. 22056; Cass. 7 gennaio 2011, n. 266), anche parte della dottrina R. Caiazzo, “Gli effetti del fallimento per il

fallito”, in “Fallimento e concordati”, op. cit.; S. Bonfatti P.F. Censoni, “Manuale di diritto fallimentare”, Padova, 2007, 11, per quanto minoritaria,

ha sostenuto la coincidenza del momento interruttivo con il dies a quo del termine di riassunzione.

44 Sul punto si veda la relazione ministeriale di accompagnamento al DLgs

5/2006 e il DL 83/2015 conv. con mod. L. 132/2015, che ha inserito proprio nell‟art. 43 L. Fall. un quarto comma per garantire celerità ai giudizi sorti a seguito di fallimento.

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espressamente escluso la rilevanza endoprocessuale della presunzione di conoscenza di cui all‟art. 2193 c.c.45.

Orbene, anche a voler escludere un‟applicazione “estrema” dell‟art. 2193 c.c., si deve comunque riconoscere valore anche alla conoscenza di puro fatto, cioè non assistita da una fede privilegiata. Sul punto la giurisprudenza di merito46 ha offerto qualche apertura riconoscendo valore anche a questioni fattuali, come la richiesta di ammissione al passivo presentata dall‟Agenzia delle entrate47, non potendosi negare la

conoscenza della sentenza dichiarativa di fallimento e di conseguenza dell‟evento interruttivo almeno dalla data di presentazione dell‟istanza di insinuazione al passivo, che deve costituire il dies a quo per la riassunzione del processo, in cui l‟Ente risulta quanto meno parte costituita.

45 Orientamento risalente a Cassazione, SS. UU. 14 settembre 2010, n.

19509 (in Giur. it., 2011, pag. 1073, con nota di A. Bertolotti), in cui si afferma “Non appare da questo punto di vista ragionevole gravare la parte

interessata all'impugnazione dell'onere di una permanente consultazione del registro delle imprese al solo fine di consentirle la semplice gestione del processo. Come non appare ragionevole che le esigenze tutelate fino alla chiusura della discussione attraverso le regole di cui all'art. 300 c.p.c. diventino del tutto irrilevanti, una volta superato tale limite temporale”.

Nonché da Cass. 5650/2013, in Fallimento, 2014, pag. 170, con nota di F. Tomasso, “Riassunzione del processo interrotto per fallimento e legale

conoscenza del curatore”.

46 Trib. Brescia, 8 gennaio 2013; Trib. Taranto, 27 marzo 2013, cit., e Trib.

Reggio Calabria, 22 aprile 2013, tutte in Dir. Fall., 2014, II, pag. 241.

47 S. Loconte op. cit., commento alla sentenza della Commissione

Tributaria Regionale Sicilia – Sez. distaccata Catania – del 11.05.2016, n. 1853.

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Non può essere sottaciuto, infatti, che le ipotesi di comunicazioni imposte e previste dalla normativa fallimentare garantiscono conoscenza ai debitori del fallito, a prescindere dal controllo presso il registro delle imprese.

Si pensi alla comunicazione di cui all‟art. 92 L. Fall. formulata dal curatore fallimentare a mezzo posta elettronica certificata o con raccomandata per rendere edotti i creditori della possibilità di procedere con insinuazione al passivo.

Nel caso specifico dell‟Agenzia delle entrate, in verità, la conoscenza effettiva e formale della dichiarazione di fallimento avviene entro termini ristretti e precisi, dettati proprio dalla normativa fiscale48.

Un discorso leggermente differente deve esser posto in essere per il curatore fallimentare, il quale deve avere il tempo di prendere contezza dei giudizi pendenti.

48 Adempimenti del curatore (elencazione non esaustiva): 1) entro i

quindici giorni successivi all‟accettazione presentazione dichiarazione COMUNICA per comunicare agli enti interessati i dati necessari ai fini dell‟eventuale insinuazione al passivo (art. 29, VI comma, DL. 7/2010); 2) entro 30 giorni dalla notifica, comunicare all‟Agenzia delle Entrate la dichiarazione di fallimento con modello di variazione dati (art. 35 D.P.R. 633/72); 3) attivare il cassetto fiscale del fallito, così da poter attingere le informazioni in esso contenute; 4) entro 90 giorni dalla nomina e se vi sono beni immobili, presentare al Comune di ubicazione degli immobili una dichiarazione ai fini IMU (TASI) attestante l‟avvio della procedura (Art. 9, VII comma, DLgs 23/2011, che richiama l‟art. 10, VI comma, DLgs 504/1992); 5) entro 4 mesi dalla nomina, provvedere agli obblighi di fatturazione e registrazione relativi alle operazioni antecedenti al fallimento, se i termini non sono scaduti (art 74-bis D.P.R. 633/72).

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Tuttavia, la posizione di favore riconosciuta a quest‟ultimo dalla Cassazione49, è a parere di chi scrive eccessiva, in quanto si esclude, ai fini dell‟individuazione del dies a quo in questione, che assuma rilievo la conoscenza effettiva del giudizio pendente (derivante, ad esempio, dalle dichiarazioni in ordine ai giudizi pendenti rese al curatore dal fallito o dalla relazione del procuratore costituito in detti giudizi), finendo per avallare contegni dell‟organo fallimentare (quale l‟omissione di una tempestiva ricognizione dei giudizi in corso50) contrari ai principi di economia, celerità e certezza, tanto propri dei singoli giudizi pendenti, quanto e soprattutto interni alla procedura concorsuale51.

È certamente pregevole, pertanto, la ricostruzione volta a non identificare l‟evento di interruzione del processo con il dies a

quo per la riassunzione, al fine di garantire le tutele previste

dall‟ordinamento, ma vanno tenute in debita considerazione anche le norme proprie della procedura concorsuale, al fine di

49 Cass. 5650/2013 op. cit., anche in Il Fallimento, 2014, pag. 170 con

nota di F. Tomasso “Riassunzione del processo interrotto per fallimento e

legale conoscenza del fatto interruttivo per il curatore”.

50 Nell‟era del processo telematico, dovrebbe essere adempimento di non

difficile realizzazione, anche indipendentemente dalle informazioni fornite dal fallito e dai suoi procuratori, se solo il legislatore avesse l‟accortezza di attribuire al curatore il potere di accedere direttamente o tramite la cancelleria fallimentare ai dati detenuti dal Ministero della giustizia in ordine ai processi pendenti su tutto il territorio nazionale.

51 Sul punto V. Caridi, “La sorte dei giudizi in corso alla data del fallimento nella prospettiva del diritto concorsuale”, in Il Diritto Fallimentare e delle

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non vanificare la ratio della novella, volta ad una maggiore celerità delle procedure concorsuali e dei giudizi ad essa collegati, anche in applicazione dei principi del giusto processo e in particolare della ragionevole durata, consacrati nell‟art. 111 Cost..

Di conseguenza, in ambito tributario, i soggetti interessati alla riassunzione e alla pendenza del giudizio sono ben individuati e beneficiano di una serie di comunicazioni idonee a garantire l‟effettiva conoscenza, anche se non assistite da fede privilegiata.

2. La legittimazione processuale del fallito

L‟art. 43, comma 1, L. Fall stabilisce la capacità processuale del curatore nelle controversie, anche in corso, relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento.

Alla capacità di essere parte, che spetta a ogni persona (fisica o giuridica) cui è riconosciuta la capacità giuridica di diritto sostanziale (da intendersi quale idoneità ad essere titolare di posizioni giuridiche soggettive), si contrappone la capacità

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processuale (denominata anche legittimazione processuale o

legitimatio ad processum), la quale altro non è (art. 75 c.p.c.)

che il riflesso della capacità di agire di diritto sostanziale, ovvero l‟idoneità a proporre e ricevere validamente la domanda e a compiere gli atti del processo. È ben noto che la capacità processuale, salvo i casi in cui la legge dispone diversamente, si acquista con la maggiore età: su di essa, peraltro, possono incidere gli stessi eventi giuridici che sono in grado di escludere, limitare o condizionare la capacità di agire. Il secondo comma dell‟art. 75 c.p.c. dispone infatti che le persone che non hanno il libero esercizio dei diritti possono stare in giudizio solo se “rappresentate, assistite o autorizzate

secondo le norme che regolano la loro capacità”: il riferimento

è non solo alla minore età, all‟interdizione o all‟inabilitazione, ma anche ad ogni altra situazione dalla quale può derivare la perdita o la limitazione della capacità di agire, in particolare, e per quanto in questa sede rileva, alla dichiarazione di fallimento, che determina l‟incapacità del fallito limitatamente ai rapporti di diritto patrimoniale compresi nel fallimento. Tuttavia, a seguito della sentenza dichiarativa di fallimento, il soggetto fallito è privato dell‟amministrazione e della

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disponibilità dei beni52, ma non della qualifica di contribuente, perché ai sensi dell‟art. 183 Tuir continua ad essere soggetto passivo di imposta, restando esposto ai riflessi, anche di carattere sanzionatorio, che conseguono alla definitività dell'atto impositivo53.

Sicché, la legittimazione processuale del fallito non può essere esclusa tuot court54, soprattutto nelle ipotesi di inerzia del curatore, in cui si riconosce al fallito la possibilità di attivarsi in prima persona davanti agli organi della giurisdizione tributaria,

52 Art. 42 L. Fall. “La sentenza che dichiara il fallimento, priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento. Sono compresi nel fallimento anche i beni che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione dei beni medesimi. Il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può rinunciare ad acquisire i beni che pervengono al fallito durante la procedura fallimentare qualora i costi da sostenere per il loro acquisto e la loro conservazione risultino superiori al presumibile valore di realizzo dei beni stessi”.

53 Cass. 2910/2009.

54 Si consideri, inoltre, che la legittimazione processuale del fallito è

operante in relazione ai rapporti non compresi nel fallimento. Il fallito mantiene la legittimazione processuale nelle controversie inerenti a rapporti di carattere personale (ad es. nei giudizi di separazione tra coniugi, di scioglimento e di cessazione degli effetti civili del matrimonio), ovvero nelle liti patrimoniali relative a diritti che non fanno parte del fallimento (secondo la prevalente dottrina sono comunque sottratte al fallito le azioni mediante le quali egli intende promuovere il recupero di un suo credito e quelle di risarcimento del danno derivanti da un inadempimento contrattuale; a mero titolo esemplificativo, si ricordano la azioni di nullità del testamento, di riduzione delle disposizioni testamentari, di esclusione dell‟erede per indegnità, nonché le azioni derivate da abuso di vicinato o derivate da concorrenza sleale. Ancora, sussiste la legittimazione processuale del fallito nei giudizi di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, in quanto soggetto interessato ad agire perché colpito dagli effetti della procedura concorsuale e sempre che non abbia richiesto lui stesso il suo fallimento: è evidente che in tal caso risulterebbe carente l‟interesse ad impugnare, determinato dalla soccombenza (sulla legittimazione al reclamo avverso la sentenza dichiarativa del fallimento, v. C. Cecchella, Diritto fallimentare, Vicenza, 2015, pag. 147).

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per tutelarsi dai riflessi degli atti impositivi che diverranno definitivi55.

Si suole parlare, al riguardo, di legittimazione concorrente o suppletiva del fallito, la quale si riflette anche sul rilievo della carenza di legittimazione processuale: come si è infatti avuto modo di osservare, l‟apertura del fallimento non priva il fallito della capacità processuale in via assoluta, ma solo relativamente ai rapporti di pertinenza della procedura; di conseguenza il difetto di capacità processuale deve essere eccepito dagli organi della procedura e non può essere rilevato d‟ufficio56.

55 S. Zenati “Il fallito conserva la legittimazione ad impugnare gli avvisi di accertamento” in GT – Riv. giur. trib. 2006, pag. 500; R. Palombini “La legittimazione da parte del fallito a proporre appello alla commissione tributaria” in Bolletino Trib. 2005, pag. 102; M. Montanari, “Ancora sulla capacità processuale del fallito al cospetto delle pretese vantate nei suoi confronti dall‟Erario”, in Dir. fall., 2011, pag. 500; P.D. De Dominicis, “I rapporti fra le procedure concorsuali ed il processo tributario”, in F.

Paparella (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle imprese in crisi, Milano, 2013, pag. 498.

56 Per un ampio approfondimento si veda E. F. Ricci “Lezioni sul fallimento”,

Milano, 1992; M. Montanari “Fallimento e giudizi pendenti sui crediti” Padova, 1991; C. Vocino “Il fallito nel suo processo” in Dir. fall., 1972, pag. 262. Sul punto è tornata a pronunciarsi anche la Corte di Cassazione 22925/2012, statuendo “Questa Corte condivide l'orientamento maggioritario secondo cui la perdita della capacità processuale del fallito, a seguito della dichiarazione di fallimento, non è assoluta, ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto - e per essa al curatore - è consentito eccepirla, con la conseguenza che, se il curatore rimane inerte e il fallito agisce per proprio conto, la controparte non è legittimata a proporre l'eccezione, né il giudice può rilevare d'ufficio il difetto di capacità, e il processo continua validamente tra le parti originarie, tra le quali soltanto avrà efficacia la sentenza finale, salva la facoltà del curatore di profittare dell'eventuale risultato utile del giudizio in forza del sistema di cui agli artt. 42 e 44 L. Fall. (Cass. n. 5226 del 04/03/2011; Cass. 6.8.2008, n. 21250 Cass. n. 3378 del 20/02/2004)”; nonché Cass. civ., sez. Unite,

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2.1 L’inerzia del curatore, quale requisito per la legittimazione del fallito. L‟esame della posizione del

curatore presenta differenti aspetti, poiché diviene problematico discernere l‟inerzia motivata dal suo totale disinteresse da quella dovuta ad una negativa valutazione della convenienza della controversia, soprattutto nelle ipotesi in cui il curatore non sia mai stato parte del processo.

Peraltro, l‟inerzia non può operare laddove, al momento del compimento dell‟atto d‟impulso o dell‟iniziativa processuale, relativamente ai beni di pertinenza della procedura, gli organi di questa abbiano già assunto iniziative che dimostrino concretamente l‟interesse della massa per il diritto oggetto della controversia. Ne deriva che la legittimazione processuale suppletiva del fallito57, in deroga a quella esclusiva del curatore, opera solo in caso di effettiva inattività o disinteresse degli organi della procedura, ma non anche là dove questi si

7132/1998. La giurisprudenza nega senza alcun dubbio la rilevabilità d‟ufficio della carenza di legittimazione processuale, mentre la dottrina ha mostrato qualche apertura proprio tenendo in conto l‟automaticità dell‟effetto interruttivo generato dalla dichiarazione di fallimento, comma tre art. 43 L. Fall.; si veda F. Marelli, sub art. 43, op. cit., pag. 714; S. Pacchi, sub art. 43, in A. Nigro, M. Sandulli e V. Santoro (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, tomo I, Torino, 2010, pag. 590; V. Zanichelli, “La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure

concorsuali”, Torino, 2008, pag. 100.

57 M. Basilavecchia, “Ribadita la legittimazione attiva della società fallita”,

Corriere tributario, 2008, pag. 55, nota all‟ordinanza della Corte di Cassazione 21385/2007.

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siano attivati, essendo inconcepibile una sovrapposizione di ruoli tra fallimento e fallito58.

In merito all‟inerzia del curatore59 è bene rilevare che la scelta

di non esperire una determinata azione giudiziale non autorizza il fallito a procedere con una azione personale. È quanto rilevato dalla giurisprudenza che ha dichiarato inammissibile il ricorso per cassazione presentato dal soggetto fallito, a seguito di un giudizio di appello promosso dal curatore della procedura che aveva ritenuto, anche su parere del Giudice delegato, di non procedere ad ulteriore impugnazione60.

Tale ricostruzione presenta non poche problematiche, perché il fallito prima di poter esperire azione dovrà verificare l‟inerzia del curatore fallimentare, ma anche le ragioni del mancato intervento che, negli effetti pratici, non è sempre agevole valutare.

58 Cfr. Cass., SS.UU. 27346/2009, Il Fallimento, 2010, pag. 284, con nota

di M. Ferro “Il vizio dell‟atto di apertura della l.c.a., se non rimosso in via

definitiva lascia intatta la legittimazione del commissario alle azioni risarcitorie”; nonché, più di recente, tra altre, Cass. 24159/2013, in Il

Fallimento, 2013, pag. 1451.

59 Si veda anche il commento alla sentenza della Corte di Cassazione

17367/2012 di C. Ferri e C. Bellomi, “La capacità processuale del fallito

nell‟inerzia del curatore” in Il Fallimento, 2013, pag. 948.

60 Cass. 20163/2015 in Il Fallimento, 5/2016, p. 564 con nota di C. Bellomi “La legittimazione processuale residuale del fallito”.

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