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Riscossione e processo tributario dopo il ritorno in bonis del fallito

L’esedebitazione e l’obbligazione tributaria

1. Riscossione e processo tributario dopo il ritorno in bonis del fallito

La procedura fallimentare può incidere nella sfera personale del fallito anche dopo la cessazione, in quanto potrebbe non verificarsi un integrale soddisfacimento dei creditori concorsuali. L‟art. 118 L. Fall. individua differenti ipotesi di chiusura del fallimento, ma ai fini dell‟analisi che si sta svolgendo assume particolare rilievo il numero 3 del detto

articolo, che disciplina l‟ipotesi in cui il fallimento è chiuso per la ripartizione finale dell‟attivo.

I creditori, quindi, compresa l‟amministrazione finanziaria, possono riprendere le azioni personali nei confronti del fallito tornato in bonis.

Come accennato nel secondo capitolo di questo lavoro, il titolo utilizzato dall‟amministrazione per l‟insinuazione al passivo costituisce anche il cardine per la ripresa della riscossione post – fallimento1.

Si torna a ribadire che il fallito non perde la qualifica di soggetto passivo di imposta con conseguente notifica degli atti impositivi relativi ai fatti antecedenti alla dichiarazione di fallimento, anche per poter esercitare la legittimazione processuale residuale. Ciò comporta che l‟atto notificato nel corso della procedura dovrà essere impugnato nei termini di legge2 dal curatore ovvero dal fallito, pena la definitività dello

stesso.

Di conseguenza, in caso di riscossione dopo la cessazione della procedura concorsuale, il fallito non potrà adire la commissione tributaria per i vizi propri del ruolo ovvero

1 Come detto gli altri creditori concorsuali, ai sensi dell‟art. 120 L. Fall.,

possono riprendere le loro azioni e l‟ammissione allo stato passivo costituisce anche prova scritta ai sensi dell‟art. 634 c.p.c..

2 Si veda la problematica della legittimazione passiva del fallito in via

dell‟atto impo-esattivo regolarmente notificato e insinuato al passivo.

L‟esercizio del diritto di difesa del fallito trova proprio in questo passaggio un punto nevralgico anche a seguito delle innovazioni giurisprudenziali circa i titoli necessari per l‟ammissione al passivo.

Prima della sentenza delle Sezioni Unite3, infatti, si potevano

ridurre a due le ipotesi di ricorso alla Commissione tributaria a seguito della chiusura del fallimento: assenza di notifica al fallito del ruolo ovvero dell‟atto di accertamento impo-esattivo e intervenuta esdebitazione4.

Nel primo caso la giurisprudenza era costante nell‟affermare che se il fallito non aveva ricevuto l‟atto posto a fondamento dell‟insinuazione al passivo, poteva adire la Commissione una volta avuta piena contezza della pretesa tributaria5.

3 Cass. SS.UU. 4126/2012 op.cit..

4 Un esame compiuto dell‟istituto e delle ripercussioni sull‟obbligazione

tributaria verrà svolto nei successivi paragrafi.

5 Sul punto la Suprema Corte ha statuito “l'accertamento tributario, se inerente a crediti i cui presupposti si siano determinati prima della dichiarazione di fallimento del contribuente o nel periodo d'imposta in cui tale dichiarazione è intervenuta, deve essere notificato non solo al curatore - in ragione della partecipazione di detti crediti al concorso fallimentare, o, comunque, della loro idoneità ad incidere sulla gestione delle attività e dei beni acquisiti al fallimento - ma anche al contribuente, il quale non è privato, a seguito della dichiarazione di fallimento, della sua qualità di soggetto passivo del rapporto tributario e resta esposto ai riflessi, anche di carattere sanzionatorio, che conseguono alla definitività dell'atto impositivo; ne consegue che il fallito, nell'inerzia degli organi fallimentari ed a prescindere dalla valutazione da essi compiuta sul predetto

L‟esdebitazione, invece, essendo una causa estintiva dell‟obbligazione rendeva nulla e improcedibile la riscossione fondata su presupposti originati prima della dichiarazione di fallimento6. Sicché, il fallito tornato in bonis, in possesso di un

decreto di esdebitazione, poteva ricorrere alla Commissione tributaria se risultava destinatario di avvisi di mora o altri solleciti fondati su atti insinuati nella procedura concorsuale7.

Al pari delle questioni relative alla prescrizione, anche per l‟eccezione di intervenuta esdebitazione, risulta competente la giurisdizione tributaria, che può essere adita a seguito della ricezione di un atto di riscossione ovvero impugnando l‟estratto di ruolo ottenuto con un accesso agli atti8.

Dopo la richiamata pronuncia degli ermellini, invece, le ipotesi di contestazione post – fallimento potrebbero essere infinite e

accertamento, è eccezionalmente abilitato ad esercitare egli stesso tale tutela, una volta che abbia piena cognizione anche dei motivi della pretesa tributaria” (Cass. del 6 febbraio 2009, n. 2910; conf. Cass. 7561/1995). 6 Il tema verrà compiutamente trattato nei successivi paragrafi.

7 In realtà, l‟ipotesi dovrebbe essere solo un caso di scuola, in quanto alla

procedura di esdebitazione sono chiamati a partecipare tutti i creditori concorsuali, pertanto l‟Agente della riscossione dovrebbe essere ampiamente a conoscenza dell‟emissione del decreto di esdebitazione e non dovrebbe procedere con successivi atti di riscossione. Sono, tuttavia, noti casi di riscossione nonostante l‟intervenuto decreto che si concludono con la dichiarazione di cessata materia del contendere.

8 Infatti, il fallito che a seguito dell‟intervenuta esdebitazione voglia

verificare la cancellazione di tutte le posizioni pendenti e relative alla periodo pre-fallimentare, può richiedere un estratto della propria posizione e procedere a contestare la pendenza del ruolo, nonostante l‟intervento di una causa estintiva.

generare anche delle ripercussioni sul principio della par

condicio creditorum.

Infatti, il fallito potrebbe non esser stato destinatario di alcun atto di accertamento o riscossione e adire la giurisdizione tributaria, dopo la procedura concorsuale per contestare vizi propri della pretesa tributaria notificata al momento del ritorno

in bonis, ma già insinuata al passivo.

Si pensi all‟ipotesi in cui il curatore fallimentare non ha sollevato alcuna contestazione in sede di approvazione dello stato passivo e l‟Amministrazione finanziaria si è insinuata nel fallimento in forza della dichiarazione dei redditi presentata dallo stesso fallito.

Le conseguenze di tale procedura potrebbero essere infinite, anche solo in termini sanzionatori9.

Per tali ragioni la valorizzazione – recte la preminenza – attribuita all‟art. 93 L. Fall., almeno con riguardo all‟amministrazione finanziaria, non solo viola l‟art. 87, comma 2, DPR 602/73, ma genera una serie di complesse conseguenze, esaminate in parte nel precedente capitolo.

9 Si pensi alla riduzione della sanzione al 10% nell‟ipotesi in cui si aderisce

alla comunicazione inviata dall‟Agenzia delle entrate a seguito di controllo formale ai sensi dell‟art. 36 bis DPR 600/73.

Giova ribadire che sarebbe necessaria una maggiore “stabilità” della pretesa posta a fondamento dell‟insinuazione al passivo, in quanto il fallito, nonostante esposto ad una procedura concorsuale che genera lo spossessamento del suo patrimonio, non perde la tutela dei beni della vita propri del diritto tributario, ossia la corretta determinazione dei tributi in ragione della capacità contributiva e l‟esercizio della libertà, inteso come lecito risparmio di imposta.

Infatti, la macchina amministrativa che porta alla redazione di una pretesa impositiva è regolata da una serie di precisi procedimenti e relative tutele, garantite anche dallo Statuto del contribuente, che consentono di conoscere e comprendere il recupero tributario.

Questo schema non può venir meno neanche in ambito fallimentare e non può dirsi garantito dalla semplice domanda di insinuazione al passivo presentata dall‟amministrazione. L‟atto impositivo deve contenere una serie di requisiti che non sono soddisfatti dall‟istanza di cui all‟art. 93 L. Fall.. Si noti che la giurisprudenza ha affermato “… il termine per proporre il

ricorso non può decorrere, per il fallito, dalla verifica dello stato passivo nel quale sia stato - in ipotesi - insinuato il credito dell‟Amministrazione finanziaria, bensì dalla

trasmissione al medesimo dell’intera documentazione relativa alle pretese erariali azionate (cfr. Cass. 2910/2009; 4113/2014)” (Cass. 7874/2015)10.

Come rilevato da autorevole dottrina11 “L‟amministrazione,

invero, non è legittimata a richiedere e ricevere il pagamento di un tributo pur che sia. Essa è bensì titolare dell‟interesse soggettivo corrispondente, ma solo se e nei limiti in cui la pretesa si conforma alle disposizioni di diritto sostanziale (e procedurale), in aderenza, appunto, al principio di legalità: può pretendere e ricevere solo il “corretto tributo””.

Proprio tale aspetto incide sulla par condicio creditorum, perché un‟insinuazione al passivo superiore rispetto alla fattispecie contestata genera disparità illegittime.

Tuttavia, solo il fallito può conoscere appieno le scelte aziendali operate e le ragioni sottese alle singole operazioni, con conseguente capacità di contestazione dell‟accertamento effettuato dall‟Ufficio.

10 In GT – Riv. giur. trib. 2015, pag. 875 con nota di M. Montanari “Decorrenza del termine per l‟impugnazione degli accertamenti tributari non notificati al fallito”.

11 Si veda A. Giovannini “Le metodologie di ricerca nel diritto tributario” in

È proprio il potere di contestazione e partecipazione riconosciuto al fallito12 durante la procedura concorsuale a non consentire appieno l‟esercizio della tutela giurisdizionale.

È evidente che si genera un vuoto in termini di garanzie, in quanto il fallito resta soggetto passivo di imposta e dovrà attendere il ritorno in bonis per esercitare, laddove ci saranno ancora i presupposti, un‟azione giurisdizionale.