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Capitolo 2 Movimenti e associazioni: da e per l’infanzia

2.3 L’infanzia dei diritti e delle ONG

2.3.5 Famiglia, sfondo condiviso di azione

L’altro tema ricorrente nei discorsi di chi lavora in queste associazioni è legato alla famiglia. Come accennato in 2.2.3, la famiglia è stata a lungo al centro dei tentativi di modernizzazione dello stato, il cui progresso si considerava legato alle istanze morali che venivano rafforzate e perpetuate all’interno della famiglia. Tuttavia il modello familiare, fortemente patriarcale, frena l’impeto riformista dello stato che cerca di entrare in essa a dettar legge. Ancora oggi, questo modello è fortemente presente ma sta progressivamente entrando in crisi perché non si è saputo evolvere di pari passo con la società. Come sostiene Mannarelli (2002), le situazioni critiche, di presunta violenza o disordine sociale, vengono imputate dall’opinione pubblica alla perdita del principio di autorità mentre, in realtà, proprio questo modo di esercitare un potere assoluto da parte del padre/padrone – e le rigide gerarchie che da esso derivavano – ha subito una progressiva erosione, dando spazio a nuove istanze più egualitarie, che creano senz’altro frizioni e attriti tra i suoi membri, e che hanno colto impreparate le istituzioni. Per questo motivo, le diverse associazioni che lavorano con l’infanzia, sia a Lima, in un contesto urbano, che nella provincia di Cusco, si trovano molto spesso obbligate a dover agire a un livello più ampio come appunto quello familiare o comunitario, altrimenti rischiano di vedere vanificate le loro azioni.

La Casa de Panchita, oltre al lavoro realizzato in prima persona con le bambine opera nelle scuole e porta avanti un’attività di “seguimiento”, cioè di accompagnamento anche a livello familiare. Le relazioni con e all’interno delle famiglie è un tema centrale e si riflette nelle stesse attività ludiche- formative che si realizzano con le ragazze. La domenica in cui ho partecipato anch’io, le bambine stavano creando dei vasi, ricavati da bottiglie di plastica e poi adornati e colorati, dove successivamente hanno trapiantato delle talee. Lo scopo di questi laboratori è che “ogni domenica si riportino a casa qualcosa fatto con le loro stesse mani”; anche queste piccole cose sono importanti per creare momenti di dialogo e condivisione in seno alla famiglia. Una volta finita questa attività, una delle promotrici annuncia la consegna per quella seguente: “un ricordo felice di una giornata trascorsa insieme alla mia famiglia”. Le bambine sembrano entusiaste di poter disegnare, litigano un po’ per i colori e si mettono subito all’opera. Qualcuna disegna un pomeriggio al parco, un’altra una giornata in spiaggia, una festa di Natale. Una volta scaduto il tempo, insieme alla promotrice, ognuna espone il proprio disegno, cosa ha disegnato e perché. Poi parlano della famiglia, di quanto sia importante trascorrere del tempo con i genitori e parlare con loro, esprimere i propri sentimenti e pensieri. Ognuna delle ragazze dà la propria visione dei fatti, a volte con non poche difficoltà. Alcuni dei loro disegni, infatti, risultano piuttosto inquietanti, una bambina ha disegnato il padre abbastanza dettagliatamente, ma solo il busto, non ha le gambe e disegna se stessa come fosse uno schizzo, la

88 faccia rotonda senza particolari, non ha i capelli e solo tre puntini rappresentano gli occhi e la bocca. Un’altra ragazza, disegnando una piacevole passeggiata al parco con il cane disegna solo sé stessa e l’animale, ammettendo di aver “dimenticato” tutta la famiglia; un’altra non disegna il piccolo fratellino/nipotino.

Il Centro Yanapanakusun, invece, ha implementato il programma Creciendo Juntos (Crescendo Insieme) che si svolge nelle comunità rurali, proprio con la consapevolezza che per limitare i danni causati dall’allontanamento delle ragazzine, spesso quando sono ancora bambine, dalle loro famiglie di origine era necessario intervenire in esse, perché era lì che si presentavano i problemi fondamentali. Le ragazze che lavorano “a servizio” a Cusco provengono, infatti, dalle comunità campesinas dell’interno, dove la situazione di povertà e, a volte, anche degrado familiare è in stridente contrasto con la città turistica. Molto spesso i genitori sono convinti ad affidare le loro figlie a gente fidata, insegnanti, medici, conoscenti che vivono in città, gente insomma che ricopre un status maggiore, con le false promesse di garantire la prosecuzione degli studi delle ragazze dietro minimo aiuto nelle faccende domestiche. Il progetto coinvolge circa una ventina di comunità nei distretti di Accha, Omacha e Huancarani, nelle province di Paruro e Paucartambo e sono portati avanti da promotrici sociali, ex lavoratrici domestiche che hanno ricevuto una formazione specifica per lavorare in questi ambiti, diversi professionisti e volontari, come Matilde, che mi ha guidato durante le attività svolte nella comunità di Huancarani. Qui i progetti riguardano il miglioramento delle condizioni di vita e lo sviluppo integrale di bambine e bambini in età scolare (iniziale e primaria) ma lavorando a diversi livelli nella comunità, come spiega Matilde:

si vuole fare una laboratorio di falegnameria e nel fare questo si inizierà a lavorare con i ragazzi che hanno finito il liceo [le scuole superiori], qui il liceo si finisce ai 16 anni, e dopo, forse, per quelli che non vogliono continuare a studiare, che è una percentuale molto alta in realtà, o che non possono, che è anche una percentuale molto alta. Allora per dare loro la possibilità di ricevere una formazione, noi vogliamo fare diversi laboratori.

Il Centro Yanapanakusun, cerca di fornire nuove prospettive ai giovani delle comunità, affinché non siano costretti ad abbandonare troppo presto le loro famiglie. Il loro intervento non avviene, perciò, solo a livello di infanzia e adolescenza, forti della convinzione – come afferma più volte anche Vittoria, la fondatrice del centro – che il problema delle bambine lavoratrici domestiche, ma credo in generale il lavoro infantile, sia più di ordine sociale ed spetti perciò alla società di assumersene il carico. L’impressione che ho avuto e che molto spesso è stata confermata dalle diverse persone che ho incontrato e che lavorano da anni e sul campo su questa tematica, è che il lavoro infantile, possa anche essere un questione legata ad antiche tradizioni ed avere perciò un forte valore culturale ed

89 identitario, ma è impossibile negare che le situazioni di maggior degrado non siano legate alle estreme condizioni di vita che le famiglie devono affrontare in certe zone del paese, molto spesso a causa di una gestione discriminante da parte del potere centrale, in cui subentrano anche questioni di appartenenza etnica e culturale, senza tralasciare le questioni legate a strutture e legami familiari dissestati dalla diffusione, endemica in certi contesti, dell’alcoolismo e della violenza di genere e familiare.

Per tutti questi motivi, lavorare solo con i bambini e i ragazzi, come riconosce lucidamente chi è impegnato quotidianamente in tali questioni non basta:

allora proviamo a lavorare quasi quasi in parallelo sia con bambini che con i genitori perché se non lavoriamo con i genitori e con la popolazione adulta [si interrompe]…coi bambini sicuramente è molto importante perché sono loro che imparano, però se dopo arrivano a casa ed è [trovano] tutto il contrario, allora tutto è un po’ perso.

Come spiegavano più volte i responsabili, i terreni in cui sono presenti gli edifici dove si realizzano i laboratori, le Case di Cultura dove i bambini vanno a fare i compiti e giocare, in alcuni casi appartengono al Centro, ma in molti altri essi sono di proprietà delle istituzioni locali o delle comunità e allo scadere dei contratti di usufrutto l’idea sarebbe che tutto il lavoro fatto insieme non vada sprecato, che i gruppi di lavoro e le cooperative continuino ad essere operativi, a prescindere dalla presenza della ONG.

Anche per Gabriela, di Qosqo Maki, la situazione familiare è spesso ciò che determina l’uscita di molti dei ragazzi che poi vengono accolti nel dormitorio, solitamente lo fanno a causa dei maltrattamenti (fisici, psicologici, sessuali) che molto spesso si verificano all’interno delle famiglie per negligenza o a causa degli elevati tassi di alcolismo, oppure come atto di ribellione contro le condizioni di vita o in risposta ad una curiosità personale per scoprire nuovi mondi e mettere alla prova le proprie capacità. Gli educatori, lavorano in questo ambito attraverso il Programma di Accompagnamento, con attività di mediazione nel tentativo di ristabilire un contatto con la famiglia dell’utente, per ripristinare rapporti positivi tra il ragazzo ed essa. Infatti in nessuno dei casi78 si tratta di ragazzi totalmente soli, tutti hanno una famiglia, “alcuni non hanno la mamma, altri non hanno il papà o alcuni nessuno dei due, ma hanno una zia, uno zio, una nonna. Tutti hanno una famiglia e nessuno è abbandonato abbandonato”. L’educatore garantisce i processi di accompagnamento nei casi di reinserimento familiare (molti dei ragazzi ritornano alle loro case quando si stabiliscono

78 Almeno non in quelli presenti nel momento in cui si è svolta la ricerca, il che non significa che non si possa mai

90 condizioni minime di dialogo) e svolgono visite nelle case, dialoghi informali, compilazioni di registri:

allora devi andare a chiacchierare con i familiari, alcuni vengono qui…altre volte andiamo noi, qualche genitore viene piangendo perché non vuoi vivere con me? […] Alcuni papà, alcune mamme sono affascinati dall’idea, altri nemmeno se ne accorgono…non si rendono conto, basta che gli diano dei soldi, non gliene importa nulla. Ad altri infastidisce, perché pensano che si stiano perdendo [che prendano brutte strade], credono che starebbero meglio a casa propria.

Le reazioni dei familiari all’allontanamento dei bambini o dei ragazzi non sono sempre collegate a sentimenti di apprensione, come si coglie dalle parole della coordinatrice sopra riportate, ma qualunque sia il motivo che ha spinto il ragazzo ad uscire dal nucleo familiare e a prescindere dalla reazione della famiglia a tale decisione c’è la consapevolezza, da parte degli educatori, dell’importanza di questi legami per lo sviluppo emozionale della persona; è proprio questa che guida i loro interventi nei ambito familiare.

Come dimostrano i numerosi programmi o interventi che coinvolgono in un modo o nell’altro la sfera familiare, questa consapevolezza sembra essere diffusa nelle diverse associazioni.