Capitolo 3 Le voci dei bambini, le voci dell’infanzia
3.1 Sui diritti dell’infanzia
3.1.2 Verso la svolta del 1989: una nuova Convenzione sui Diritti dell’Infanzia
Dall’approvazione della Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo, nel 1959, all’approvazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, nel 1989, trascorsero ben trent’anni. Che cosa successe in questo lasso di tempo e quali furono i fattori che influenzarono la sua realizzazione? Di che portata furono le novità introdotte dalla Convenzione? Sebbene questi aspetti sono stati brevemente introdotti nel capitolo 2, andremo ora ad affrontarli più in profondità.
Per quanto riguarda la prima questione è opportuno sottolineare il radicale mutamento del contesto storico-politico, rispetto alle precedenti Dichiarazioni. Bácares Jara, nel suo lavoro sulla Convenzione la inquadra entro “tre grandi processi storici del XX secolo”: la fase finale della guerra fredda, la fase di internazionalizzazione dei diritti dell’uomo e la “nascita” della cooperazione allo sviluppo. Il primo processo spiega la concettualizzazione della Convenzione come il risultato di un enorme sforzo per trovare una mediazione, sui temi dell’infanzia e i suoi diritti, tra i due poli opposti che si contendevano lo scenario politico dell’epoca. Il secondo aspetto permette di collocare la Convezione sui Diritti dell’Infanzia all’interno di quel processo di sviluppo e perfezionamento, ma anche di crescente diffusione dei diritti umani stabiliti dalla Dichiarazione Universale del 1948, che li ha indirizzati verso quelle che Harrison (2002) chiama “discriminazioni positive”. Lungi dal rappresentare una negazione delle specificità dell’uomo storico, esse declinano i diritti universali in “titolarità specifiche” assegnate a determinati gruppi di persone. È dalla metà degli anni ’60 in poi che donne, migranti, disabili, popoli indigeni, anziani e, appunto, bambini vengono identificati come gruppi deboli, che necessitano di particolare protezione nell’affermazione e riconoscimento dei propri particolari diritti82 (Riggio 2011). Il terzo processo è quello legato all’azione, crescente dal secondo dopoguerra in poi, della cooperazione allo sviluppo tra gli stati, la società civile e le agenzie internazionali.
È in un tal contesto storico che si delinea la nascita della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia. L’UNICEF, diventata l’agenzia dell’ONU con più presenze nel mondo, ha l’incarico di vigilare sulle
82 Patto internazionale sui diritti civili e politici (1966); Convenzione ONU sull’eliminazione di tutte le forme di
discriminazione razziale (1965): Convenzione ONU per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (1979); Convenzione ONU contro la tortura e altre punizione crudeli, inumane o degradanti (1984); Convenzione sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie (1990); Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità e Convenzione internazionale per la protezione de tutte le persone dalla sparizione forzata (2006)
99 questioni dell’infanzia e dell’adolescenza (sopravvivenza e sviluppo) e coordinare l’aiuto umanitario destinato a migliorare le condizioni di vita dei bambini nei paesi sottosviluppati. Queste azioni diedero una maggiore visibilità e anche un riconoscimento alle problematiche vissute da bambini e adolescenti, mai considerate prima di allora; così nel 1976 l’Assemblea Generale dell’ONU dichiara che il 1979 sarà “Anno Internazionale del Bambino” in corrispondenza con il ventesimo anniversario della Dichiarazione del 1959 e con l’obiettivo di collocare l’infanzia tra i principali impegni della
governance globale. (Bácares Jara 2012).
Fu proprio nel corso dei lavori in preparazione a quell’evento mondiale che, nel 1979, dietro la proposta del giurista polacco Adam Lopatka fu presentato il progetto per un nuovo documento sui diritti dell’infanzia che fosse vincolante83. Il progetto presentato dalla Polonia diventò il modello di partenza per il gruppo di lavoro cui la Commissione per i Diritti Umani dell’ONU affidò il compito di redigere una Convenzione (Liebel 2009). Tra il 1979 e il 1988 il lavoro procedette a rilento dato che ogni articolo veniva discusso singolarmente e solo dopo che era stato approvato all’unanimità si procedeva all’analisi di quello successivo; questa particolare metodologia è stata collegata al complesso piano di confronto che i diritti umani rappresentavano per i due blocchi opposti durante la guerra fredda. Nel 1984 si creò un gruppo ad hoc per la stesura della Convenzione di cui facevano parte, oltre gli stati nazionali, le agenzie intergovernative84 e ONG internazionali85; si stabilì un regime di riunioni biennali per l’analisi degli articoli proposti dagli stati, in cui si presentavano progetti di articoli e si preparavano raccomandazioni. L’incorporazione di nuovi interlocutori consentì di dinamizzare i lavori e tra novembre e dicembre 1988 il Segretariato Generale, la Commissione per i Diritti Umani e la ECOSOC si occuparono della revisione tecnica della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia che il 20 novembre del 1989 fu approvata all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (Bácares Jara 2012).
I dieci anni di attesa valsero le notevoli innovazioni apportate dalla Convenzione al modo di considerare e di approcciarsi all’infanzia e meritano perciò di essere prese in considerazione. Innanzitutto, nel suo corpus di articoli oltre ai diritti di provvisione – che riguardano quegli aspetti dell’esistenza che si definiscono fondamentali per garantire un adeguato sviluppo fisico, psicologico, sociale e spirituale e quindi una vita dignitosa al bambino86 – e ai diritti di protezione – creati
83 In realtà, nel 1978 Lopatka aveva proposto di approvare nuovamente la Dichiarazione del ’59, assegnandole questa
volta il carattere vincolante e trasformandola a tutti gli effetti in una Convenzione (first polish draft). La sua proposta non fu accolta ma rinnovò l’interesse e il dibattito sui diritti dell’infanzia, e nel 1979 la Polonia presentò un secondo progetto ampliato (secondo polish draft).
84 ILO, UNESCO, OMS e UNHCR
85 Save the Children Alliance, International Catholic Child Bureau (BICE), Defenza de los Niños Internacional,
Amnesty International, tra le altre.
86 Possono essere individuati nell’art. 7 e 8 sul diritto al nome, alla nazionalità e all’identità, art. 9, 10 e 18 sul diritto a
100 appositamente per proteggere il bambino da situazioni di violenza e sfruttamento che lo denigrano e svuotano di senso tutti gli altri diritti87 – fu aggiunta una terza categoria di diritti, che rappresentò la novità più importante: i diritti di partecipazione. Con il riconoscimento di questi ultimi la Convenzione promuove la responsabilità e la partecipazione dei più giovani all’organizzazione della società civile; afferma il loro diritto ad esprimere la propria opinione e ad essere ascoltati in ogni ambito decisionale concernente la loro vita (art. 12 e 13); riconosce il loro diritto alla libertà religiosa e di coscienza (art. 14), di associazione (art. 15), e anche il diritto di proteggere la propria intimità (art. 16), così come il quelli ad avere accesso all’informazione e ai mezzi di comunicazione e a conoscere la Convenzione (art. 17 e 42).
Il riconoscimento di questo particolare gruppo di diritti procede, a mio avviso, verso ciò che Harrison indica come l’auspicata “costruzione di una nuova cultura dell’infanzia che porti al superamento della vecchia concezione adultistica” (2002: 149). Nonostante i diritti di partecipazione siano, in termini quantitativi, inferiori rispetto a quelli di protezione e provvisione, hanno comunque lo stesso peso e valore. Questo si basa, come precisa Liebel (2009) sui principi di indivisibilità (non esiste nessun tipo di gerarchia tra i diritti) e di interdipendenza (i diritti contenuti nella Convenzione si condizionano a vicenda e si ritengono totalmente implementati solo se applicati come insieme e non separatamente). Vi è infine un terzo principio alla base dei diritti dell’infanzia, ovvero l’universalità (valgono per i bambini e le bambine in tutto il mondo, senza alcuna distinzione) che analizzerò in seguito.
Un altro aspetto fortemente innovativo di questa carta è che non si limita a riconosce particolari diritti ai minori, ma rende questi ultimi soggetti giuridici a tutti gli effetti nel momento in cui stabilisce che tali diritti debbano essere loro garantiti in maniera concreta. Per questo scopo sono state istituite una serie di strutture (comitati di vigilanza, gruppi governativi ed autonomi) che attraverso rapporti, raccomandazioni e denunce, si occupano di vegliare sul loro rispetto.
Altresì importante risulta il mutato approccio nei confronti della protezione dei bambini, che nel precedente capitolo ho definito come una sorta di upgrade. Una volta che il bambino viene riconosciuto come soggetto di diritto, e non solo come essere vulnerabile che nei contesti di emergenza o precarietà (conflitti armati, paesi sottosviluppati) diventa il principale destinatario di cure e attenzioni, la protezione nei suoi confronti diventa integrale: riguarda cioè ogni ambito
sull’accesso alla sanità, art. 26 e 27 sul diritto alla sicurezza sociale e una vita dignitosa, art. 28 e 29 sul diritto all’educazione.
87 Sono per esempio l’art. 19 sulla protezione da ogni forma di violenza, art. 20 e 21 sulla protezione in mancanza della
famiglia e sull’adozione, art. 22 sul diritto a essere rifugiato, art. 30 sul diritto ad appartenere a una minoranza etnica, religiosa, linguistica, art 32-32 sulla protezione dallo sfruttamento economico e lavorativo, dall’uso, produzione e traffico di stupefacenti, dallo sfruttamento e abuso sessuale, tratta e sequestro di persona, art. 37 e 40 diritto a non subire torture, a non essere condannati alla pena capitale, ergastolo o sottoposti a detenzione arbitraria ma a una giustizia speciale per i minori, art. 38 protezione dal reclutamento e partecipazione a conflitti armati, art. 39 diritto al reinserimento sociale se vittima di uno dei casi di violazione precedenti.
101 dell’esistenza del bambino-adolescente, non solo la sua immediata sopravvivenza ma, più in generale, il suo sviluppo come persona. È in tal senso che già all’articolo 3 della Convenzione si afferma che:
In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente (p. 5, corsivo mio).
Questo è il principio che dovrebbe guidare ogni azione intrapresa a favore e per conto dei bambini. Esso però è stato spesso oggetto di discussioni: come si individua tale interesse? E chi ne è il miglior giudice, i bambini o gli adulti che ne sono responsabili? Tra gli aspetti maggiormente criticati dalla Convenzione vi è proprio la questione dei rapporti con gli adulti, sottolineando il fatto che l’identificazione dei diritti contenuti sia avvenuta per mano degli adulti (senza cioè una consultazione dei destinatari) così come il fatto che sia stata scritta per gli adulti; infatti, nel momento in cui è stata diffusa e data a conoscere ai bambini (nel rispetto dell’art. 42) si è dovuto tradurla in un linguaggio adatto alla loro comprensione. Un altro aspetto criticato con frequenza è quell’ambivalenza che continua a persistere tra il bambino come “titolare in proprio dei diritti soggettivi perfetti” e la sua “debolezza giuridica”, per cui sarebbe ancora troppo dipendente dagli adulti per riuscire a esercitare i proprio diritti liberamente (Harrison 2002).
Per rispondere alla questione dei rapporti tra adulti e bambini inerente il loro interesse superiore, Libel chiama in causa quell’indicazione contenuta nella Convenzione stessa, che all’articolo 12 raccomanda che le opinioni dei bambini siano ascoltate e tenute nella giusta considerazione. Forse questo passaggio non risolve il problema nella concretezza delle pratiche quotidiane, dove non sempre i bambini sono effettivamente ascoltati, ma dimostra come la Convenzione rappresenti un effettivo strumento di democrazia e di valorizzazione dei minori. Il problema risiede altrove ed è lucidamente identificato da Bácares Jara, il quale ammette che “la Convenzione definisce, attraverso i diritti, le responsabilità che gli Stati acquisiscono e concordano con le infanzie. Essendosi conclusa questa fase, il passo successivo da compiere dopo le riforme legislative […] è lo sviluppo di politiche pubbliche che realizzino il compromesso e il patto dei diritti” (2012: 242).
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