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Rapporti tra le organizzazioni, con la OIL lo Stato e la Convenzione: un bilancio

Capitolo 2 Movimenti e associazioni: da e per l’infanzia

2.3 L’infanzia dei diritti e delle ONG

2.3.6 Rapporti tra le organizzazioni, con la OIL lo Stato e la Convenzione: un bilancio

Pur condividendo l’ambito generale di intervento – l’infanzia e l’adolescenza lavoratrici – le organizzazioni che sono state descritte lungo questo capitolo si caratterizzano per ideologie e metodi molto diversi tra di loro. Questo in parte è dovuto alle condizioni e alle necessità diverse degli utenti verso i quali si rivolgono le loro attività: lavoratrici domestiche nel seno familiare o fuori di esso, lavoratori in generale o lavoratori in situazione di strada.

Tale diversità, soprattutto per quanto riguarda le ideologie, spesso rappresenta un ostacolo nelle relazioni tra di loro. Blanca, di La Casa de Panchita, durante il nostro colloquio e nonostante entrambi le associazioni lavorino nelle periferie di Lima, ha nettamente distinto il loro punto di vista da quello di MANTHOC (che come ha confermato Ever, si batte per il riconoscimento del diritto dei bambini di lavorare). Per quanto riguarda le relazioni con le altre associazioni ammette:

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in genere sono buone, ma succede che non abbiamo molti contatti; addirittura con Yanapanakusun79 che in

passato abbiamo fatto delle cose insieme, per esempio, sono diversi mesi che non abbiamo contatti. Allora…è come che ognuno è preso dal proprio lavoro.

Nonostante personalmente non sia mai stata scoraggiata in modo esplicito da una associazione a conoscere o lavorare con le altre, dietro le critiche si celano preconcetti sul reciproco operato; il superamento di tali preconcetti rappresenterebbe una buona occasione per intraprendere un percorso insieme dato che sono legate da interessi comuni, e avere un maggior peso nell’esprimere il proprio parare nei confronti delle decisioni del governo centrale, come per esempio sulle modifiche da apportare al “Codice dei Bambini, Bambine e Adolescenti”, il cui dibattito è ancora aperto e che inevitabilmente influenzeranno in qualche modo le attività che realizzano insieme a bambini e ragazzi.

Tutte le associazioni rientrano nella categoria “senza fini di lucro”, si tratta di movimenti oppure ONG locali che ricevono aiuti dalla cooperazione internazionale per il finanziamento dei loro progetti. Due di loro però, il MANTHOC e Qosqo Maki, beneficiano anche del programma ministeriale “Vaso de leche”, che contribuisce con gli alimenti per fornire la colazione ai ragazzi della scuola, nel primo caso, e a quelli del dormitorio nel secondo.

I rapporti con i Municipi e gli enti governativi non sempre sono facili anche a causa della stessa posizione del Governo, che potremmo definire “ambigua”. Il Perù ha ratificato la Convenzione ONU dei Diritti dell’Infanzia nel 1990 e successivamente nel 2001 le Convenzioni 182 e 138 dell’ILO, per cui l’azione ufficiale del Governo procede in una direzione ben precisa. Tuttavia è inevitabile lo scontro con una realtà ben diversa, fatta da 1 milione 795.100 lavoratori tra i 6 e i 17 anni, secondo le stime dell’Inchiesta Nazionale sulle Famiglie per il 201180. A questo punto diventa inevitabile scendere a compromessi e dover riconoscere l’efficacia, e talvolta anche la necessità, di queste associazioni: in alcuni casi sono gli stessi Tribunali dei Minori ad assegnare la custodia o la patria podestà di qualche ragazzo o ragazza ad associazioni come Qosqo Maki o Yanapanakusun, oppure coinvolgono le associazioni nell’organizzazione di tavole di concertazione sull’infanzia, come nel caso del “Piano Regionale di Azione per l’Infanzia e l’Adolescenza di Cusco”.

Con il MANTHOC la situazione è un po’ diversa. Poiché fa parte di una rete e di un movimento più ampio che ha una posizione forte e ben precisa sul tema del lavoro infantile, esso agisce a livello regionale latinoamericano e quindi mondiale, mediante proposte e pronunciamenti che arrivano anche alle sedi delle organizzazioni sovra-statali come UNICEF e ILO. Il MANTHOC gode sicuramente di

79 Che invece si trova a Cusco, a circa 1.040 km.

92 una visibilità maggiore, mentre le altre associazioni si confrontano comunque con le disposizioni ufficiali, criticandole anche apertamente, ma più che altro lo fanno nel piccolo delle azioni concrete dei loro programmi.

Un aspetto decisamente interessante che è emerso dall’intervista con Ever, uno dei suoi collaboratori, è proprio la trasformazione che ha conosciuto il Movimento nel corso degli anni. Se in epoche precedenti esso è stato fiorente, contando una presenza in ben 12-13 regioni del Perù, ha conosciuto poi un ridimensionamento, per circostanze di compromessi, volontà personali e non; attualmente conta con sei delegati nazionali i quali rappresentano tutto il movimento. Anche se i principi di fondo e le iniziative portate avanti sono rimasti in sintonia con ciò che ispirò i primi ragazzi che le diedero vita, negli ultimi anni esso ha subito delle trasformazioni, non solo nella sua diffusione, ma anche nel tipo di discorso che esso propone. Ciò mi è sembrato ancora più significativo poiché era proprio questo discorso a determinare una postura ben precisa nei confronti dell’ILO e delle politiche abolizioniste che essa porta avanti, che di conseguenza si trasforma. Le parole di Ever al riguardo illustrano in modo illuminante la questione:

quello che succede è che la OIL, da molto tempo, dal ’98-’99 ha iniziato con questa marcia globale contro il lavoro infantile, ha investito milioni di milioni del bilancio nei governi locali, nazionali no?, che sono gli stessi funzionari che hanno aderito a essere contro il lavoro [infantile] e questo ha comportato maggiori difficoltà, più problemi.

Quello che suggerisce Ever è che, di fronte all’intervento economico dell’ILO negli stati nazionali che li vincolano ad approvare le loro Convenzioni (cfr. 1.5), il lavoro del Movimento diventa sempre più arduo e allo stesso tempo perde un po’ di presa nel discorso pubblico. La strategia non è di avvallare in silenzio le decisioni del governo peruviano e tanto meno le imposizioni dell’ILO, ma di trasformarsi:

e per questo noi non siamo rimasti indietro. Abbiamo sempre organizzato forum, eventi…abbiamo svolto i nostri incontri nazionali, ogni anno. Modificando però un po’ l’audacia, perché prima la lotta era forte, [e cerchiamo di] darle una lettura più enfatica [alla questione del lavoro minorile]. Ci rivolgiamo a loro [le istituzioni] in maniera più tranquilla. Nelle epoche precedenti il discorso era più forte e come loro si chiudevano nel loro pensiero noi facevamo lo stesso.

Poiché sarà difficile diffondere ed affermare la propria visione, si cambia verso un’ottica di “contenimento” e se non si riesce a battere l’avversario, forse diventa più produttivo sedersi a un tavolo e negoziare la partecipazione e il diritto di parola dei bambini e ragazzi, i diretti interessati, ai forum mondiali sul lavoro infantile.

93 Parlando con le diverse persone che lavorano in queste associazioni mi è sembrato che vi sia una forte consapevolezza della complessità della realtà del lavoro minorile, del fatto che esso sia un fenomeno tutt’altro che unitario e anche un certo riconoscimento dei differenti modi culturali di pensarlo e di comprenderlo anche se essi ancora non riescono a trovare una legittimazione – e forse mai la troveranno – all’interno dei discorsi ufficiali. La flessibilità può rappresentare la loro carta vincente, come ammette Gabriela, di Qosqo Maki, quando parliamo delle nuove sfide che con il tempo si sono trovati ad affrontare come associazione; da un po’ di tempo alcuni dei ragazzi impegnano parte del loro tempo, soprattutto alla fine della giornata lavorativa (nei casi più gravi saltano anche il lavoro) negli internet point. Lì per 5 S./ (circa €1,60) hai accesso a internet e ai giochi in rete tutta la notte. Gabriela le chiama “maratone” e grazie ad esse qualcuno ultimamente non rientra al dormitorio nemmeno per dormire.

Con molti dei ragazzi, molte volte devi intervenire in internet! Devi rintracciarli su facebook, [chiedere] che fai? Dove sei? Perché non vieni? E dialogare lì. Così manteniamo il contatto con ragazzi che se ne sono andati, che non vengono più a dormire…ma attraverso internet sappiamo che combinano. Ed è interessante. […] Dobbiamo entrare, abbiamo i contatti di tutti su facebook e devi creare due account, perché ti cancellano, per far sì che non scoprano che sei lì. Ma è così nuovo che è ancora molto difficile. Nell’investigazione che realizzeremo [nb: un rilevamento di strada] analizzeremo anche tutti gli internet point che ci sono, dove vanno, a che ora, quante ore. Nell’ultima uscita in strada che abbiamo fatto non abbiamo trovano nemmeno un ragazzo in strada! Ma ne abbiamo trovato 25 in un internet point. In uno dei 50 che ci saranno.

La flessibilità può rappresentare un fattore di forza per le associazioni, ma dalla loro esperienza concreta può diventare tale anche per quelle organizzazioni che si interessano di infanzia, adolescenza e lavoro a livello internazionale. Non si tratta di creare una Convenzione, delle leggi per un gruppo specifico, a seconda della loro realtà particolare. Un relativismo assoluto non porterebbe da nessuna parte e vanificherebbe molti dei risultati positivi ottenuti con la proclamazione della Convenzione dell’89 e l’affermazione dei bambini come soggetti dei diritti universali dell’uomo. Quello che forse sarebbe più utile riconoscere è che quella realtà particolare cambia e questa è una caratteristica che riguarda tutte le società. Forse, basterebbe solo che le alte sfere rileggessero un po’ più attentamente quello che fu scritto ormai ventiquattro anni fa, che conteneva sin dal preambolo un suggerimento di percorso:

Gli Stati parti alla presente Convenzione

[…] Tenendo debitamente conto dell’importanza delle tradizioni e dei valori culturali di ciascun popolo per la protezione e lo sviluppo armonioso del fanciullo,

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Riconoscendo l’importanza della cooperazione internazionale per il miglioramento delle condizioni di vita dei fanciulli in tutti i paesi, in particolare nei paesi in via di sviluppo,

Hanno convenuto quanto segue […] (cit. pp.4-5)

Ancora una volta le parole di una collaboratrice che tocca con mano questi temi mi sembra il modo più chiaro e conciso per esprimere come l’esperienza diretta possa rappresentare un punto di partenza per affrontare l’infanzia in maniera diversa:

secondo quello che ho visto e nella mia esperienza con questi ragazzi e con Qosqo Maki, solo così funziona: con loro ed essendo aperti al cambiamento. Non rimanendo con qualcosa di rigido come la regola…perché in qualche momento cambierà [la situazione]. […] Le popolazioni cambiano sempre, le problematiche cambiano, adesso è un’altra. Adesso i ragazzi sono totalmente diversi rispetto a 15-20 anni fa. Hanno un altro modo di essere, un altro modo di pensare, di vivere. Hanno molte più opportunità, più soldi. Sono diversi.

In tal senso ritorna in primo piano l’importanza delle ricerche sull’infanzia da un punto di vista antropologico, che ha riconosciuto ormai da molto tempo questa “mobilità” delle società e soprattutto delle culture e può dare un contributo significativo per evitare il rischio di naturalizzarla, che si corre ogniqualvolta l’infanzia diventa oggetto di discorsi che si presentano come universali o nelle riflessioni attorno a temi controversi come quello del lavoro. E se ciò non sarà sempre possibile, perché secondo la logica del diritto per essere applicabile esso deve indicare definizioni e situazioni univoche e sempre valide, dovrebbe continuare attraverso le ricerche etnografiche a esplicitare almeno i processi socio-storici che sottostanno alla creazione dell’infanzia come concetto.

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