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Capitolo 3 Le voci dei bambini, le voci dell’infanzia

3.4 Essere lavoratrice domestica del Centro Yanapanakusun a Cusco

3.4.2 La relazione con i datori di lavoro

Come si è visto anche dall’ultimo esempio, la relazione che le lavoratrici istaurano con i propri datori di lavoro è uno degli elementi fondamentali per il prolungamento del rapporto di lavoro, per il modo in cui esso eventualmente si conclude, ma non solo. Si tratta di adulti, un tipologia di persone con le quali hanno avuto lungo tutta la loro vita rapporti più o meno complicati, come conferma l’accenno fatto sopra sul percorso precedente il loro arrivo al Yanapanakusun106. C’è chi come Camila nonostante sostenga di aver avuto sempre una buona relazione con i suoi datori di lavoro, non è mai riuscita a dare confidenza:

Io non sono di […] parlare dei miei problemi con altre persone […] perché, a parte che non conoscono… per esempio la prof Angélica ancora no? [Lei] sa un po’ di più della mia storia, perché nel tribunale quando ce ne andiamo fanno uno storico di ognuna, che spediscono. Beh, di avere confidenza per chiedere le cose sì…ma personale personale no.

Per Serena invece la situazione, possiamo dire è opposta. Quando le chiedo com’è la relazione con loro mi risponde che è normale:

Ogni domenica che esco mi dicono cos’hai mangiato, com’è andata. […] C’è comunicazione…mi dice come stai, si arrabbia a volte quando rientro tardi, si infastidisce un po’ […] si preoccupano, mi dicono “perché arrivi tardi?”.

106 Mi riferisco al fatto che, tranne nel caso di Lorena, le ragazze di cui parlo qui hanno vissuto da parenti o in altri

124 In una occasione definisce il loro rapporto come di tipo familiare, e parlando della sua attuale datrice di lavoro dice “sembra che sia sua figlia maggiore”. Questo è un aspetto particolarmente delicato, sul quale anche le responsabili esprimono le loro perplessità. Parlando con una di loro, Josefina, mi spiega come sia pericoloso quando certi datori di lavoro vanno al Centro perché vogliono assumere una delle ragazze come collaboratrice e promettono che la tratteranno come i loro figli. E incalza:

Non sono le loro figlie e non lo saranno mai, perciò non devono promettere cose che non manterranno, perché anche se a volte si creano buoni legami e duraturi…per diversi anni, io dico sempre, se la famiglia vince una borsa di studio e devono trasferirsi tutti, cambiare città, porteranno anche lei? No. Allora non trattatela come una di famiglia se non lo è, perché rischia poi di soffrire per questa perdita ulteriore [annotazione diario campo].

Ovviamente ciò che sostiene non è che la relazione debba essere fredda e disinteressata, al contrario Josefina durante il nostro colloquio ci ha tenuto più volte a sottolineare che la relazione deve essere professionale, quindi rispettosa da entrambi le parti.

È tuttavia vero che dal tipo di relazione che si instaura tra le parti dipende anche la disponibilità della lavoratrice di adattarsi di buon grado o meno a situazioni che in qualche modo le creano un disagio, come afferma ancora una volta Serena:

I: […] mi tratta tutto bene. Solo manca la mia stanza…è che c’è di tutto, non posso dire che è la mia stanza, è un deposito di cose […] tutte le sue cose sono lì ed entra a prendere le sue cose…

Y: e di questo fatto non hai parlato con lei?

I: sì, ho già detto ma mi hanno detto che…io li capisco anche perché la casa è piccolina, non hanno spazio dove…perché quando io sono andata da qui lei mi ha detto “è così casa mia”. Il primo anno, già quest’anno fa un anno…sei mesi credo che ho dormito sul divano. Mi ha detto “puoi dormire qui nel frattempo?” e io ho detto “già si procurerà la mia stanza” ma finora non c’è la mia stanza, continuo a dormire in un…hanno rimediato un letto sì però…continuo lì, ci sono le sue cose. Io non le dico nulla perché mi fa un pochino pena.

Lo stesso vale nel caso del pagamento dello stipendio, che per contratto, avendo iniziato a lavorare un giorno 23 gli spetterebbe ogni mese a quella data. Tuttavia, la signora le ha chiesto se può aspettare qualche giorno, perché il marito prende a sua volta il proprio stipendio i primi del mese, e lei ha acconsentito senza problemi.

Quello dello stipendio è un argomento delicato e perciò non ho mai voluto chiedere direttamente alle ragazze quale fosse l’importo dei loro guadagni; così una domenica, mentre eravamo al parco in uno dei momenti ricreativi, in compagnia di Angelica, una delle responsabili, chiesi a lei. L’ammontare è

125 variabile e in genere dipende dal tipo di lavoro che fanno e per quante ore. Alcune si occupano solo dei bambini, altre devono anche fare pulizie e occuparsi della cucina, stirare; perciò variano tra i 200 e i 300 S./ (circa €70-78), ma “possono arrivare anche a 500 S./” (circa €130), affermò Angelica. Stando al salario medio mensile di 775 S./ (cioè circa €200) che secondo le stime dell’INEI, l’istituto peruviano di statistica, percepiscono le donne nella regione di Cusco, quello delle ragazze sembra essere più basso. Tuttavia, secondo quanto riportato dal Ministero del Lavoro107, il lavoro domestico non è obbligatoriamente subordinato alla regolamentazione del salario minimo vitale (dal 2012 fissato a 750 S./108); in questo caso esso può essere anche inferiore qualora la lavoratrice benefici, come integrazione alla retribuzione, anche del vito e alloggio presso il datore di lavoro. Sicuramente, tenendo anche conto delle denunce fatte dal loro sindacato (SINTRAHOGARP) in occasione dell’ultima giornata della lavoratrice domestica (che in Perù è il 30 marzo), questo tipo di lavoro può dar luogo a palesi situazioni di sfruttamento (fino a 16 ore di lavoro per 300S./)109; tuttavia dal punto di vista della retribuzione le ragazze, in quanto minorenni, non sembrano essere più svantaggiate delle loro colleghe adulte. Serena mi raccontò durante le nostre conversazioni che aveva ottenuto, nel corso del tempo, un aumento; l’aveva chiesto lei stessa, per far fronte all’incremento dei costi dell’iscrizione a scuola. Mentre Lorena mi riferì che per quanto riguardava lo stipendio, il contratto era stato rispettato in tutti i lavori che aveva trovato attraverso il Centro: “se inizi il 1 di maggio devono pagarti il 1 di giugno, è un mese che hai compiuto, allora te lo pagano, questo sì lo rispettano”. Anche per l’importo stabilito al momento della firma del contratto viene rispettato:

Non ti trattengono mai soldi. Alcune signore credo, se rompi qualcosa te lo scalano, ma alcune non sono così. È una svista no? [alcuni dicono] “non ti preoccupare, ne abbiamo altri” […] altri si arrabbiano. Alcuni “ahi, cos’hai fatto…sarà perché sei di cattivo umore, qualcosa sarà successo! … così, qualcuno se la prende con te. Invece altre no, dicono “non ti preoccupare figliola” così… qualcuno è buono, altri sono cattivi.

La relazione che si instaura tra lavoratrice e padrona di casa di nuovo diventa importante nella gestione di piccoli conflitti come aver rotto qualche stoviglia o rovinato qualche abito in lavatrice, che possono influire anche sulla retribuzione mensile.

107 Aspectos esenciales del régimen laboral especial de los trabajadores del hogar, consultabile al link

http://www.trabajo.gob.pe/boletin/boletin_5_1.html (Ultimo accesso gennaio 2014).

108 Come riporta l’articolo “Gobierno oficializó aumento de la remuneración mínima vital a S/.750”, El Comercio (17

maggio 2012) consultabile al link http://elcomercio.pe/economia/peru/gobierno-oficializo-aumento-remuneracion- minima-vital750-noticia-1415836 (ultimo accesso gennaio 2014).

109 Come riporta l’articolo “Trabajadoras del hogar laboran hasta 16 horas al día y ganan S/. 300”, La Republica (30

marzo 2013) consultabile al link: http://www.larepublica.pe/30-03-2013/trabajadoras-del-hogar-laboran-hasta-16-horas- al-dia-y-ganan-s-300 (Ultimo accesso gennaio 2014).

126 Anche Camila, quando parliamo dello stipendio mi dice che, per quanto riguarda questo aspetto, i datori di lavoro sono sempre stati puntuali; addirittura, “a volte io chiedevo un anticipo quando avevo bisogno e me l’hanno sempre dato”. Il rispetto del contratto viene confermato anche per quanto riguarda il giorno di riposo, che solitamente viene stabilito di domenica. In questa occasione, molte delle ragazze che lavorano cama adentro tornano al Yanapanakusun per trascorrere la giornata insieme alle ex-compagne e rivedere le responsabili, fare quattro chiacchiere in compagnia e condividere un pranzo tutte insieme. La gestione del resto del tempo libero, specialmente delle festività è lasciato a discrezione. A conferma, ancora una volta di quanto conti la relazione con il proprio datore di lavoro, cioè “la signora” – la padrona di casa – che è colei con la quale le ragazze hanno maggiormente a che fare, Serena confessa:

Beh nel mio caso ci sono giorni che lavoro meno di otto ore. Allora ci sono dei festivi…che devi uscire […] ma io non esco perché mi sento meglio con la signora, che uscire per strada da sola, allora rimango al mio lavoro, guardo la televisione con le, chiacchieriamo…

Y: capisco, ma non a lavorare

I: no, no…solo la aiuto la mattina in qualche cosa. Se sono sporche lavo, velocemente ed è fatta. Mi dice “bisogna andare in questo posto” e usciamo. Mi chiede sempre, nei festivi, “hai un poso dove andare?” o “esci?”.

Il fatto di essere supportate dall’azione del Centro evita che si creino quelle situazioni comuni di sfruttamento che si possono verificare quando la lavoratrice è una ragazza, minorenne e senza un sostegno adulto alle spalle. Le ragazze, essendo tutelate anche da un punto di vista giuridico, avendo stipulato e firmato insieme alla controparte un contratto di lavoro, non può essere licenziata senza preavviso ed senza la dovuta retribuzione, aspetti che invece Blagbrough (2009) segnala come molto frequenti nei casi dove lavoratore e datore di lavoro sono legati da una rapporto di subordinazione estremamente iniquo.

3.4.3 «Adesso che sono già grande le ho detto “è il mio giorno libero”»: gestire i problemi sul lavoro

La prima volta che ho parlato con Lorena era il giovedì 2 maggio, me lo ricordo bene perché lei era una delle ragazze che solitamente vedevo solo la domenica quando tornava all’hogar per salutare. L’avevo vista in via eccezionale il giorno prima, anche se infrasettimanale, proprio perché era il 1 maggio, la festa dei lavoratori. Giovedì invece avrebbe dovuto essere al lavoro. L’ho trovata in lacrime, che singhiozzava nell’ufficio di Angelica perché in seguito a un diverbio con la sua datrice

127 di lavoro era stata licenziata. Lì per lì, e alla luce di quanto analizzato poco sopra riguardo le modalità con cui le ragazze vengono assunte attraverso il Centro, rimasi sorpresa. Così la invitai a sedersi sulle scale che portavano al mio appartamento, che erano un po’ riparate dal via vai di gente che c’è all’hogar durante la mattina, e di raccontarmi meglio cos’era accaduto. Sin dalle prime frasi capì come la situazione fosse complessa:

Sono entrata a 14 anni e sono rimasta lì un anno e 3 mesi lavorando. Dopo anch’io, io mi sono ritirata e me ne sono andata in un altro lavoro. Lì sono stata un anno e un’altra volta sono tornata adesso […] un mese ho lavorato, stavo per fare i due mese e dopo come ieri era festa…la festa del lavoratore, io sono venuta qui no? [all’hogar] come nel mio giorno libero. E di quello la signora si è infastidita.

Lorena identifica sin da subito il problema scatenante nel fatto che lei si è presa il giorno libero, il 1 maggio (quindi ancora più significativo) senza il consenso della sua datrice di lavoro. Riferendo anche di aver ascoltato, mentre era ancora a letto, la signora che mormorava col marito “quelle le insegnano così”, cioè che i giorni festivi spetta loro la giornata di riposo. Se inizialmente aveva pensato di lavorare almeno mezza giornata, infastidita dopo aver sentito tale conversazione, Lorena cambia idea e decide di andare al Centro sin dalla mattina e non lavorare. La sorpresa avviene la sera, quando rientra a casa:

Dopo la sera sono tornata e mi dice “Lorena non hai fatto niente, non hai lavato le stoviglie, almeno potevi fare mezza giornata…” così mi ha detto. Allora io non ho detto nulla, ho solo ascoltato. Ed ecco, dopo quello mi ha detto “te ne andrai” e allora io ho detto “bene me ne vado”. E sono venuta qui.

Il problema è che non c’è modo di denunciare la datrice di lavoro perché Lorena, nelle dure parole di Angelica – una delle responsabili – ha deciso di lasciare il lavoro che aveva e tornare da questa signora, presso la quale era stata precedentemente impiegata, “anche se non aveva il contratto e nonostante l’avessimo avvisata del rischio”. Lorena non ha ammesso direttamente il motivo per cui ha lasciato il precedente lavoro, dove era stata assunta sotto contratto e dove aveva anche un buon rapporto con la padrona di casa; si è limitata a ripetere che l’ex datrice di lavoro l’ha chiamata chiedendole di tornare e lei ha deciso di assecondare la sua richiesta: “non so, non so perché ho deciso, ma ho detto di sì […] Siccome mi ha chiamata, solo per quello ho lasciato il lavoro”. Lusingata, forse, dal essere stata appositamente richiamata e col ricordo della precedente esperienza in quella casa, che era stata senz’altro positiva, decide di accettare:

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[prima che succedesse tutto questo] avevo più confidenza, avevo tutto no?...la mia stanza…tutto quello mi piaceva. Inoltre rimanevo da sola…così da sola cucinavo, pulivo…tutto, mi piaceva. E i festivi non uscivo, come ero piccola non mi importava e me ne stavo lì […] con la piccola, a giocare.

In questa seconda occasione invece le cose si presentano diversamente. La bambina di cui lei si occupava è cresciuta, ora ha 5 anni; Lorena dice che grida sempre, è maleducata e non la ascolta mai, si sente “strana” con lei e si annoia un po’. Un aspetto che sicuramente influisce sulla sua sensazione di scomodità è legato al fatto che la famiglia, nel frattempo, ha traslocato e vive in una casa più piccola. Ora non ha più una stanza tutta per sé, lo spazio dove dorme è stato ricavato in cucina: “c’è un mobile e lì dietro era la mia stanza […], non mi piaceva, non avevo la mia intimità”.

Tuttavia, dalle sue stesse parole è possibile individuare una motivazione più profonda, e anche concreta, che può averla indotta a prendere la decisione, apparentemente controproducente, di riprendere questo lavoro:

Da qui sono andata col contratto la prima volta che sono andata a lavorare. Lì si uscivo i festivi. Normale, mi pagava solo 80. Ho iniziato da 80 S./. Dopo mi ha aumentato a 150 e 180. Con 180 non uscivo per nulla i festivi.

Avere uno stipendio più alto, dovuto al fatto di essere assunta irregolarmente, rappresenta sicuramente un motivo di attrazione. Ma questo implica, appunto dover cedere i propri diritti e lavorare anche nei giorni festivi. Lorena ammette che questa situazione in parte è anche colpa sua. La datrice di lavoro l’ha chiamata personalmente, scavalcando la posizione delle responsabili del Centro Yanapanakusun, di cui conosce le regole di assunzione che evidentemente non è più disposta ad accettare. Quando Lorena le comunica la decisione di recidere il contratto per tornare da questa signora, Angelica l’avverte che né lei, né Josefina, l’altra responsabile, erano state contattate. Ma lei ha deciso autonomamente di tornare dall’ex-datrice di lavoro: “perché non mi ha inviata né la prof Angelica né Jose. Ma io da sola sono andata a lavorare”.

Il fatto che la signora non abbia accettato di concedere a Lorena la giornata di riposo dovuta alla festività, è secondo la ragazza stessa, imputabile anche al suo comportamento nella precedente occasione:

La prima volta…lì non uscivo mai. Allora la signora si è abituata così. Perché tra l’altro ero anche più piccola. Allora avevo paura a dirle “devo uscire nel mio giorno libero”. […] In cambio adesso che sono già grande le ho detto “è il mio giorno libero” […] e quello l’ha infastidita.

129 Lorena, ora che è cresciuta e ha acquisito maggiore esperienza, anche grazie al sostegno del Centro

Yanapanakusun è più consapevole di quello che gli spetta, di quali sono i suoi diritti. Pur

riconoscendo il suo errore, dovuto alla decisione personale, di accettare il lavoro sapendo di essere in una situazione di irregolarità, ormai non era più disposta ad accettare la situazione di subordinazione che la sua datrice di lavoro avrebbe voluto imporle e ha deciso comunque di prendersi il riposo che gli spettava.

Come riconosce Blagbrough (2009), spesso i datori di lavoro preferiscono assumere bambini o ragazzi come lavoratori domestici proprio perché li percepiscono come più passivi e quindi facili da controllare e manipolare. Sin dal suo arrivo a Cusco, Lorena è stata accolta all’hogar dove i temi del rispetto della persona, della dignità del lavoratore sono il nucleo centrale di ogni discorso sul lavoro. Senza questo background di conoscenze e senza le esperienze positive di lavoro penso che difficilmente Lorena avrebbe affermato che quando:

[o non considerano il tuo lavoro] né i tuoi diritti, quello non va bene. Allora che nessun’altra vada più lì [riferendosi alle altre ragazze dell’hogar]. Vuole che non sia dell’hogar, ma che vada una ragazza della campagna. E che allora lavori lì senza uscire, quello vuole la signora dove sto io…dov’ero adesso.

Il lavoro domestico in sé, per tutte le caratteristiche esaminate all’inizio del capitolo, è difficile da individuare e rende ancora più complessa l’azione per contrastare lo sfruttamento. Attraverso queste parole Lorena dimostra di essere consapevole che chi non possiede gli strumenti adatti – le ragazze della campagna – è soggetto a condizioni di ricatto, di violazione dei propri diritti.

Lei, nel suo piccolo, è stata fortunata sin dall’inizio, quando sua madre, avendo ascoltato diverse volte il programma radiofonico che il Centro Yanapanakusun promuove per diffondere la condizione delle lavoratrici domestiche, si era rifiutata di mandare sua figlia in città, alla cieca, magari mettendola a servizio in una qualsiasi casa, come succede a molte delle ragazze che provengono dall’interno della provincia.

L’attività del Centro in tal senso è fondamentale. Ora che Lorena è rimasta senza lavoro – e quindi anche senza un posto dove stare – è ritornata trovando accoglienza finché non riuscirà a superare questo momento di impasse lavorativo. Così mi tornano in mente le parole che, dopo essere stata un po’ dura con lei, Angelica le rivolse per cercare di tranquillizzarla: “non ti preoccupare per il lavoro che ho lo schedario pieno di datori di lavoro che cercano, qualcosa troveremo”. La conferma che comunque, nonostante questa situazione fosse la conseguenza della sua personale decisione, si ha sempre un posto e un aiuto per affrontare le difficoltà.

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