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2. Il vincolo di giustizia: caratteristiche e profili di problematicità costituzionale

2.1. Vincolo di giustizia e tutela giurisdizionale

Dal punto di vista della stretta tutela giurisdizionale, invece, assume una ben diversa dimensione il piano della tenuta del vincolo di giustizia sportiva, stante la crescente importanza finanziaria delle attività sportive di natura professionistica ed il conseguente assottigliarsi della linea di demarcazione tra diritto sportivo e lex mercatoria. Da questo punto di vista, acquista sempre maggior rilievo il problema di una giustizia sportiva che tende a scontrarsi con la giustizia ordinaria riguardo all’annoso problema relativo ai reali confini dell’ordinamento sportivo105, ed in tale ottica diventa ancora una volta cruciale il ruolo ricoperto dal vincolo di giustizia sportiva. Infatti, come si è già avuto modo di osservare, molti dei profili e degli aspetti che una volta venivano considerati come propri dell’ordinamento sportivo, ad oggi, a seguito della crescente incidenza dello sport nel contesto economico-sociale, risultano insuscettibili di conservare quel carattere marcatamente interno che una volta li caratterizzava. Tutto ciò va inevitabilmente a creare delle problematiche, tra l’altro di natura mutevole, circa i confini dei due ordinamenti giuridici in questione, alimentando una situazione di incertezza della tutela soprattutto nelle materie che risultano essere trasversali (le quali, appunto, sono sempre più numerose). Infatti, il vincolo di giustizia deve in primis fare i conti, sotto il profilo della sua legittimità, con il problema della tutela giurisdizionale che viene a tutti garantita dalla Costituzione ex art. 24, nonché con la conseguente possibilità che si venga a prefigurare una limitazione del fondamentale diritto di difesa, soprattutto quando vengano in rilievo diritti indisponibili. Per poter essere accettabile dal punto di vista della legittimità, infatti, nel momento in cui il vincolo si traduce in una rinuncia preventiva, di carattere generale e temporalmente illimitato, al diritto di difesa dell’associato, il suo ambito di operatività dovrebbe necessariamente essere circoscritto al campo strettamente tecnico-sportivo, irrilevante per

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l’ordinamento generale, ed a quello dei diritti disponibili. Si tratta, dunque, di delineare due esigenze contrapposte: da un lato la previsione costituzionale del monopolio della giurisdizione statale, con conseguente lesione del principio della supremazia dello Stato in caso di una sua deroga; dall’altro, l’autonomia dell’ordinamento sportivo, legata dal punto di vista della tutela dei soggetti coinvolti alla necessaria presenza di un sistema di giustizia interno, che sia capace di venire incontro a quelle che sono le tipiche esigenze legate alle tempistiche delle competizioni sportive (cosa che, per lo meno in via generale, la giurisdizione ordinaria non ha la possibilità di fare, stante la più che conosciuta difficoltà della stessa di pervenire a soluzioni rapide nel tempo). D’altro canto, già in sede di elaborazione del testo costituzionale si ebbe a dire che non vi sarebbe alcun contrasto tra arbitrato e giurisdizione statale, laddove l’arbitrato venga correttamente considerato come una sorta di «surrogato processuale»106. Infatti, in linea di massima lo Stato non può monopolizzare la funzione giurisdizionale, ben potendo i soggetti «stabilire fuori della giurisdizione l’ordinamento nel caso concreto»107. Inoltre, occorre considerare che il tesserato o l’affiliato sono anche (e, anzi, soprattutto) soggetti dell’ordinamento giuridico statale e, in quanto tali, conservano inalterato il loro diritto, costituzionalmente garantito, relativo alla possibilità di adire la tutela giurisdizionale ordinaria, dato che questa non può in alcun modo essere negata, qualora sussista la lesione di una situazione giuridica soggettiva, in base alla semplice appartenenza all’ordinamento sportivo. La compressione della tutela giurisdizionale ordinaria in favore della giustizia sportiva, dunque, per poter configurare correttamente e legittimamente il tanto contestato vincolo di giustizia imposto dalle Federazioni sportive al momento del tesseramento, può avvenire (ed il legislatore accetta che avvenga in tali termini) solo sulla base di una violazione delle norme di carattere strettamente tecnico-sportivo o, al massimo, in seguito alla lesione di un diritto disponibile108: mentre invece si sostiene la non operatività del vincolo nell’ambito degli interessi legittimi, così come si è negato che i regolamenti delle Federazioni possano disporre delle deroghe alle norme statuali in materia di diritti soggettivi. In altre parole, l’appartenenza di un soggetto all’ordinamento sportivo non può essere in alcun caso intesa come sufficiente a precludere, in via assoluta e soprattutto definitiva, il ricorso all’autorità giurisdizionale statale, essendo di fatto inammissibile la caducazione di diritti sanciti dalla nostra Costituzione. Infatti, «premesso che il fondamento dell’autonomia dell’ordinamento sportivo è da rinvenire nella norma prevista dall’art.18 della Costituzione, concernente la tutela della libertà associativa, nonché nell’art.

106 P. CALAMANDREI, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, IV, Roma, 1951, p. 68. 107 S. SATTA, Commentario al Codice di procedura civile, Milano, 1959, p. 34 e ss.

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2 della stessa Carta costituzionale, relativo al riconoscimento dei diritti inviolabili delle formazioni sociali attraverso le quali si svolge una parte della personalità del singolo, deve rilevarsi che il vincolo di giustizia non comporta rinuncia a qualunque tutela, in quanto l’ordinamento pone in essere un sistema, nella forma dell’arbitrato irrituale, ex art. 806 c.p.c., che costituisce espressione dell’autonomia privata costituzionalmente garantita»109. Ciò significa che si consente alle parti, sempre che non si investano aree attinenti ai diritti fondamentali, di scegliere altri soggetti, quali gli arbitri, per la tutela dei propri diritti, essendo tale scelta una modalità di esercizio del diritto di difesa ex art. 24 Cost: e la giustizia sportiva, intesa come sistema giustiziale interno all’ordinamento sportivo, viene per l’appunto inquadrato come un sistema di giustizia privata, alternativa rispetto a quella statale. Essa, per una parte della dottrina110, è foriera di conflitti con la giurisdizione statale, mentre secondo altra111, in un’ottica costruttiva ed entro i limiti della disponibilità dei diritti in gioco, potrebbe collocarsi in modo complementare e sinergico rispetto alla giustizia dello Stato. Ed è esattamente a questo che si riduce il conflitto tra i due ordinamenti in questione, nonché tra le due forme di giustizia che entrambi predispongono: cercare di inquadrare la giustizia sportiva non già come un qualcosa di contrapposto e conflittuale rispetto alla giustizia ordinaria, bensì come un sistema ad essa complementare e sinergico. Quello del mondo sportivo, dunque, risulta essere una posizione di “legittima difesa” nei confronti delle ingerenze esterne, che impone al tesserato di risolvere le eventuali controversie che lo riguardino all’interno dell’ordinamento sportivo e con i mezzi e gli strumenti che quest’ultimo predispone, senza rivolgersi alla giurisdizione ordinaria e generale. In questi termini, non si può non vedere il vincolo di giustizia come un qualcosa di ontologicamente finalizzato a garantire e preservare l’autonomia dell’ordinamento sportivo, la quale è ritenuta necessaria per assicurare sia la competenza tecnica dei giudici sportivi, sia la rapidità della soluzione delle controversie. Eppure, si tratta di uno strumento tanto importante per l’autonomia dell’ordinamento sportivo, quanto appunto oggetto di forti critiche da parte della dottrina e della giurisprudenza, nonché in generale da parte di tutti coloro che ritengono effimere e velleitarie le richieste dell’ordinamento sportivo in merito alla sua totale autosufficienza nei confronti della giustizia ordinaria. Infatti, una parte della dottrina ritiene addirittura che, oggi, soprattutto alla luce dell’intervento del legislatore del 2003, il vincolo di giustizia non possa trovare più alcun diritto di cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico. In

109 Corte Cass., 28 settembre 2005, n. 18919.

110 M. S. GIANNINI, Prime osservazioni sugli ordinamenti giuridici sportivi, in Riv. Dir. Sport., 1949; A.

MANZELLA, La giustizia sportiva nel pluralismo delle autonomie, in Riv. Dir. Sport., 1993; M. ANTONIOLI, Sui rapporti tra giurisdizione amministrativa e ordinamento sportivo, in Dir. Proc. Amm., 2005.

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particolare, si afferma che «il vincolo di giustizia (così come le eventuali sanzioni irrogate per la violazione dello stesso) resta comunque un istituto illegittimo per lo Stato, in quanto esso concreta una macroscopica violazione degli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, oltre che adesso anche la stessa legge n. 280/2003. Sarebbe infatti veramente un controsenso pensare che il legislatore statale abbia previsto e dettagliatamente disciplinato la facoltà per i tesserati in ambito sportivo di adire il giudice ordinario e poi abbia, nell’ambito della stessa legge, riconosciuto espressamente la legittimità di un istituto che prevede invece il divieto di adire il giudice statale e gravi sanzioni per la violazione di tale divieto»112. In tal senso, infatti, il vincolo di giustizia, seppur in parte limitato dalla legge ordinaria, impedisce per alcune circostanze di attivare un processo che sia esterno alla giustizia interna dello sport organizzato, aggravando la suddetta circostanza con la previsione e la contestuale minaccia di sanzioni durissime in caso di violazione dello stesso, come ad esempio la radiazione (la quale, per gli atleti, comporta di fatto l’illegittima menomazione del diritto fondamentale alla pratica sportiva). Peraltro, neanche il motivo dell’autonoma adesione del tesserato convince del tutto circa la possibilità di salvare in toto il vincolo di giustizia, in quanto (come si è già affermato) ciò non è del tutto vero, dato che le Federazioni sportive esercitano un monopolio sull’attività sportiva organizzata e che l’accesso alla quale concerne il necessario (e non già volontario) tesseramento per l’atleta che voglia veder ufficializzati i propri risultati sportivi. Dunque, sembra che l’unico modo di inquadrare il vincolo di giustizia sportiva in termini legittimi dal punto di vista costituzionale, sarebbe quello di limitarne l’efficacia ai soli diritti disponibili, nonché alle violazioni riguardanti norme di carattere tecnico, in quanto tali ritenute dal legislatore indifferenti per l’ordinamento generale. In realtà, come si avrà modo di vedere, non è assolutamente vero che, a prescindere (e così come è da sempre stato affermato da ampia parte della dottrina, alla quale si è anche allineata la giurisprudenza) le norme tecniche non possano in alcun modo comportare la violazione di situazioni giuridiche soggettive rilevanti per l’ordinamento statuale. La naturale conseguenza di tale considerazione sta nel fatto che anche in tal senso, a ben vedere, il vincolo di giustizia rischia di entrare in una crisi profonda e, per certi versi, irreversibile (e, con esso, anche il concetto di autonomia dell’ordinamento sportivo, il quale risulta sempre più compresso dall’evoluzione interna dello stesso fenomeno sportivo, ed alla quale non è riuscito ad adattarsi).

112 E. LUBRANO, La giurisdizione amministrativa in materia sportiva dopo la legge 17 ottobre 2003, n. 280,

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