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Sovranità dello Stato e autonomia dell’ordinamento sportivo

3. I rapporti tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giuridico statuale

3.2. Sovranità dello Stato e autonomia dell’ordinamento sportivo

Quello tra l’ordinamento sportivo e l’ordinamento giuridico generale rappresenta dunque una particolare tipologia di rapporto, il quale ruota attorno a due poli che potremmo definire “fissi” - ciascuno tipico e rappresentativo del “mondo” al quale appartiene - e che da sempre risultano essere i due punti di maggior contrasto tra queste due realtà: da una parte la sovranità indiscussa dello Stato, dall’altra l’autonomia dell’organizzazione sportiva, suggellata da un percorso storico di un certo tipo. Posto e considerato, infatti, che il fenomeno sportivo rappresenta un ordinamento giuridico, occorre necessariamente cercare di capire in che termini esso si pone rispetto all’ordinamento statale, nel quale si ritrova ad agire. Nonostante i dubbi già precedentemente affermati circa la reale e piena natura di ordinamento giuridico settoriale del fenomeno sportivo, che comunque si presumono risolti in senso positivo, occorre partire dal presupposto di fondo in virtù del quale si tratta di due ordinamenti originari: ciò significa che sono essi indipendenti l’uno rispetto all’altro, nella misura in cui la loro “sovranità” non sussiste sulla base di un riflesso di un altro ordinamento e che ciascuno di essi ha avuto una origine completamente separata e differenziata rispetto all’altro, ponendosi – almeno dal punto di vista

League), nonostante il palese rischio per molti atleti, dirigenti ed addetti ai lavori di contrarre il virus. La motivazione, più e più volte sottolineata dagli organi di vertice del calcio nazionale ed europeo, concerne la ferrea volontà di ripartire con i campionati non già per uno spirito sportivo legato al sostegno e all’amore di tutti gli appassionati, bensì come necessità estrema di sanare i bilanci ed i conti in rosso registratisi in seguito al necessario blocco delle competizioni in seguito all’avvento della pandemia.

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prettamente terminologico ed astratto – su di un livello perfettamente paritario e parallelo55.

Ecco dunque che, non solo è compatibile, ma è anche applicazione di fondamentali principi costituzionali il potere di ciascun ordinamento settoriale, e di quello sportivo in particolare, di dettare regole vincolanti per gli affiliati nei settori di sua competenza e contestualmente affidare ad organi appositamente istituiti la funzione di applicare quelle regole e di risolvere le eventuali controversie56. Tuttavia è altrettanto innegabile il sunto in virtù del quale lo Stato risulta essere

l’ordinamento giuridico sovrano per eccellenza e che per questo, in un ipotetico contrasto tra i due ordinamenti, dovrà necessariamente prevalere rispetto all’ordinamento sportivo, il quale è tanto dotato di una propria area di autonomia (anche riconosciuta e tutelata dallo Stato in sede normativa) quanto però privo di una propria sovranità che sia in grado di competere con quella dello Stato (che di fatto risulta essere inattaccabile). Infatti, l’autonomia dell’ordinamento sportivo non deve essere confusa con il concetto proprio di indipendenza, posto che quest’ultimo carattere giustificherebbe una separazione netta ed assoluta, e come tale priva di qualsiasi tipo di collegamento (ciò che invece non si verifica nella realtà tra i due ordinamenti giuridici in esame). Ciononostante, le sorti dell’ipotetico scontro che abbiamo delineato, seppur pendenti dalla parte dello Stato, risultano essere sorprendentemente non così scontate come si potrebbe erroneamente pensare, con il risultato di porre per certi versi anche dei dubbi circa la natura realmente inattaccabile ed incontestabile della sovranità dello Stato.

L’ordinamento statale qualifica il CONI come ente pubblico, mentre invece tutte le componenti dell’ordinamento sportivo si qualificano come originarie ed indipendenti. In realtà tale impostazione di base risulta già porre alcuni dubbi, in quanto lo Stato sottopone alla propria autorità e sovranità ogni organizzazione di carattere pubblico, tra le quali per l’appunto rientra il CONI (nonostante l’originaria impostazione di carattere privatistico di tale ente). Non a caso, così come si evince dall’intero dettato costituzionale, le norme ivi contenute stabiliscono la supremazia assoluta delle leggi statali, senza che la loro vigenza dipenda da alcun tipo di accettazione da parte dei soggetti destinatari. Ma per entrare meglio nel tema in questione occorre capire in che termini l’ordinamento statale abbia originariamente considerato il fenomeno sportivo: infatti, essendo essi due ordinamenti separati e differenti, pare chiaro che

55 In realtà, a ciò si potrebbe contestare affermando, in senso contrario, come l’ordinamento sportivo sia invece

derivato rispetto a quello generale statale, il quale ha permesso che lo sport organizzato acquisisse col tempo la conformazione di ordinamento giuridico, disciplinandone le norme fondamentali e promuovendone i valori. Affermare però la natura derivata dell’ordinamento sportivo sarebbe forse non rispettoso della innegabile origine transnazionale del fenomeno, la quale caratterizza ed imprime valore ordinamentale allo sport in misura assai maggiore rispetto a quanto lo Stato abbia fatto.

56 A. OLIVERIO, I limiti all’autonomia dell’ordinamento sportivo: lo svincolo dell’atleta., in Riv. Dir. Sport.,

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la posizione di un ordinamento rispetto all’altro sia frutto della libera scelta di quest’ultimo. Ma il problema nasce solo nel momento in cui vi siano delle discordanze tra i due ordinamenti esaminati, dato che in tal caso occorrerà necessariamente stabilire quale dei due possa prevalere sull’altro. Da questo punto di vista, quella che si è verificata in seguito alla nascita del CONI ed al successivo processo di progressiva acquisizione di funzioni di carattere pubblico, potrebbe essere qualificata come una entificazione di ordinamenti57, la quale rappresenta la formula

organizzativa più comune nei rapporti tra ordinamenti generali e particolari: essa consiste nell’attribuire all’organizzazione dell’ordinamento particolare «una delle qualificazioni di ente giuridico che esistono nel diritto positivo statale»58. Quando lo Stato utilizza tale tipologia di

formula sostanzialmente significa che esso non riconosce come tale l’ordinamento particolare, ma anzi ne disconosce l’intima natura di ordinamento. Ma ciò è di fatto del tutto legittimo e non ha un significato di carattere prettamente negativo, dato che semplicemente lo Stato intende respingere la natura di ordinamento giuridico dell’istituzione particolare, non tanto perché lo voglia come necessariamente subordinato alla propria autorità, quanto perché semplicemente lo equipara ad altre realtà che non abbiano una natura giuridica. Tra l’altro non tutta l’organizzazione del mondo sportivo è stata sottoposta a tale processo di entificazione, bensì solo la parte preminente che forma l’ente CONI (le federazioni infatti sono entificate in via residuale in forma di diritto privato). Dunque, secondo l’ordinamento generale, in caso di eventuale contrasto normativo, giurisdizionale o organizzativo dei due ordinamenti, quello sportivo deve necessariamente soccombere, soprattutto per quel che concerne l’applicazione della legge e del dettato costituzionale. Ciò è del tutto legittimo e giustificato, dato che non può essere messo in discussione alcun tipo di scostamento da quanto previsto dalla Costituzione, dal momento che esso rappresenta il testo fondamentale che regola e disciplina l’intero sistema sociale e giuridico di un determinato territorio, indipendentemente dalla natura delle formazioni sociali e degli ordinamenti ivi presenti e del loro rapporto con l’ordinamento giuridico generale. Tuttavia, se da un lato tale conclusione sembra assolutamente condivisibile, dall’altro la semplice esistenza di norme sportive in contrasto con quelle statali, talvolta addirittura anche di matrice costituzionale59 (considerando anche le innumerevoli perplessità di carattere

57 F.P. LUISO, La giustizia sportiva, Milano, 1975, p. 577.

58 M.S. GIANNINI, Istituzioni di Diritto Amministrativo, Milano, 2000, cit. p. 101.

59 Molte discipline sportive oggigiorno praticate e diffuse in tutto il mondo rappresentano l’eredità, in forma

moderna, dei vecchi combattimenti simbolici che è possibile rinvenire in numerosissime società del passato (basti pensare a molti degli sport da combattimento più noti, come la boxe e soprattutto le MMA). Infatti, il pugno sferrato da un individuo coinvolto in una rissa di strada è sanzionato socialmente come un atto violento (nonché qualificato come reato dalle norme del codice di procedura penale), mentre il gancio di un pugile durante un incontro di boxe è parte di un comportamento legittimo e minuziosamente dettagliato. Ebbene, non sarebbe di fatto difficile scorgere in tali discipline un potenziale violento non solo permesso, ma anzi addirittura tutelato e

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costituzionale che concernono taluni aspetti fondamentali di tale ordinamento) indica di fatto il fallimento del tentativo dell’ordinamento statale di subordinare a sé quello sportivo, con una crepa evidentissima sul concetto di sovranità dello Stato, non più tanto indiscutibile come originariamente potesse sembrare. Infatti, in virtù del fatto che, mentre l’ordinamento statale cerca di imporre la propria sovranità e al contrario l’ordinamento sportivo cerca di discostarsene per preservare la propria autonomia (anch’essa legittima, del resto, in considerazione della natura internazionale e non statuale del fenomeno), si produce un effetto già di per sé sufficientemente lesivo del concetto di sovranità del primo, il quale fatica ad imporre la propria autorità. Secondo l’autorevole opinione di autorevole dottrina 60, si potrebbe addirittura

ipotizzare, senza per ciò incorrere in errori logici e fornendo un ragionamento perfettamente funzionante, un sorprendente esito favorevole nei confronti dell’ordinamento sportivo in una ipotesi di contrasto con l’ordinamento giuridico generale. Le ragioni per le quali un ente pubblico possa inspiegabilmente sfidare i principi e le norme generali dello Stato vanno inevitabilmente ricondotte, come spesso avviene, al contesto storico in cui si è evoluto tale ente. Come già anticipato, infatti, durante il Regime fascista il Partito Nazionale Fascista volle sottoporre interamente a sé il fenomeno sportivo italiano, utilizzando a proprio favore l’ente CONI, al fine di dare inizio ad una propaganda di massa incentrata sullo spirito bellico del popolo italiano. Quando poi successivamente alla caduta del Regime si iniziò la fase di smantellamento di tutte le strutture organizzative del Fascismo (ivi compreso il PNF) il CONI assumeva le vesti di un ente pubblico totalmente indipendente, poiché di fatto veniva a mancare ogni qualsivoglia rapporto di soggezione con gli organi statali. In realtà non era mai stato neanche espressamente attributo al PNF alcun tipo di indirizzo e controllo, dato che la sua influenza nei confronti del CONI era data per scontata e si verificava esclusivamente tramite la sistematica nomina di persone di fiducia del partito quali soggetti apicali dell’ente sportivo.

promosso dalle Federazioni di riferimento: in altri termini, comportamenti che, in un contesto normale, verrebbero vietati e condannati con forza dalla Costituzione e, in generale, dalla società, trovano invece fondamento e legittima ragion d’essere nei regolamenti di tali manifestazioni sportive (a ben vedere, in realtà, la violenza come protagonista indiscussa di tali discipline contrasterebbe anche con la spinta civilizzatrice e contraria a tali valori che il mondo dello sport da sempre incarna e veicola). Si potrebbe dunque concludere con il sunto per il quale la violenza è intesa come tale, e dunque perseguibile, solo in riferimento al contesto sociale in cui viene perpetrata, e non anche in considerazione della aggressività che caratterizza un determinato comportamento.

60 F.P. LUISO, La giustizia sportiva, cit., p. 577 e ss, afferma che la contrapposizione tra i due ordinamenti circa

l’affermazione della sovranità dello Stato o dell’indipendenza e autonomia dell’ordinamento sportivo, produce un meccanismo che può portare alla disattesa della posizione dello Stato a favore di quella del fenomeno sportivo. Ciò si ricaverebbe non solo da una indagine di fatto, la quale dimostra come le autorità sportive continuino ad applicare le loro norme anche se in contrasto con quelle statali (tipico esempio è il vincolo di giustizia), ma anche dalla presenza stessa di conflitti di normazione che secondo l’ordinamento statale non dovrebbero esistere ma che invece sono presenti. In altre parole, «l’esistenza di norme sportive in contrasto con norme statali indica il fallimento del tentativo, operato dall’ordinamento statale, di subordinare a sé quello sportivo, mentre depone a favore di quest’ultimo l’istanza di autonomia nei confronti dello Stato».

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Tutto ciò dunque, anche per motivi di mancanza di volontà dello Stato di intervenire successivamente disciplinando compiutamente il fenomeno in questione, ha dato vita ad alcune incongruenze molto importanti, quali ad esempio l’esistenza stessa di un ente pubblico totalmente indipendente e ad appartenenza volontaria, ma anche il fatto per cui sarebbe assolutamente sfornito di garanzie l’interesse del singolo di essere iscritto alle Federazioni, oppure ancora il fatto che le Federazioni stesse godano dei diritti e dei privilegi di un sistema sì costituito, senza però risentire degli oneri. Lo Stato infatti non ha fatto altro che dismettere gli strumenti atti a controbattere ed a risolvere il conflitto in questione in senso a questi favorevole. Del resto, ad un esito di questo tipo si perviene ogniqualvolta fossimo in presenza di un conflitto tra un ordinamento generale ed uno particolare: l’ordinamento generale, infatti, perseguendo differenti fini ed interessi, può permettersi, per così dire, che alcune sue norme vengano di fatto disattese, cosa che invece non può assolutamente permettersi un ordinamento di carattere particolare, il quale se non riesce a far rispettare le proprie norme soccomberà necessariamente.

Alla luce di tutto ciò, nonostante l’affascinante idea prospettata da Luiso, si ritiene che, sebbene l’ordinamento sportivo sia di fatto autonomo rispetto a quello statale, non si può non ammettere che il primo, in caso di contrato normativo, debba necessariamente cedere il passo al secondo, se non altro per rispettare la sovranità dello Stato (tanto indiscussa da un lato, quanto vacillante dall’altro). Dunque, occorre necessariamente puntualizzare ancora una volta un aspetto di fondamentale importanza: il fatto che l’ordinamento sportivo sovente entri in contrasto con l’ordinamento generale infatti, non significa assolutamente che esso sia del tutto libero di disattendere anche le norme di carattere costituzionale, le quali non solo sono inviolabili e rappresentano i principi su cui si basa la struttura giuridica dell’ordinamento generale inteso nel suo complesso, ma esse di fatto nascono dalla potestà normativa e dalla sovranità dello Stato. Per cui risulta opportuno ammettere, da un lato, un’area di importante e rilevante autonomia spettante all’ordinamento sportivo, ma dall’altro il necessario venir meno delle pretese di quest’ultimo di volersi sovraordinare all’ordinamento giuridico generale. Ciò significa, dunque, che i due ordinamenti in questione risultano per certi aspetti paritari e paralleli, ma qualora si dovessero verificare dei conflitti, soprattutto inerenti al dettato costituzionale, allora dovrà pacificamente accettarsi la naturale soccombenza dell’ordinamento sportivo a favore di quello statale. Però, nonostante questo criterio risolutivo del rapporto tra i due ordinamenti, l’autonomia dell’ordinamento sportivo, tanto rivendicata quanto difesa dagli organi sportivi (alla luce anche di quelle che sono le solide basi di matrice storica che giustificano tale

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comportamento), se da un verso appare essere indiscutibile - pur nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento statuale - per altro verso ha subito un contropiede che ne ha minato le certezze di fondo. E l’aspetto più curioso di tale elemento concerne il fatto che questo doppio e contraddittorio punto di vista sull’autonomia dell’ordinamento sportivo proviene dallo stesso lato della medaglia, ovverosia la normativa (costituzionale prima e primaria poi) dell’ordinamento giuridico generale. Più precisamente, risulta quantomeno singolare il fatto che sia stata emanata una legge che dichiari in modo espresso l’autonomia dell’ordinamento sportivo, mentre poco prima si è proceduto ad inserire nel novellato art. 117 Cost. un nuovo comma relativo alla regolamentazione dell’organizzazione sportiva quale materia concorrente tra Stato e Regioni. Come già anticipato infatti, questi due aspetti, di matrice differente ma comunque riflettenti il comportamento contraddittorio del legislatore, denotano delle incongruenze abbastanza vistose, le quali ancora una volta denunciano non soltanto una pigrizia ingiustificata del legislatore sul tema (salvo poi intervenire con disposizioni di urgenza e, per l’appunto, sovente non brillanti dal punto di vista della sistematicità ed efficacia), ma anche e soprattutto la poca chiarezza circa i reali confini dell’ordinamento sportivo, aspetto quest’ultimo che si riflette inevitabilmente anche sulla certezza del diritto e sulla tutela giurisdizionale dei soggetti che ne fanno parte, nodo centrale di qualsiasi ordinamento giuridico. Infatti, la legge 17 ottobre 2003, n.280 definisce uno dei profili più importanti della storia recente dei rapporti tra i due ordinamenti giuridici in esame. Tale legge, nel suo art. 1, afferma infatti che «La Repubblica riconosce e favorisce l'autonomia dell'ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione dell'ordinamento sportivo internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale». Tale affermazione appare lapidaria e solenne, posto che molti ne hanno contestato l’effettivo valore innovativo, considerando che l’autonomia dell’ordinamento sportivo risultava essere un aspetto al tempo già abbondantemente risolto in senso positivo. Eppure, non si ha modo di comprendere a pieno in che termini il legislatore dichiari l’autonomia dell’ordinamento sportivo, dal momento che il già citato art. 117 Cost., così come novellato nel 2001 in seguito alla Riforma del Titolo V, ricomprende tra le materie concorrenti di Stato e Regione proprio l’“organizzazione sportiva”. Il punto focale sembra dunque ruotare attorno alla tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche soggettive inerenti ai soggetti facenti parte dell’ordinamento sportivo, nonché la capacità di quest’ultimo di risolvere tali controversie da solo e senza l’intervento dello Stato nella questione. Dunque, dato che in caso di conflitto tra i due ordinamenti non possa non prevalere la norma statale di riferimento, ecco che il riconoscimento della c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo si traduce in null’altro che una politica legislativa tesa ad evitare, per quanto possibile, le zone di

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contrasto giurisdizionale (relativo, cioè, alla risoluzione delle proprie controversie). Ciò è tanto vero, infatti, che storicamente ciascuno dei due ordinamenti ha, a più riprese, tentato di garantire la riduzione in concreto di conflitti: rispettivamente, gli organi di normazione dell’ordinamento sportivo con la previsione del c.d. vincolo di giustizia ed il legislatore con l’emanazione della legge del 2003. Ecco che, dunque, la storia di questi due ordinamenti giuridici appare segnata da una costante decisiva, costituita da una lunga ed incessante serie di tentativi da parte dello Stato di penetrare nel campo dell’autonomia dell’ordinamento sportivo, soprattutto per quanto concerne la tutela giurisdizionale dei soggetti di volta in volta coinvolti, a cui si è sempre contrapposta la ferrea volontà degli organi sportivi di preservare il più possibile la propria autonomia di ordinamento giuridico. Ciò ha dato vita ad un continuo “braccio di ferro” tra i due ordinamenti, caratterizzato dalle esigenze contrapposte che essi esprimono e che ha determinato, non solo punti di equilibrio piuttosto flebili e mai stabili, ma anche e soprattutto l’insorgere di non trascurabili zone d’ombra del diritto, nonché situazioni di forte deregulation che, solo nel momento di estremo protrarsi del conflitto, ha portato il legislatore ad entrare in campo con interventi di volta in volta caratterizzati dall’urgenza della concreta situazione. Ma per comprendere appieno la linea di contrasto tra i due ordinamenti occorre procedere ad una analisi più tecnica, individuando ben tre zone di riferimento: a) una zona retta esclusivamente da norme di diritto statale; b) una zona retta esclusivamente da norme di diritto sportivo (c.d. norme tecniche); c) una zona infine intermedia, retta sia da norme di diritto statale sia da norme di diritto sportivo. Ovviamente, i conflitti nascono solo nelle ipotesi concernenti il caso sub c, allorché di uno stesso fatto i due ordinamenti diano qualificazioni differenti, oppure qualora ad uno stesso fatto i suddetti colleghino effetti diversi61. In caso di antinomia, si ritiene dunque che la norma che debba necessariamente prevalere sia quella di derivazione statale, al fine di salvaguardare non solo l’autorità dello Stato ma anche, conseguentemente ed indirettamente, la stessa base logica dell’esistenza dell’ordinamento sportivo. E ciò, nonostante le logiche pretese di chi in passato ha validamente proposto soluzioni alternative a questa62, deriva da una considerazione di fatto piuttosto inattaccabile: gli ordinamenti giuridici che esprimono interessi settoriali, seppur completamente autonomi dal punto di vista funzionale, restano comunque soggetti alle regole generali degli ordinamenti giuridici esprimenti interessi collettivi. Dunque,

61 M. SANINO, Il diritto sportivo, Milano, 2008, p. 26 e ss.