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La finalità della norma e la direttiva comunitaria sui “rimpatri”

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 141-146)

3. La finalità dell’incriminazione

3.2 La finalità della norma e la direttiva comunitaria sui “rimpatri”

amministrativa e perfezionamento dei reati mette in luce come sulla violazione della disciplina amministrativa relativa a ingresso e soggiorno si concentri in via integrale il disvalore delle fattispecie»363.

Il che pone da un lato problemi di legittimità costituzionale, in relazione al canone della sanzione penale come extrema ratio364, dall’altro, problemi applicativi anche al fine dell’individuazione delle norme extrapenali richiamate.

offerte dal Fondo europeo per i rimpatri».

In conformità a tale principio, l’articolo 7, par. 1 della direttiva stabilisce, come regola generale, l’allontanamento volontario e precisa che «la decisione di rimpatrio fissa per la partenza volontaria un periodo congruo di durata compresa fra sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi 2 e 4»366.

Il sistema tracciato dalla direttiva risulta opposto a quello vigente nel nostro ordinamento.

La legge Bossi Fini prevede, in particolare, per l’esecuzione dell’espulsione, come regola generale, l'accompagnamento coattivo alla frontiera: ai sensi dell’art. 13, 4°

comma, t.u. immigrazione, infatti, «l'espulsione è sempre eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica ad eccezione dei casi di cui al 5° comma».

Ove non sia possibile (perché occorre procedere al soccorso dello straniero, o risultino necessari accertamenti in ordine alla sua identità o nazionalità o debbano essere acquisiti i documenti necessari per il viaggio ovvero siano indisponibili i vettori o gli altri mezzi di trasporto), può essere disposto il trattenimento dello straniero nei centri di identificazione e di espulsione per il tempo strettamente necessario al superamento dell'impedimento con successivo accompagnamento alla frontiera (art. 14, comma 1 t.u. immigrazione).

Infine, solo quando non sia stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di identificazione ed espulsione, ovvero la permanenza in tale struttura non abbia consentito l’esecuzione con l’accompagnamento alla frontiera dell’espulsione o del respingimento, il questore ordina all’interessato di lasciare il territorio dello Stato entro il termine di cinque giorni (art. 14, comma 5 bis t.u. immigrazione).

Come risulta evidente dalle norme richiamate, nel nostro ordinamento l’allontanamento per intimazione risulta modalità residuale di esecuzione dell’espulsione, in contrasto con le indicazioni comunitarie.

La direttiva europea prevede, come già premesso, dei casi di possibile deroga al regime ordinario di allontanamento volontario. In particolare, nell’art. 7, par. 4 è

366 Il par. 2 dell’art. 7 prevede che «gli Stati membri prorogano, ove necessario, il periodo per la partenza volontaria per un periodo congruo, tenendo conto delle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno, l'esistenza di bambini che frequentano la scuola e l'esistenza di altri legami familiari e sociali ».

prevista la possibilità di derogare alla regola generale del rimpatrio volontario «se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale ». In tal caso «gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni».

L’articolo 2, par., 2 lettera b) concede, inoltre, agli Stati membri la facoltà di non applicare la direttiva agli stranieri “sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale».

Proprio tale ultima disposizione sarebbe alla base della scelta di criminalizzare l’ingresso e il soggiorno illegali. L’applicazione dell’espulsione come sanzione sostitutiva da parte del giudice costituirebbe, infatti, il presupposto per potere utilizzare la deroga indicata. Nell’intento del Governo, anzi, il ricorso alla sanzione sostitutiva dovrebbe essere molto ampio, consentendo in via generalizzata l’allontanamento coattivo dello straniero e mantenendo così in vita il sistema attuale di espulsione.

La reale finalità della norma incriminatrice sembrerebbe, in effetti, come già indicato nel paragrafo precedente, quella di favorire in ogni modo l’espulsione dello straniero irregolare dal territorio dello Stato e lo strumento della sanzione sostitutiva consentirebbe di attuare in via coattiva gli allontanamenti.

Che questa sia la reale finalità della disposizione è stato riconosciuto, del resto, dagli stessi esponenti del Governo. Il Ministro dell'interno Maroni nell'audizione del 15 ottobre 2008 dinanzi al Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen affermava, infatti, che sul reato di ingresso illegale nel territorio dello Stato «il Governo insiste, pur prevedendo una pena pecuniaria e non detentiva, perché la direttiva europea stabilisce che la regola per l'allontanamento dei cittadini extracomunitari sarà l'invito ad andarsene e non l'espulsione, a meno che il provvedimento di espulsione sia conseguenza di una sanzione penale. Noi quindi vogliamo disegnare il reato di immigrazione clandestina o di ingresso illegale puntando principalmente sulla sanzione accessoria del provvedimento giudiziale di espulsione emanato dal giudice, piuttosto che sulla sanzione principale che sarà una

sanzione pecuniaria. In questo modo possiamo procedere all'espulsione immediata con un provvedimento del giudice, applicando la direttiva europea ma eliminando l'inconveniente che ne pregiudicherebbe l'efficacia, perché come ha dimostrato l'esperienza italiana l'invito ad andarsene significa che nessuno verrebbe più espulso»367.

Si è osservato allora che, mediante la normativa in esame, l'ordinamento italiano si mette in condizione di eludere quasi totalmente l'obbligo di attuare la direttiva sui rimpatri, e si è denunciata la possibile illegittimità della disposizione368. La relativa questione di costituzionalità (allo stato pendente innanzi alla Consulta) è stata sollevata da alcuni giudici di merito369 per il contrasto della norma con l’art. 117 Cost., in base al quale la potestà legislativa deve essere esercitata nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Sul punto, peraltro, deve rilevarsi che la dedotta questione si basa su una valutazione in fatto, in quanto l’attuazione della direttiva comunitaria non è minacciata dalla norma in sé considerata (il reato di “immigrazione clandestina” è presente difatti anche in altri ordinamenti europei), mentre una generalizzata elusione degli obblighi comunitari sarebbe conseguenza dell’eventuale ampio ricorso alla sanzione sostitutiva dell’espulsione da parte dei giudici di pace.

Una simile concreta eventualità potrebbe comunque rilevare sul piano del diritto comunitario. Se si paventasse, infatti, che l'introduzione del reato in esame è dettata anche dalla volontà di limitare l'ambito di applicazione della direttiva si potrebbe profilare sul piano del diritto comunitario una violazione dell'obbligo di leale cooperazione e di non adozione, nelle more del termine concesso per l'attuazione, di atti contrari al suo scopo370. Per la valutazione dell’illiceità comunitaria dovrà, peraltro, verificarsi l’effettiva incidenza delle ipotesi di sostituzione della pena con

367 Resoconto stenografico della Seduta Comitato parlamentare di controllo sull'attuazione dell'accordo di Schengen del 15/10/2008, p.6, in www.camera.it

368 Così BONETTI P., Le norme in materia di stranieri del disegno di legge sulla sicurezza pubblica all’esame dell’assemblea della camera dei deputati, cit. , p. 5. Vedi sulla questione anche par. 14.

369 Cfr. Giudice di pace di Lecco, 1 ottobre 2009 (Num.Reg.Ord. 292 del 2009) in Gazzetta Ufficiale n. 49 del 9 dicembre 2009.

370 Così FAVILLI C., La direttiva rimpatri ovvero la mancata armonizzatone dell'espulsione dei cittadini dei paesi terzi, in Osservatoriosullefonti.it, 2009, n. 2, p. 6

la misura espulsiva, posto che l’espulsione disposta dal giudice a titolo di sanzione sostitutiva è condizionata, ai sensi dell’art. 16 t.u. immigrazione, alla eseguibilità della stessa mediante accompagnamento alla frontiera, sicché bisognerà verificare quale sarà l’utilizzo concreto della sanzione sostitutiva da parte dei giudici di pace.

Va ricordato, inoltre, che un’attenta dottrina, proprio in considerazione del possibile effetto elusivo degli obblighi comunitari, esclude che il reato di ingresso e soggiorno illegale possa essere ricondotto alle deroghe previste dall’art. 2, par. 2, lett. b) della direttiva europea. Si imporrebbe infatti, in base ai principi generali del diritto comunitario371, una interpretazione restrittiva della disposizione di cui alla citata lett. b), nel senso di permettere al legislatore nazionale di escludere l’applicazione della direttiva solo nei casi in cui l’espulsione sia conseguenza di fattispecie penali diverse dall’ingresso o dal soggiorno irregolare. L’interpretazione estensiva dell’art. 2, par. 2, lett. b), dovrebbe escludersi, in particolare, perché violerebbe il principio generale dell’effetto utile, che costituisce canone ermeneutico, rendendo residuale o addirittura escludendo l’ambito di applicazione della direttiva372.

Secondo detto orientamento, pertanto, non sarebbe possibile invocare la deroga di cui alla lett. b) per l’espulsione disposta a titolo di sanzione sostitutiva per il reato di ingresso e soggiorno illegale.

Altri autori hanno poi osservato che, anche ove dovesse invece ritenersi applicabile l’art. 2, par. 2, lett. b) all’espulsione disposta in conseguenza del reato in esame, la deroga dovrebbe essere comunque limitata ai casi in cui è possibile eseguire subito l’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera. Non sarebbe invece possibile invocare la deroga al principio dell’allontanamento volontario per giustificare il trattenimento dello straniero nei C.I.E373.

371 Secondo la Corte di Sentenza Corte di giustizia 14 ottobre 1999, C-223/98, in Raccolta, 1999, p. I-7081, infatti, allorché una disposizione di diritto comunitario è suscettibile di svariate interpretazioni delle quali una sola idonea a salvaguardare l'effetto utile della norma, è a questa che occorre dare priorità”

372 In questo senso: FAVILLI C., La direttiva rimpatri ovvero la mancata armonizzatone dell'espulsione dei cittadini dei paesi terzi, cit. , p. 6.

373 Così CAPUTO A. Nuovi reati di ingresso e di soggiorno illegale dello straniero nello Stato, cit., 238- 239, il quale conclude pertanto che se lo scopo dell'introduzione del reato in esame era quello di consentire la generalizzata applicabilità di misure coercitive finalizzate all'allontanamento, tale scopo può dirsi raggiunto solo con riferimento all'accompagnamento coattivo, ma non con riguardo al trattenimento amministrativo nei C.I.E.

Infine, quanto all’opportunità della disposizione in commento, si è rilevato in senso critico che per consentire l’adozione dell’espulsione mediante mezzi coercitivi non era necessario incriminare l'ingresso e il soggiorno illegale, ma sarebbe stato sufficiente richiamare l'art. 15, comma 1, lett. a) della stessa direttiva374, che consente di disporre il trattenimento e il rimpatrio coattivo in tutte le ipotesi in cui vi sia rischio di fuga dello straniero - rischio che, ovviamente, può sempre essere legittimamente ravvisato dall'amministrazione375.

Nel documento UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI PARMA (pagine 141-146)