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La finanza di progetto e il cambiamento nel sistema finanziario

Nel nostro Paese il rilancio della crescita - basato sulla ripresa degli inve- stimenti, sull’innovazione e sulla governance territoriale - richiede un cambia- mento di condotta da parte del sistema finanziario. È necessario, infatti, che sia le banche sia gli altri intermediari si orientino maggiormente a finanziare

l’innovazione, a sostenere il rilancio delle infrastrutture e degli investimenti delle imprese e a collaborare nella ristrutturazione dei comparti produttivi in crisi.

Per uscire dalla recessione e ritrovare stabilmente la via della crescita, l’Italia deve colmare un doppio “gap innovativo”: un gap che riguarda il si- stema industriale, che deve ristrutturarsi nei settori maturi e potenziarsi nei comparti innovativi emergenti, e un gap che riguarda il sistema bancario e fi- nanziario, che, per adeguarsi a queste esigenze del nostro sistema industriale, deve assumere nuove condotte dando più spazio alle forme di intermediazione rivolte al finanziamento dell’innovazione e della crescita. Si richiede, pertanto, al nostro sistema finanziario di evolvere verso assetti strutturali che contem- plino una maggiore presenza dei mercati finanziari e degli investitori istituzio- nali.

Il grave deficit infrastrutturale di cui soffre l’Italia - in particolare negli investimenti pubblici sociali - evidenzia la grande potenzialità di intervento che si prospetta per tutti gli operatori, comprese le banche, che hanno un ruolo da svolgere in questo settore; i “progetti urbani” rappresentano un business cer- tamente interessante per il sistema bancario e finanziario; ma, ripetiamo, oc- corre, a tal fine, uno specifico orientamento a sviluppare, da parte delle banche e di tutti gli altri intermediari interessati, un’offerta di servizi e approcci ade- guati.

A tal fine, è necessario che soprattutto le banche potenzino le proprie competenze nel campo delle operazioni di corporate e investment banking. Si deve, infatti, osservare, come nonostante siano gravate da quasi 200 miliardi di euro di sofferenze (2015), esse risultino poco presenti nel campo dei servizi di

corporate restructuring a favore delle imprese-clienti in crisi (è da escludersi che

una buona parte di queste imprese non possa non essere rilanciata offrendo al- le stesse servizi e operazioni di ristrutturazione strategico-finanziaria). Peral- tro, sono proprio le operazioni di finanza straordinaria quelle di cui hanno maggiormente bisogno le PMI dei distretti industriali in crisi; così, appare doppiamente evidente il grado di inadeguatezza: oltre ad essere poco incline a sostenere il finanziamento delle start-up e dell’innovazione, il nostro sistema bancario è carente anche nei servizi di risanamento finanziario e di turnaround, attività importanti in periodi di crisi economica, e necessari per contribuire al rilancio.

Va, comunque, preso atto che le banche italiane, come del resto quelle di altri Paesi europei, incontrano limiti a espandere il credito, trovandosi alle pre- se con la gestione delle partite di bilancio deteriorate, che devono essere rimos- se per ridurre i rischi e liberare risorse a favore delle nuove operazioni di im- piego. Pertanto, è necessario - anche per stimolare la concorrenza - che venga ampliata la gamma delle fonti di finanziamento delle imprese con nuovi canali - alternativi alle banche; canali che possono beneficiare delle nuove e favorevo-

li condizioni di mercato. Grazie all’aumento della liquidità dell’economia deri- vante dal Quantitative easing della Bce, il cambio euro-dollaro sta andando verso il pareggio e il costo del denaro è a livello bassissimo, per cui si sta deli- neando uno scenario molto favorevole alla ripresa del mercato dei capitali e degli investimenti reali.

Indubbiamente, è difficile immaginare una situazione migliore, come quella attuale, per rilanciare gli investimenti. Ma ciò che impedisce questo ri- lancio è la carenza di valide idee progettuali e di validi progetti di investimento operativi. Le imprese, compresi anche i grandi gruppi industriali, mostrano uno scarso orientamento a innovare, mentre lo Stato e il settore pubblico, alle prese con il contenimento del proprio debito, sono confinati in una posizione passiva, quantunque possano agire da catalizzatori per promuovere iniziative di investimento coinvolgendo il capitale privato.

Non potendo essere, l’operatore pubblico, l’investitore principale – e ciò vale anche per i progetti rientranti nell’uso dei fondi strutturali europei, e nel Piano Juncker – il rilancio degli investimenti è destinato a ricadere massima- mente sulle risorse private, che dovranno essere nei prossimi anni mobilitate su larga scala attraverso le banche, i mercati finanziari e gli altri intermediari.

Come già sottolineato, le banche hanno difficoltà ad accettare rischi cre- scenti e occorre potenziare i canali alternativi. Questi sono rappresentati so- prattutto dai fondi istituzionali di lungo periodo (come i fondi pensione e le assicurazioni) e dai fondi infrastrutturali (di tipo equity e debito); questi ultimi si ritiene che siano destinati - a livello globale - a diventare una categoria spe- cializzata nel finanziamento non bancario delle infrastrutture e dei sistemi in- frastrutturali (con scadenze lunghe: 30/50 anni) in grado da fare da ponte tra gli investitori e gli investimenti. Questi investitori a lungo termine potrebbero, in prospettiva, dare un importante contributo al finanziamento delle asset

class infrastrutturali aumentando di almeno due o tre volte la propria capacità

di investimento; nel caso di infrastrutture sociali di minori dimensioni (ospeda- li, scuole, asili nido, edilizia sociale), al fine di facilitarne il finanziamento da parte di tali investitori, è opportuno che i progetti siano standardizzati e rac- colti in portafogli dedicati.

È necessario attirare sui progetti, molto qualificati e assistiti da una ga- ranzia pubblica, i fondi della Bei e della CDP; inoltre è necessario ricorrere al mercato internazionale dei capitali, coinvolgendo i grandi gruppi bancari e gli intermediari non bancari, le assicurazioni e i fondi pensione, i fondi di private

equity specializzati nelle infrastrutture e anche i fondi sovrani esteri. Anche i

singoli cittadini possono essere interessati a partecipare al finanziamento dei progetti, soprattutto se questi ultimi hanno una chiara ricaduta sulle rispettive aree di residenza.

Poiché il project financing è una soluzione tra le più efficaci per la realiz- zazione dei progetti di investimento a livello territoriale - e quindi dei progetti

urbani, relativi ai beni e servizi collettivi e allo sviluppo delle smart cities - i vincoli e gli ostacoli di tipo burocratico-amministrativo vanno evidentemente superati, anche con semplificazioni amministrative; e ciò rientra nella proble- matica del cambiamento della Pubblica amministrazione.

Va tenuto presente, in ogni caso, che i progetti, anche quelli legati alla politica industriale e regionale (che noi auspichiamo emergano nel contesto di nuovi modelli di governance a livello nazionale e territoriale), siano investment

grade, cioè con livelli di rischio (e di rendimento) accettabili dagli investitori.

Da questo punto di vista, va preso atto che la pipeline dei progetti infrastruttu- rali bancabili è ancora scarsa, anche nei mercati europei più avanzati, con rife- rimento soprattutto ai progetti greenfield, che - data la loro innovatività - do- vrebbero dare il maggior impulso alla crescita; ma mancano anche i progetti

brownfield, con minori rischi, più adatti alle categorie di investitori maggior-

mente prudenti.

Dovendo coinvolgere i capitali privati, i progetti - oltre ad avere adegua- ti ritorni sul piano sociale - devono al tempo stesso rispettare i vincoli econo- mico-finanziari che assicurano la loro finanziabilità: le banche, gli intermediari finanziari e tutti gli altri investitori non sono attratti da tali progetti se questi non consentono adeguati rendimenti, cioè se i cash flow - generati dalla gestio- ne degli investimenti - non sono in grado di remunerare i mezzi propri investiti e rimborsare i prestiti e i relativi interessi. La selezione delle idee progettuali e una buona progettazione dei piani operativi sono di conseguenza essenziali af- finché i progetti siano finanziariamente sostenibili: le banche e gli altri inter- mediari, possono, e devono, dare il loro contributo con servizi di advisory e di

arrangement.

Pertanto, il contributo degli investitori non deve esaurirsi esclusivamente nell’apporto di capitali freschi; nel caso delle operazioni di start-up - generate dai progetti innovativi - si richiedono, infatti, anche competenze aziendali, che è bene che siano trasmesse affinché la formula imprenditoriale risulti efficace. Le banche e gli intermediari finanziari sono chiamati a intervenire in modo at- tivo alla governance territoriale e a svolgere un ruolo di attori protagonisti, of- frendo il proprio contributo per quanto riguarda non solo il funding ma anche le idee e il miglioramento dei progetti.

Inoltre, in un periodo in cui la finanza pubblica è una risorsa estrema- mente scarsa, il gap infrastrutturale – quantitativo e tecnologico – può essere colmato anche con il moderno “modello della finanza istituzionale”: utilizzan- do per finanziare lo sviluppo di nuove opere, oltre le risorse finanziarie prove- nienti dagli investitori istituzionali come sopraindicato, anche le risorse deri- vanti da una gestione efficiente delle infrastrutture esistenti da parte delle so- cietà di gestione “private” e infine con le risorse derivanti dalla privatizzazione di altri asset del patrimonio pubblico, come immobili e terreni (“modello nuo- vo italiano di PPP - partenariato pubblico-privato”).

Con debiti pubblici molto alti, che rimarranno alti probabilmente anco- ra per molti anni, il futuro del finanziamento delle infrastrutture in Europa dovrà necessariamente cambiare. In sintesi, il nuovo modello potrebbe essere una sorta di “capitalismo istituzionale” o degli “investitori istituzionali”, tec- nicamente molto esperto, capace di guadagnare in efficienza attraverso le eco- nomie di scala della standardizzazione, attraverso la creazione di Piattaforme nazionali, regionali e/o settoriali dedicate.

In conclusione, è possibile indicare tre possibili strade per il finanzia- mento delle infrastrutture e dei servizi collettivi. La prima riguarda il finan- ziamento attraverso il PPP e l’utilizzo di capitali e del risparmio privato di lun- go periodo come i fondi pensioni e le assicurazioni vita. La seconda riguarda la razionalizzazione, il rafforzamento, ma soprattutto il consolidamento del si- stema delle società di pubblica utilità, che realizzano una grande parte delle in- frastrutture del Paese. La terza riguarda l’utilizzo per finanziare le infrastrut- ture necessarie, dei fondi provenienti dalla vendita dei beni del patrimonio pubblico non necessari, da soli o in combinazione con le iniziative in PPP.

È bene precisare che il Governo e le Regioni devono integrare gli inve- stimenti privati con gli indispensabili investimenti pubblici nelle diverse aree regionali e urbane e si devono, inoltre, impegnare a rimuovere tempestivamen- te gli ostacoli amministrativi, che rallentano la realizzazione dei progetti d’investimento concordati, creando delle task force dedicate.

Bisogna, tuttavia, prendere atto del problema delle insoddisfacenti capa- cità progettuali: si osserva, infatti, come in Europa vi sia una diffusa mancanza di capacità tecniche delle amministrazioni pubbliche nei confronti di schemi contrattuali di grande complessità; al tempo stesso si registra la scarsa efficacia delle agenzie ad hoc che molti Governi hanno costituito per dare assistenza tecnica alle stesse amministrazioni pubbliche.

Un ulteriore ostacolo è, poi, costituito, quand’anche i progetti fossero validi sul piano economico-finanziario, dal quadro normativo che disciplina la formula del project financing, di cui si avvalgono tipicamente i progetti di inve- stimento basati sugli accordi di PPP. La mancanza in Italia di un quadro nor- mativo organico della finanza di progetto rende incerta la valutazione dei ri- schi e di conseguenza la collocazione dei project bonds - strumento importante che le società veicolo emettono per finanziare i progetti stessi - e il cui mercato trova difficoltà a decollare per le diversità normative che si riscontrano all’interno della Ue.

Già alla luce di queste considerazioni, non dovrebbe sorprendere se la finanza di progetto in Italia risulta poco sviluppata; si aggiunga la già segnala- ta carenza di competenze e di professionalità specifiche da parte delle ammini- strazioni pubbliche che promuovono e attuano i progetti, e una certa avversio- ne mostrata dalle banche a entrare in questo settore. Ciò è dovuto non solo al fatto che sono richieste particolari capacità di analisi e valutazione, di cui le

banche non sempre dispongono, ma anche perché la vigilanza prudenziale ri- chiede alle banche, a fronte delle operazioni di project financing, di rispettare onerosi vincoli di capitale che riducono il rendimento di tali finanziamenti.

Chiaramente, il programma di investimenti proposto in questo volume è in linea con gli obiettivi del Piano della Commissione Juncker per quanto ri- guarda l’obiettivo di mobilitare il potenziale imprenditoriale e creativo a livello territoriale e le risorse finanziarie private nei diversi Paesi europei. Merito di tale iniziativa è certamente quello di aver indicato un cambiamento di marcia e l’ambizione di creare dinamismo e aspettative positive. Nulla osta, tuttavia, che il Governo italiano avvii fin da subito un piano strategico di investimenti, basato sullo stesso approccio, e chieda alle imprese e alle istituzioni finanziarie italiane, a cominciare dalla CDP, e ai sindacati e al mondo universitario di partecipare al disegno e alla realizzazione di un Piano italiano, con l’effetto di liberare energie attualmente inespresse e di ridurre il clima depressivo attuale.

È necessario ora che Ue, Bei, banche e Governi nazionali facciano la lo- ro parte. Gli ambiti su cui è ancora necessario intervenire sono molti; i tempi sono stretti. Bisogna evitare che, sia in ambito europeo e sia a livello naziona- le, la burocrazia non renda i processi “pesanti” allungando i tempi e, in questo modo, allontani gli investitori che potrebbero invece decidere di investire in al- tre aree e regioni del mondo dove il contesto di riferimento si sta adeguando con maggiore rapidità. Se l’Europa vuole consolidare il suo nuovo modello deve farlo con grande coraggio politico ed istituzionale su tutti i livelli coinvol- ti nel governo dei processi. In molti casi si tratta di avviare vere e proprie “ri- forme strutturali” a livello nazionale.

A rafforzare questo contesto orientato alla ripresa, si consideri che la CDP è stata inclusa nella lista degli emittenti di debito i cui titoli rientrano nel piano di Quantitative easing (insieme ad altri istituti finanziari; la francese Bpi- france, la finlandese Finnvera e la slovena Sid Banka); la CDP è rivolta speci- ficamente al finanziamento degli investimenti infrastrutturali: così si prospetta la possibilità di incanalare la nuova liquidità verso progetti importanti per la crescita.

9. Un nuovo modello di management e di corporate governance nelle imprese