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Lo sviluppo della domanda e dell’offerta di produzioni innovative spinge la crescita

Riccardo Cappellin

2. Lo sviluppo della domanda e dell’offerta di produzioni innovative spinge la crescita

Il Gruppo di Discussione “Crescita, Investimenti e Territorio”, dappri- ma nell’ebook pubblicato nel febbraio 2014 (Cappellin, Marelli, Sterlacchini e Rullani, 2014) e quindi nel documento elaborato nel dicembre 2014 (Baravelli, Cappellin, Ciciotti, Marelli e Bellandi 2014), aveva indicato alcune idee forza per una nuova politica economica in Europa e in Italia:

a) la crisi dell’Europa è una crisi domanda interna di investimenti e consumi, b) le politiche monetarie della BCE non sono state e non saranno sufficienti

da sole per rilanciare la crescita,

c) le politiche delle “riforme strutturali” hanno un impatto deflattivo sulla domanda aggregata e non fanno crescere la produttività del lavoro. Ad esempio, la politica della “flessibilità” del mercato del lavoro determina una riduzione dei salari e un aumento delle disparità di reddito, che hanno un impatto negativo sulla domanda di consumi. Inoltre, le rifor- me strutturali del mercato del lavoro non hanno effetti sulla produttività del lavoro, secondo l’approccio all’innovazione illustrato da molti inter- venti in questo libro, dato che la produttività dipende dal capitale o da- gli investimenti, dall’innovazione e dalla formazione continua sul luogo di lavoro, che è disincentivata da una maggiore flessibilità del lavoro. Ora, tutti sembrano essere finalmente d’accordo sul ruolo cruciale per la ripresa economica degli investimenti, ma manca ancora un’indicazione chiara su cosa fare, chi deve agire, in quali aree territoriali iniziare a investire e come organizzare i progetti di investimento.

La “flessibilità” del lavoro non può creare nuova occupazione, ma è ne- cessario che le politiche economiche inducano un aumento della produzione. La crescita dipende dalla creazione di nuovi comparti produttivi e di nuove imprese, dalle innovazioni di prodotto e di processo e organizzative interne alle imprese e da una forte integrazione delle singole imprese sia nelle filiere pro- duttive globali che nel sistema produttivo territoriale.

La crescita economica dipende da un processo dinamico in cui interagi- scono sia la domanda che l’offerta delle nuove produzioni (Cappellin 2014a, 2014b). Da un lato lo sviluppo di nuove capacità produttive nei beni e servizi innovativi da parte delle imprese più innovative stimola la domanda finale da parte dei consumatori e la domanda intermedia delle imprese a sperimentare tali nuovi beni e servizi. D’altro lato, l’emergere di nuovi bisogni da parte delle comunità di utilizzatori innovativi (lead users) delle imprese che hanno bisogno di nuovi prodotti intermedi traina la domanda di mercato e induce i produttori a modificare le produzioni di beni e servizi tradizionali. Di fatto soprattutto nei servizi e nello sviluppo delle nuove produzioni, utilizzatori e produttori col- laborano strettamente nell’introduzione delle necessarie innovazioni.

L’equilibrio dinamico nel processo d’innovazione tra la domanda di nuove produzioni da parte degli utilizzatori e l’offerta di nuove produzioni da parte delle imprese può essere rappresentato come una barca che avanza se spinta dai remi a destra (ad esempio le politiche dell’offerta) e da quelli a sini- stra (ad esempio le politiche della domanda) che pur spingendo in direzione opposte fanno avanzare la barca. Il timoniere come la politica industriale e re- gionale decide la velocità o il ritmo e guida la barca in una determinata dire- zione. In modo analogo, lo sviluppo delle capacità dell’hardware in un cellula- re consente e stimola a sviluppare nuovo software e il successo commerciale delle nuove applicazioni traina la crescita delle capacità di calcolo dell’hardware da parte dei produttori.

In particolare, l’interazione tra la domanda e l’offerta non avviene solo se si considera la fase della costruzione dell’opera, ma anche in quella successi- va di utilizzo della stessa. Da un lato, l’investimento determina la domanda per i settori che partecipano alla sua realizzazione (come indicato dall’approccio keynesiano), dall’altro il nuovo investimento una volta realizzato permette di soddisfare la domanda di nuovi servizi (come indicato in un approccio di in- novazione demand led) e quindi i costi passati vengono compensati dal flusso di benefici e redditi futuri, assicurando la redditività dell’investimento. All’occupazione inizialmente creata nella fase di costruzione dell’investimento è possibile aggiungere anche la nuova occupazione nelle produzioni nuove che utilizzano il nuovo investimento.

È quindi fondamentale che i nuovi investimenti siano destinati a soddi- sfare bisogni emergenti e significativi dei cittadini o determinino per i settori, che utilizzeranno l’investimento stesso per la produzione di nuovi servizi, bene- fici o ricavi aggiuntivi, in misura adeguata per compensare i costi per la prece- dente realizzazione dell’investimento. Ad esempio, l’investimento nell’isolamento termico di una casa non solo crea lavoro per le imprese di co- struzione ma anche determina un beneficio per l’utilizzatore della casa e quindi consente un aumento degli affitti futuri e del valore della casa e questo ripaga l’investimento iniziale.

Pertanto, una “nuova politica industriale” deve promuovere un cam- biamento della struttura produttiva dell’economia e un aggiustamento dinami- co sia della domanda che della offerta dei diversi settori produttivi, per creare nuove produzioni e aumentare sia l’occupazione che la produttività media dell’economia. Le politiche industriali tradizionali (le “politiche industriali per fattori”), come la distribuzione di aiuti fiscali alle PMI (minore IRAP) posso- no servire a margine o come sfondo per la parte meno dinamica dell’economia, mentre solo politiche industriali strategiche e selettive possono sostenere le produzioni più innovative e dinamiche, che siano in grado di trainare l’economia complessiva. In altri termini, è necessario passare dal modello della “crescita equilibrata” a quello dello “sviluppo squilibrato” a la Hirschman o

Perroux, che mira al cambiamento non solo tecnologico ma anche dei bisogni degli utilizzatori e delle relazioni tra le istituzioni e i cittadini. Pertanto, i tradi- zionali settori produttivi verticali (“politica industriale per settori”) e anche le imprese singole (campioni nazionali, imprese leader, PMI) non sono le unità adeguate per definire le strategie di sviluppo. I veri driver della crescita in una “nuova politica industriale” sono la conoscenza, gli investimenti, le nuove pre- ferenze dei consumatori e la governance dei cambiamenti e delle relazioni tra gli attori economici.

In particolare, il Gruppo di Discussione propone una strategia di ripresa economica basata sulla riqualificazione dell’offerta di fronte ad una domanda che sta mutando sul piano dei bisogni e degli stili di vita. È necessario sostene- re la domanda interna di beni collettivi e adottare interventi strutturali nella nostra economia nel segno del cambiamento, dell’innovazione e di una miglio- re qualità della vita.

Secondo questo approccio nuovo di tipo “neo-keynesiano” e “neo- schumpeteriano”, l’investimento ha un ruolo determinante nel processo di cre- scita, dato che opera sia dal lato dell’offerta sia dal lato della domanda nello sviluppo di nuove produzioni più efficienti di quelle esistenti. Questo può esse- re rappresentato dalla sequenza dei seguenti effetti:

a. gli investimenti attivano il moltiplicatore keynesiano dei redditi e quindi aumentano la domanda aggregata e il PIL,

b. gli investimenti permettono la creazione di nuova capacità produttiva in nuovi settori innovativi e consentono la crescita dell’occupazione in tali settori,

c. le nuove produzioni create distribuiscono maggiori redditi a imprese e la- voratori. Questo da un lato permette alle imprese di compensare i costi iniziali di costruzione dell’investimento e dall’altro rappresenta per i lavo- ratori un maggiore reddito, che aumenta la domanda aggregata. Tale au- mento del PIL determina tra l’altro anche l’aumento della domanda degli utilizzatori delle stesse nuove produzioni, a loro volta consentite dai nuovi investimenti.

È importante sottolineare che, in base a questo schema teorico, una nuova politica industriale può aumentare non solo il “prodotto potenziale” nel lungo termine (come indicano gli economisti neo-liberisti), ma anche la cresci- ta del PIL nel breve termine, in modo del tutto analogo ai piani industriali del- le imprese che mirano raggiungere obiettivi operativi entro non più di uno o due anni.