Dopo 7-8 anni di perdurante crisi economica europea sembrerebbe op- portuno richiamare l’attenzione dei “policy maker” e dei cittadini europei sugli imperdonabili errori di politica economica compiuti dalla Commissione Euro- pea e dai governi nazionali che hanno sistematicamente scambiato gli effetti della crisi con le cause, determinando scelte di austerità che hanno progressi- vamente impoverito l’economia e la società europea.
L’origine di questo paradosso è da addebitare ad una visione epistemo- logica e a conseguenti problemi metodologici. L’eccessiva attenzione al breve periodo schiaccia il ragionamento economico sul presente e su principi conta- bili (disavanzo pubblico e flussi contabili) anziché prendere in considerazione i meccanismi del processo economico, le interazioni tra variabili e le sequenze decisionali e quindi i processi di trasformazione economica e sociale. Ne è, ad esempio, chiara conseguenza l’attenzione eccessiva al rapporto debito pubbli- co/PIL che distorce completamente la visione della questione prendendo come obiettivo della politica economica ciò che rappresenta soprattutto la manife- stazione degli effetti perversi di erronee politiche economiche per il persegui- mento dell’austerità e che hanno peggiorato la dinamica del denominatore del rapporto. Ciò è stato ampiamente dimostrato dagli effetti prodotti sull’indicatore dalle politiche adottate dopo la crisi dei fondi sovrani nei paesi con maggiori difficoltà economiche strutturali, nonostante alcuni tra loro (Ir- landa e Spagna) avessero precedentemente rispettato anche tutti i fondamenta- li macroeconomici (Valli, 2011; Garofoli, 2014).
La situazione di crisi perdurante nei paesi europei confrontata con la si- tuazione dei paesi extraeuropei dimostra ampiamente che ciò che è mancato in
Europa è stato il progressivo orientamento del sistema economico verso la domanda aggregata interna e soprattutto verso gli investimenti. Il caso cinese è stato sicuramente quello di cambiamento più pronunciato dopo l’inizio della crisi economica internazionale con il progressivo abbandono del modello “ex-
port led” e con il repentino aumento degli investimenti che hanno raggiunto un
valore pari al 48% del Prodotto Interno Lordo nel 2009 (Balcet e Valli, 2012). Tutti i paesi europei soffrono di una caduta della domanda interna do- vuta prevalentemente alla caduta della quota del reddito da lavoro (come con- seguenza delle diffuse strategie di abbattimento dei costi delle imprese oltre che delle strategie di delocalizzazione e di “outsourcing”) (Garofoli, 2015b); la ca- duta della domanda aggregata (rafforzata dalle politiche fiscali recessive) non poteva che determinare un continua diminuzione del rapporto investimen- ti/PIL che, a sua volta, non poteva che accelerare la crisi economica.
È assolutamente assurdo pensare che una tale condotta della politica economica europea avrebbe potuto rafforzare la competitività dell’industria europea che certamente non poteva competere su fattori di costo del lavoro con i paesi industriali emergenti e certamente non avrebbe potuto competere su prodotti e settori innovativi dato il tracollo della spesa pubblica in ricerca ed educazione e degli investimenti.
Chiaramente il punto di attacco per la ristrutturazione della politica economica europea non può che essere uno straordinario piano di investimenti europei che potrebbe essere lanciato anche evitando di modificare i trattati eu- ropei per non perdere ulteriore tempo nella burocrazia e nelle pastoie istituzio- nali in cui la gestione economica europea ci ha gettato in questi ultimi anni2. Più avanti saranno date indicazioni sulle modalità che potrebbero essere utiliz- zate in Europa senza modificare gli accordi presi dai paesi che ne fanno parte e, soprattutto, tenuto conto della crescente mancanza di fiducia che si sta rea- lizzando tra i vari paesi europei.
Per lo stesso motivo deve essere portata all’attenzione della politica e dei cittadini europei la necessità di avviare esplicitamente una strategia industriale europea con grandi progetti europei su una serie di tematiche cruciali sia per il benessere dei cittadini europei sia per l’avvio di una strategia coerente di ricer- ca e sviluppo e di innovazione in Europa. L’avvio di grandi progetti europei per l’utilizzo di energia rinnovabile, per la sanità (soprattutto per la cura e la riabilitazione delle persone anziane e con handicap), per trasporti “green” e so- stenibili, per la tutela ambientale e la difesa del territorio rappresenta la chiave di volta di un processo coerente di ricerca, innovazione e produzione europea prioritariamente orientata al mercato interno e al soddisfacimento dei bisogni presenti e futuri dei cittadini europei. Ciò significa innescare meccanismi di in-
2 Stuart Holland sta promuovendo, da alcuni anni, un confronto e un dibattito non solo con gli economisti ma
anche con le istituzioni europee a partire appunto da una “Modest proposal” con alcuni documenti, inizialmen- te firmati con Varoufakis sin dal 2010 (cfr. Varoufakis, Holland, 2011) e poi anche con J. Galbraith (cfr. Gal- braith, Holland, Varoufakis, 2014).
vestimento, occupazione, ricerca e innovazione con una coerenza tra offerta e domanda a scala europea e che , quindi, risolva al proprio interno la questione della realizzabilità e della regolazione del sistema economico. L’attenzione al mercato europeo è fortemente giustificato dalla sua ampiezza (oltre 500 milio- ni di consumatori) e dal suo potenziale di forte incremento. Ciò significa che il problema dell’orientamento della produzione al mercato è molto più rilevante se pensato in termini di coerenza intertemporale piuttosto che in termini di ba- nale competitività internazionale. Se cominciassimo a ragionare in termini di esportazioni ed importazioni effettivamente europee (cioè destinate a mercati extraeuropei e provenienti dai paesi extraeuropei) scopriremmo immediata- mente che solo una bassa percentuale (attorno al 10%, come avviene in tutti i grandi paesi presenti sul mercato internazionale, a partire dagli USA) è desti- nata al mercato internazionale (cioè extraeuropeo) (Garofoli, 2015b)3.
Gli strumenti per aumentare gli investimenti a livello europeo senza mo- dificare gli impegni dei diversi paesi rispetto al patto di stabilità e crescita sono tre (utilizzabili anche congiuntamente):
a. Aumento del budget direttamente gestito dall’Unione Europea (aumen- tando progressivamente la quota di spesa europea sul reddito europeo), sia attraverso un progressivo aumento dei contributi finanziari nazionali sia attraverso l’introduzione di una fiscalità diretta dell’Unione Europea (cfr. “carbon tax”, tassazione sulle transazioni finanziarie internazionali, tassazione perequativa a livello europeo sui profitti delle imprese multina- zionali anche per abolire l’assurda competizione fiscale tra paesi membri); b. Finanziamento dei progetti da parte della BEI (Banca Europea degli Inve- stimenti) che, a sua volta, si potrebbe finanziare con l’emissione di bond che potrebbero essere appetibili per i paesi con surplus commerciale e per i fondi sovrani (Varoufakis, Holland, 2011; Galbraith, Holland, Varoufa- kis, 2014);
c. Eliminazione degli investimenti pubblici (o almeno di loro parti, specie quelle relative alle tematiche precedentemente ricordate per i grandi pro- getti europei) dalla misurazione degli indicatori previsti dal patto di stabi- lità e crescita.
Ma affrontare la questione di un diverso orientamento agli investimenti in Europa non è solo questione di poter organizzare una diversa posizione eu- ropea nei riguardi degli investimenti e della crescita della domanda aggregata, è anche una questione di sensibilità e di competenze professionali che sono alla
3 Ciò non vuol dire che per alcuni settori e per alcuni gruppi di imprese non debba essere prioritario lo sbocco
di mercato nei paesi extraeuropei, ma questo avverrebbe soltanto per una porzione relativamente modesta di settori e prodotti fortemente innovativi o di elevata qualità (cfr. la gran parte della meccanica strumentale e del- la produzione di macchine operatrici). Ma altrettanto non bisogna dimenticare che la capacità di fornire beni di qualità ai cittadini europei nei settori prioritari dei grandi progetti potrebbe sviluppare innovazione e la produ- zione di competenze specifiche che, poi, potrebbero dar luogo a un elevato sviluppo di esportazioni. Si potreb- bero, infatti, realizzare processi di apprendimento dinamico che producono vantaggi comparati a livello inter- nazionale.
base della capacità (“capabilities”) di organizzare progetti di sviluppo e di in- vestimento. Queste capacità dipendono dai valori e dalla sensibilità alla solu- zione dei problemi dell’economia e della società (anche per quelli che prece- dentemente ho elencato come temi per i grandi progetti europei) che sono or- ganizzabili e mobilitabili a scala della comunità locale e regionale. In altri ter- mini la questione fondamentale diventa quella di mobilitare gli attori per risol- vere problemi diffusi sul territorio e che danno luogo a progetti di investimen- to che sono gestiti e finanziati a livello locale. La crisi economica è perdurata nel tempo non solo per le erronee posizioni delle istituzioni europee e nazionali ma anche per l’insufficiente risposta “dal basso” alle nuove esigenze che si sta- vano manifestando proprio in conseguenza della crisi. Pertanto una strategia di elevati investimenti in Europa è questione sia di un diverso orientamento della politica economica europea che questione di capacità di avviare progetti di sviluppo e di individuare gli attori cruciali che possono farsi carico di biso- gni diffusi da parte dei cittadini e che restano insoddisfatti per carenza di in- terventi pubblici e privati.
In altri termini si apre le necessità di avviare progetti di investimento che spesso potrebbero avere origine da organizzazioni non profit o da consorzi e iniziative miste con partenariato pubblico-privato sia per raccogliere le risorse finanziarie necessarie sia per mobilitare le competenze tecnico-professionali necessarie a gestire progetti di sviluppo e di investimento4.
Questo significa che la questione degli investimenti è basata su due as- si/“arms” di una tenaglia che deve essere adeguatamente utilizzata.
In questo senso si può dunque parlare di progetti territoriali e/o urbani, come suggerito nel documento del gruppo di discussione “Crescita, Investi- menti e Territorio” (Baravelli et al., 2014) e in Cappellin (Cappellin, 2015), che siano in grado di creare interazione tra bisogni diffusi e capacità di risposta ai problemi con orientamento “problem solving” (compreso l’avvio di imprese so- ciali e l’attivazione di “venture capital” solidale) e che potrebbero trovare op- portuna copertura finanziaria attraverso la mobilitazione dei seguenti stru- menti:
a. Progetti di sviluppo con partnership pubblico-privata (PPP) in risposta ad esigenze particolarmente diffuse ed espresse esplicitamente a livello locale; b. Iniziative e progetti di sviluppo in interazione con le politiche dei fondi
strutturali europei, attivando le capacità progettuali con orientamento ai problemi e non alla risposta burocratica ai bandi europei e regionali; c. Mobilitare il “capitale di prossimità”, attraverso i vari schemi potenzial-
mente esistenti (dai bond territoriali e di distretto ad un più stringente rapporto tra risorse finanziare locali e necessità di investimenti pubblici e
4 È possibile far riferimento a progetti locali di non grande impegno progettuale e finanziario ma che si possono
facilmente moltiplicare e diffondere come mostrato da alcuni documenti presentati al Policy workshop al Poli- tecnico di Milano (cfr., ad esempio, Cipolletta, 2015 e Pasqui, 2015).
collettivi – con l’attivazione di una più rilevante responsabilità sociale de- gli istituti bancari -, dal “venture capital” solidale all’azionariato pubblico locale, alla gestione diretta delle imprese da parte dei lavoratori in caso di mancato orientamento agli investimenti, allo sviluppo e al rischio d’impresa da parte della proprietà) (Garofoli,2015a).
Il secondo braccio della “tenaglia” potrà muoversi con la capacità di mobilitazione e coinvolgimento degli attori economico-sociali del territorio per utilizzare a pieno e valorizzare le risorse del territorio (capacità imprenditoria- le, competenze tecnico-professionali, competenze di lavoro qualificato, risorse finanziarie). Chiaramente è necessario anche avere le competenze di sistema per mobilitare gli attori, costruire la fiducia reciproca, integrare le conoscenze e le competenze locali con quelle esterne; ma forse non è difficile pensare che queste risorse sono potenzialmente presenti e che questa dovrebbe essere una delle missioni fondamentali dell’Università che talvolta ha gestito interessanti progetti di questo tipo anche se, spesso, nel disinteresse generale.
La mobilitazione del “secondo braccio” della tenaglia è dunque questio- ne culturale e sociale prima che economica: da essa dipende la possibilità di in- crociare e far interagire progettualità, imprenditorialità e responsabilità sociale che sono gli ingredienti necessari per avviare progetti territoriali di sviluppo e di investimento.
Bibliografia
Balcet G., Valli V. (a cura di) (2012), Potenze economiche emergenti. Cina e India a confronto. Bologna: il Mulino.
Baravelli M., Bellandi M., Cappellin R., Ciciotti E., Marelli E. (2014), La ripresa eco- nomica e la politica industriale e regionale. Documento di sintesi dei contribu- ti elaborati nel 2014. Gruppo di Discussione “Crescita, Investimenti e Territo- rio”.
Cappellin R. (2015), La ripresa economica e la politica industriale e regionale: dalla strategia ai progetti. Introduzione al dibattito e prime indicazioni operative, Po- licy workshop “La ripresa economica e la politica industriale e regionale: dalla strategia ai progetti”, Politecnico di Milano, 20 marzo.
Cipolletta I. (2015), Smart regulation per il rilancio delle città e dell’economia. Policy workshop “La ripresa economica e la politica industriale e regionale: dalla strategia ai progetti”, Politecnico di Milano, 20 marzo.
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Garofoli G. (2014), Economia e politica economica in Italia. Lo sviluppo economico italiano dal 1945 ad oggi. Milano: FrancoAngeli Editore.
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Garofoli G. (2015b), Alternative economic policies in Europe: an introduction. Con- ference on “Alternative economic policies in Europe”, Pavia, 24th -25th April. Pasqui G. (2015), Efficientamento energetico e riqualificazione del welfare materiale:
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