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Una nuova politica industriale e regionale

Riccardo Cappellin

4. Una nuova politica industriale e regionale

Tuttavia, non basta individuare le nuove produzioni ove siano possibili alti rendimenti finanziari, tali da giustificare nuovi investimenti da parte delle imprese private, la cui realizzabilità in Italia è peraltro dimostrata dal maggio- re sviluppo di queste produzioni in altri paesi europei ed anche dallo stesso successo in Italia delle imprese estere specializzate in queste produzioni nuove. Infatti, perché gli investimenti si realizzino, è necessario che le imprese private italiane abbiano maggiori capacità imprenditoriali e la volontà di investire. Anche se l’iniziativa spetta alle imprese private, una nuova politica industriale potrebbe avere un ruolo facilitatore.

È possibile individuare una serie di fattori interni alle imprese che spie- gano la diminuzione della loro propensione all’investimento. Infatti, mancano le idee e quando le idee valide ci sono manca la volontà di investire nel loro sviluppo di progetti operativi. L’energia imprenditoriale è carente e le grandi imprese italiane sembrano seguire quasi unicamente un approccio di tipo fi- nanziario (deleveraging), tanto da poter affermare che le famiglie imprendito- riali italiane sembrano domandare più i servizi del private banking che dell’investment banking.

Non solo gli investimenti fissi lordi non aumentano, ma sono scarse an- che le acquisizioni da parte delle imprese italiane di altre imprese italiane, an- che se l’abbondante liquidità ora esistente favorirebbe la crescita delle dimen- sioni medie delle imprese. Invece, prevale la tendenza delle imprese italiane a riacquistare le proprie azioni, reinvestendo in sé stesse per aumentare il valore delle azioni. Intanto, le crisi di grandi aziende e la chiusura di importanti im- pianti produttivi si succedono e l’unico dato positivo è l’aumento degli inve- stimenti esteri in imprese italiane da parte di gruppi internazionali. Ma a tali acquisizioni non corrisponde l’investimento in nuove attività produttive in Ita- lia dei ricavi degli azionisti italiani che hanno venduto. Infine, il fattore crucia-

le di debolezza è il fatto che né le grandi imprese italiane, né le associazioni in- dustriali e neanche il Governo hanno annunciato grandi progetti d’investimento.

In questa prospettiva, la nuova politica industriale dovrebbe valorizzare le relazioni di prossimità tra le imprese e aumentare la ricettività delle singole imprese agli stimoli che possono venire da altre imprese. Infatti, l’investimento richiede sempre più spesso un’azione congiunta con altre imprese e dipende dall’individuazione di un obiettivo comune, dalla creazione di alleanze strate- giche, dalle relazioni di fiducia tra le imprese, dalla condivisione di esperienze e modelli culturali comuni.

L’investimento per essere finanziariamente conveniente deve avere un al- to contenuto di innovazione, maggiore di quello delle produzioni già esistenti La maggior parte delle imprese ha compiuto uno sforzo inadeguato in proget- tazione e in ricerca sviluppo, senza il quale non è possibile individuare campi di business convenienti. Questo dipende dal fatto che l’impresa singola non ha partecipato a reti di innovazione con altre imprese della filiera produttiva e nel sistema di innovazione regionale e locale, all’interno del quale si possono svi- luppare processi di apprendimento interattivo che portano allo sviluppo della creatività e dell’innovazione. È, infatti, necessario che le politiche industriali spingano le imprese a combinare in modo originale conoscenze tacite e codifi- cate complementari di imprese diverse che operano in tecnologie e comparti produttivi diversi.

Infine, gli investimenti e le innovazioni dipendono da processi di gover-

nance a livello locale e a livello settoriale o da politiche pubbliche regionali e

industriali, che siano in grado di spingere alla collaborazione soggetti diversi come le imprese singole di settori diversi, le università, i sindacati, le banche e le amministrazioni pubbliche. La promozione dei flussi di nuova conoscenza, di innovazione e d’investimento richiede misure di politica industriale, che faci- litino le relazioni tra le imprese e tra queste ultime e i consumatori, i lavoratori e gli altri attori del sistema nazionale e regionale della innovazione. Manca una strategia di sviluppo industriale che riduca l’incertezza per le singole imprese, permetta di inquadrare le decisioni d’innovazione e di investimento delle sin- gole imprese in una prospettiva di filiera produttiva a medio termine e assicuri la collaborazione delle altre imprese, del sindacato, del sistema finanziario e dell’amministrazione pubblica. Infatti, i tempi troppo lunghi di realizzazione degli investimenti dipendono non da problemi finanziari o tecnici ma da pro- blemi di coordinamento, dalla cronica scarsa fiducia e alta litigiosità in Italia nei rapporti tra le imprese private stesse, dai ritardi ed incertezza dei pagamen- ti reciproci, come anche dalla mancata innovazione nelle procedure e nell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche.

Inoltre, la politica industriale deve essere in grado di definire un piano nazionale di rilancio degli investimenti già a partire dal periodo 2015-16, che

metta a sistema i piani industriali attuali delle grandi imprese nazionali ed este- re in Italia, delle grandi imprese di servizi collettivi (multi-utilities) e delle me- die imprese che sono leader nei rispettivi distretti industriali o filiere produttive nazionali.

In conclusione, un cambio di rotta è necessario nelle politiche economi- che italiane e europee, che devono focalizzarsi sulla domanda interna e in par- ticolare sugli investimenti e l’innovazione, tramite una nuova politica indu- striale con dimensione regionale. È necessario affermare che il nuovo para- digma dell’innovazione impone un ri-orientamento radicale delle politiche ma- croeconomiche sbagliate finora seguite, che sono corresponsabili della situa- zione di stagnazione da ormai un decennio o più. Prima si cambiano le politi- che e prima si avvia la ripresa.

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