• Non ci sono risultati.

Politiche generali e fattori chiave di attrazione

Sergio Mariotti 1 , Marco Mutinelli

2. Politiche generali e fattori chiave di attrazione

Le pratiche adottate nelle esperienze internazionali di maggiore successo indicano l’importanza del sapere creare un differenziale di attrattività, basato

sull’offerta di risorse e competenze distintive che siano specifiche di paese, dif- ficilmente replicabili in altri contesti (all’estero) e tali da rappresentare assets competitivi rari ed essenziali per le IMN. Tali fattori debbono corrispondere a punti di forza del Paese, per tradizione e accumulazione storica, tali da poter essere posti al centro di un piano straordinario di rafforzamento e valorizza- zione, e credibilmente offerti al mercato degli investimenti internazionali. A nostro giudizio, i fattori su cui l’Italia può agire per “fare la differenza” posso- no essere sintetizzati in in tre punti-chiave: (i) talenti e mestieri; (ii) manifat- tura avanzata e integrata nei servizi; (iii) qualità delle città.

Talenti e mestieri

Nelle varie surveys internazionali relative ai fattori di attrattività l’Italia quota sempre molto in alto riguardo alla qualità delle risorse umane. Il nostro Paese vanta un’importante storia di formazione allargata del capitale umano, relativa all’intero spettro dei profili e delle figure professionali, dall’alta educa- zione manageriale sino ai mestieri nella loro accezione basilare

L’Italia deve e può fare molto per migliorare l’offerta di risorse umane qualificate: nel campo dell’alta educazione e del sistema universitario in primis, ma anche nel campo dei mestieri, tradizionale punto di forza del nostro siste- ma di PMI, dove si registrano segnali di logoramento e potenziale declino. La possibile perdita di alcuni mestieri è una grave minaccia per la competitività del territorio e richiede di essere contrastata da investimenti negli istituti pro- fessionali, da programmi a favore dell’apprendistato e altre esperienze di lavo- ro presso le imprese, da indirizzi educativi e sociali che premino questi percorsi di avviamento al lavoro specializzato. Un programma organico e ad ampio spettro di nuovi investimenti nei talenti e nei mestieri appare essenziale per “fare la differenza” nell’accumulazione allargata del capitale umano, a partire dalla buona reputazione di cui l’Italia ancora gode in questo ambito. Anche sul piano della comunicazione, il lancio di un programma siffatto, se ben co- struito in termini di obbiettivi, programmi, risorse e accountability, potrebbe avere un immediato e importante impatto segnaletico sugli investitori interna- zionali.

Manifattura avanzata e integrata nei servizi

L’Italia è il secondo paese manifatturiero d’Europa e il suo patrimonio

tecnologico e ingegneristico è una leva fondamentale dell’attrattività di paese, che ha generato una serie di meta-competenze (Grilli, Mariotti, 2006), con ca- ratteristiche trasversali e, come tali, fungibili in un ampio spettro di attività settoriali: il patrimonio culturale di ideazione del prodotto, il design, l’innovatività market-oriented, la capacità di costumizzazione e di integrazione

prodotto-servizio, la sofisticazione della produzione nel coniugare qualità, stile e tecnologie avanzate.

Capitalizzare su queste meta-competenze è un imperativo imprescindibile per un Paese industrialmente avanzato, che non può più competere sul costo del lavoro e degli altri fattori produttivi, ma che può capitalizzare le tendenze che indicano il ritorno alla centralità della manifattura di qualità (di cui sono un esempio i processi di re-shoring e back-shoring, in crescita costante dal 2010 ad oggi).

La collocazione dell’Italia sulle frontiere tecnologiche della manifattura avanzata integrata nei servizi passa attraverso il rilancio di una politica indu- striale che sappia fare leva oltreché sull’iniziativa imprenditoriale e sul merca- to, anche sull’azione pubblica (public procurement tecnologico, programmi

mission-oriented, incentivi mirati all’innovazione manifatturiera) e sul suo

coordinamento con i grandi programmi di ricerca internazionali, europei in

primis. “Fare la differenza” in questo ambito significa competere con determi-

nazione con i maggiori paesi, come gli USA, dove il piano per l’economia dell’Amministrazione Obama è incentrato sulla creazione di una Rete Nazio- nale per l’Innovazione Manifatturiera; la Francia, dove il rilancio del manifat- turiero prevede 24 piani industriali e si avvale del ruolo strategico affidato alla Banca Pubblica degli Investimenti; e perfino la Gran Bretagna, da sempre orientata verso il settore terziario, che ha lanciato una Strategia per la Mani- fattura Avanzata, che vede le istituzioni pubbliche attive nel supporto tecnico e finanziario alle imprese (Romano, 2014).

Qualità delle città

Le città, in primo luogo di dimensione metropolitana, sono destinatarie della parte preponderante degli IDE (Goerzen et al., 2013; McCann, Acs, 2011), in quanto nodi di una rete mondiale in cui si incontrano le conoscenze, le abilità, le opportunità disponibili sui mercati locali e i flussi di informazioni e idee generati su scala globale; esse possono garantire alle IMN l’accesso con- temporaneo ai networks locali di imprese e istituzioni e alle catene globali del valore. In questo contesto, appare essenziale il ruolo attrattore della qualità, livello di servizio e infrastrutture offerti dalle nostre maggiori città.

La struttura urbana policentrica dell’Italia, più simile alla Germania che non alla Francia e al Regno Unito (dove Parigi e Londra hanno un ruolo do- minante), si presta a coniugare presenza delle business communities e qualità dell’ambiente e della vita. Tuttavia, le città italiane stentano a reggere la com- petizione di altre città europee, la cui attrattività è cresciuta negli ultimi anni: è questo il caso di città di media taglia, quali Eindhoven, Edinburgh e Helsinki, capaci di scalare la graduatoria dell’attrattività internazionale proprio grazie all’implementazione di strategie e piani particolarmente attenti verso gli IDE (Di Intelligence, 2014).

La “questione delle città” non è solo di competenza dei policy makers lo- cali, ma merita attenzione ai massimi livelli della politica nazionale. Nei paesi industrializzati, le città e i fattori insediativi che le sostengono, debbono dive- nire sempre più il locus delle politiche di attrazione deglI IDE, secondo una vi- sione che non sia solo centrata sull’idea dei grandi investimenti industriali

greenfield, ormai ben difficili da catturare, ma si dedichi alla promozione del

contesto infrastrutturale e soprattutto alla cura di iniziative anche di piccola taglia dimensionale, ma ricche di valore aggiunto e accumulatrici di conoscen- ze nei settori strategici dell’economia. Un’attenta politica per le città è quanto si chiede, anche per evitare di dissipare quel capitale relazionale e di partecipa- zione alla “rete transnazionale delle metropoli” che alcune nostre città hanno accumulato nel tempo, ancora una volta grazie alla loro storia secolare.