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IV 36: Mi pensar certa chesta zurna boler far ben badagna co chesta fulaster Ella ditta bel mi che aber una moruza che star sumeggiata cun el mio Armeli, e burave piar chela so moruza del beith abuch, del casa del

III.2 La fase del pidgin barbaresco stabile

In questo paragrafo tratteremo in ordine cronologico le testimonianze di tipo documentaristico che vanno dal XVI secolo fino all’inizio del XIX, nelle quali ritroviamo estratti, citazioni e descrizioni della varietà di lingua franca parlata in particolare ad Algeri e Tunisi, le roccaforti dei regni barbareschi. Come accennato in precedenza le testimonianze provenienti da Algeri e da Tunisi si dimostrano differenziate dal punto di vista diatopico. Attenendoci alle testimonianze, ad Algeri troviamo una varietà di lingua franca barbaresca in cui la componente spagnola è ben più visibile, mentre per la varietà di Tunisi spicca maggiormente la componente lessicale italiana; in ragione di questo la varietà tunisina è apparentemente dotata di un livello di pidginizzazione molto meno profondo, e appare «più vicina all’italiano standard dell’epoca»109. Al fine di mettere in

evidenza tale variazione sincronica si riporteranno sia testimonianze provenienti dal regno di Algeri sia da quello di Tunisi. Il minore livello di pidginizzazione della lingua franca tunisina è forse dettato dall’influenza dell’italiano come lingua di riferimento in ambito diplomatico e cancelleresco.

La maggior parte delle testimonianze sono tratte da opere a carattere memorialistico redatte da europei rapiti dai corsari barbareschi e condotti in Barberia per scontare un periodo di schiavitù, o da ambasciatori e consiglieri in visita presso i regni barbareschi. Oltre al valore linguistico di queste testimonianze, in cui spesso si trovano frasi e citazioni ricavate da esperienze dirette, ritengo assolutamente da non sottovalutare la loro portata storico-documentaristica, essi infatti contribuiscono a far luce sul periodo d’oro della pirateria corsara e sulla schiavitù occidentale in Barberia, un fenomeno di cui generalmente si sente parlare molto poco in ogni ambito di studi, non solo in quelli linguistici. Riporteremo per primi anche due brevissimi accenni in lingua franca barbaresca, che non ci azzarderemo a definire testi o documenti veri e propri a causa dell’esiguità del materiale da essi fornito; essi si collocano a cavallo tra il XVI secolo e l’inizio dell’epoca barbaresca, o al confine con essa.

109 G.CIFOLETTI,op. cit., 2000, p. 32. Non appare chiaro il riferimento all’italiano standard dell’epoca, potrebbe

riferirsi parimenti all’italiano letterario del ‘500 o del ‘600, oppure all’italiano diffuso in area tunisina nella stessa epoca, cioè quello di uso diplomatico e cancelleresco.

Il primo all’interno di una lettera pubblicata da Paolo Giovio in Pauli Iovii opera, cura et studio societatis historicae novocomensis denuo edita del 1528 ed il secondo, un piccolo dialogo risalente ai primi anni del 1600 e contenuto in Vies des grands capitaines estrangers et françois del 1848. In seguito ci concentreremo su Diego De Haedo, De Brèves, D’Aranda, Tamayo e seguenti, fino a concludere con la testimonianza di Calligaris.

III.2.1 Paolo Giovio, Pauli Iovii opera, cura et studio societatis historicae

novocomensis denuo edita, epistolarum pars prior curante G.G. Ferrero, Roma, 1956 Il più antico testo di natura memorialistico-documentaria in cui vi sia contenuta una frase in lingua franca risale all’opera di Paolo Giovio Pauli Iovii opera, cura et studio societatis historicae novocomensis denuo edita il cui primo volume contenente un epistolario, Epistolarum pars prior curante G.G. Ferrero, è stato riproposto in un’edizione recenziore nel 1956.

La frase in questione è contenuta precisamente nella lettera numero 31 del maggio del 1528, il cui destinatario è Papa Clemente VII. Nell’epistola si racconta la battaglia di Capo d’Orso tenutasi presso Salerno e che vide opporsi il 28 aprile dello stesso anno la flotta genovese condotta da Filippino Doria al servizio della Francia, e quella del viceré di Napoli Don Hugo de Moncada per conto dell’impero spagnolo, il quale trovò in battaglia la sconfitta e la morte. Nell’edizione curata da Ferrero si riporta:

[…] in questa ora [una di notte] si seppellisse il corpo del signor don Hugo [di Moncada], il quale è stato dui dì nello scandolaro, nudo fra doi bote, sgambarato a meschio d’un gran pezzo di lardo e biscoto e certi saconi pieni di membri e cervella di omini; e li Mori li facean la baya dicendo: ‘o don Ugo, ti venir a Zerbi e Tunesi -etc110.

Si tratta di una frase troppo breve per trarre considerazioni significative, tuttavia è interessante riscontrare la presenza di alcune caratteristiche che ritroveremo poi anche nella lingua franca barbaresca: l’impiego del pronome personale tonico di seconda singolare ti e l’uso dell’infinito sovraesteso. Il riferimento a Tunisi e all’isola di Gerba è

110 G.CIFOLETTI,A proposito di lingua franca, «Incontri Linguistici», 17, 1994, p. 155. Le maiuscole e le quadre

sono da attribuirsi alla trascrizione di Cifoletti, il corsivo a chi scrive, per distinguere meglio le parole in lingua

da intendersi in quanto sberleffo nei confronti di Moncada pronunciato da quei “mori”, come riportato da Giovio, che militavano nella flotta franco-genovese.

III.2.2 Pierre de Bourdeille abate di Brantôme, Vies des grands capitaines estrangers et

françois, riedito da Sabe, Paris, 1848

La prima edizione dell’opera dell’abate risale al 1604, quella del 1848 è quella di cui si è servito Cifoletti per riportare questo breve dialogo. All’interno del primo volume intitolato Des hommes, è riportato il dialogo in lingua franca che l’autore dichiara di aver sentito narrare di persona da uno dei due interlocutori, il cavaliere di Malta Parisot de la Vallette, nominato gran maestro. L’altro interlocutore gode di una non meno leggendaria fama, si tratta di Dragut, il pirata che conquistò Tripoli nel 1571. Nell’antefatto del dialogo si racconta che Dragut, dopo essere stato catturato e fatto prigioniero dalla flotta di Giannettino Doria, nipote del più famoso Andrea, incontrò il cavalier de la Vallette, che a sua volta era stato fatto prigioniero dal pirata in circostanze precedenti. L’abate di Brantôme riporta:

M. le grand maistre luy dict: Señor Dragut, usanza de guerra!