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N°3 Pour Consulter

III.3 Testi letterari e pièces teatrali dal XVII al XIX secolo.

Dopo aver passato in rassegna i testi di tipo documentario, riprendiamo la trattazione dei testi letterari e teatrali contenenti estratti o brevi sequenze in lingua franca. I testi qui presentati si collocano tutti tra il XVII ed il XIX secolo, la maggior parte sono di area italiana, soprattutto veneziana, uno di origine genovese ed altri due di origine francese. I brani saranno presentati in ordine cronologico, ed eccetto i due componimenti veneziani in versi e gli ultimi in genovese, si tratta di commedie teatrali. Possiamo già anticipare che le varietà di lingua franca utilizzate nelle diverse opere mostrano numerosi punti di contatto, permettendoci di delineare un profilo linguistico delle caratteristiche della lingua franca di uso letterario. Tali caratteristiche sono: l’infinitivizzazione con predilezione per gli infinti apocopati, la tendenza alle terminazioni anomale in -a sia in ambito nominale che verbale, l’omissione di elementi grammaticali come preposizioni, articoli e congiunzioni.

Per l’analisi dei testi letterari e teatrali ci serviremo del commento al testo fornito da Renata Zago in appendice al volume di Cifoletti del 1989, ad esso affiancheremo anche commenti ed analisi forniti da altri studiosi ed alcune inedite precisazioni o puntualizzazioni.

III.3.1 Giovanbattista Andreini, La Sultana (1622)

Tra le prime opere teatrali dell’età moderna qui presentate, troviamo La Sultana di Andreini, commediografo fiorentino al servizio della corte parigina e dei nobili signori dell’Italia settentrionale. Nella produzione teatrale sono già presenti sia opere di stampo più ascetico, come La divina visione sia commedie a carattere più licenzioso come la presente. La figura di Andreini tuttavia è soprattutto legata all’Adamo, un poemetto molto vicino al Paradise Lost di Milton, tant’è che non si esclude che sia stato proprio il commediografo inglese a prendere spunto dall’opera dell’italiano dopo averne vista una rappresentazione a Milano.

La Sultana è ambientata a Napoli: il nucleo dell’intreccio è costituito dalla vicenda

è divenuta l’amante e la sostenitrice finanziaria, ricoprendolo di ricchezze e agi. Alla prima occasione lo schiavo cristiano fugge via lasciandola sola in attesa di un figlio. A questo punto la Sultana, dopo aver inseguito l’ex amante, si reca a Napoli con il figlioletto ormai nato per rintracciare lo schiavo cristiano; egli si fa chiamare Lelio, ed è innamorato di un’altra donna. La Sultana si finge uno schiavo turco al servizio di Lelio, l’ex amante, ed insieme al figlioletto progetta di ucciderlo; tuttavia egli riconoscerà la madre ed il figlio, offrendo un imprevedibile lieto fine alla vicenda. Come in altre commedie cinque- secentesche, il plurilinguismo gioca un ruolo importante nell’economia della vicenda; notiamo, all’interno, non soltanto estratti di una possibile varietà di lingua franca, ma anche frasi in dialetto veneziano e napoletano; la lingua franca è parlata dalla Sultana travestita da schiavo turco e dalla nutrice. Riportiamo qui una selezione delle battute in

lingua franca più significative ordinate per atto e scena:

II, 2:

Sultana: Signor, e quando nò responder alla prima, no dar urton in le spale: ma pugno in tel viso, intender

ti.

[…]

Sultana: Turco star resoluto, resoluto, resoluto. […]

Sultana: mi nò voler più partir da ti, tanto tò aria de ti piase a mi. Lelio: ma la tua non piaser a mi; o che bello imbroglio.

Sultana: Mi saver che ti vorrà gran ben, ben à mi. […]

Sultana: ah, traditore pur troppo il sò. Guarda un poco tò Signoria, che star questo, e questo, e questo, ah,

ah, ti calarte.

[…]

Sultana: ti guarda prest, che mi nasconder nasconder. […]

Sultana: altre cose più belle mi haver; e tutte, donar à ti, tanto piaserme furbetto. […]

Sultana: ah traditore ben mi vendicherò. Signor mi haver governà in borsa c’ho frà mezo le gambem la

roba.

[…]

Sultana: si signor, borsa turchesca star larga; in somma, mi nò sol darte questo: ma altre cose de mazor

stima, se ti torme con ti. E perche ti nò sospetti mi dirte el tutto.

[…]

Sultana: ah disleale; star peccà in turchia, impalar, impalar chi inganna femmena. Hora mentre mi fuzir

con sto tesoro dar in te le galere de Gran Duca, e farme schiavo, e haver virtù nò metterme à remo: ma venderme à gran mercante Raguseo, raguseo, raguseo. Sto can strapazzarme, e farme far cose basse, e mi c’haver anemo nobile, nò poder comportar questo; lu à mi piar odio, e volerme vender. Hora mi haver gran paura de dar in padron pezo, e che me despoia, e trovame oro, e zoia, e savendo, che mi son ricco farme grossa taia; però ti piaserme, e se ti comperame, e farme carta de segurtà, e de licenzia, mi donar tutte queste cose.

[…]

Sultana: cento cecchinia. […]

Sultana: ti haver fede, ohime che dissi? si, si, haverla; Cristian per fede; bon bon, non me arrecordar; mi

no haver fede per haver tolto honr à sultana, e po’ scappar. Piar tò signoria, in questa borsa star la cento cecchinia, tornar tò signoria de ti à comperar mi, che ‘l patron dorme, e mi intrar in casa; vegnir giusto, giusto in sta strada.

[…]

Sultana: nò, nò, mi nò voler questo.

II, 6:

Nudrice: ti parlar ben, ti scomenza un poco à monstrar virtù. […]

Nudrice: ti star bestia, e nò schiavo. […]

Sultana: signori mi zogar un poco de man. Sultana: ficchalo dentro.

[…]

Sultana: e mi meno, e mesedo. […]

Sultana: si si finemo; Merluzzo star fermo; guarda questo è sonaio, senti el sona, che voler far. […]

Sultana: tazer sporco eh, eh, farme rider. Averzi bocca […]

Sultana: tegner streto, tegner streto.

III, 1

Sultana: mi ringrazio tò signoria: ma voler andar à Costantinopole, per mantegner fede à morosa. […]

Sultana: perche signor, poderlo saver. […]

Sultana: oh traditore; ma la morosa volerte ben. […]

Sultana: volentiera signor. Oh Cielo aiutami; ò dalla casa cristiana, turco, turco batte; olà olà, sentir vù

altri là dentro; turco, turco.

III, 2

Sultana: non lo diss’io; star qui signora; signor Lelio, ti vegnir, signora chiamarte181.

Vediamo nel dettaglio quali sono le caratteristiche di questa varietà linguistica che si avvicinano per certi aspetti alla lingua franca barbaresca. La maggior parte dei verbi è all’infinito, tuttavia si conservano alcune forme flesse: all’indicativo presente troviamo

piase e piaserme con il pronome cliticizzato (II, 2), finemo (II, 6) con /i/>/e/; all’indicativo

futuro vorrà (II, 2) e mi vendicherò (II, 2); all’imperativo ficchalo (II, 6) con l’occlusiva geminata con l’aggiunta di <h> probabilmente per sottolineare a livello grafico l’articolazione velare; oltre a quanto affermato dalla Zago aggiungerei anche il passato remoto dissi (II, 2). Il verbo essere è sostituito quasi in toto dal verbo star a cui si alterna raramente estar con vocale prostetica. L’altro ausiliare è il verbo haver, insolito rispetto

al più comune tenir o tener dei testi di lingua franca ed utilizzato quasi sempre all’infinito; la presenza di <h> etimologica si riscontra anche in hora (II, 2). Le preposizioni sono presentate sia in forma assimilata, come in dalla casa cristiana (III, 1),

alla prima (II,2), o in forma dissimilata come in in le spale (II, 2) con scempiamento della

geminata ed in tel viso (II, 2); sia gli articoli determinativi che quelli indeterminativi sono attestati ma non impiegati ampiamente: si trova le, el e la (II,2), ‘l come articolo determinativo maschile singolare con aferesi (II,2) ed infine il non con funzione di articolo, ma di pronome oggetto “lo”; l’utilizzo della preposizione per con funzione introduttiva del pronome personale oggetto diretto ed indiretto non è attestata, contrariamente a quanto abbiamo riscontrato in alcuni testi letterari di epoca precedente (La Zingana, G.A. Giancarli). Da sottolineare anche il ricorso frequente al termine

signoria e anche all’espressione tò signoria o tò signoria de ti col pronome al genitivo

per riferirsi all’interlocutore coinvolto nel dialogo. Nel linguaggio della Sultana travestita da schiavo turco si fa ampio uso anche dell’iterazione con funzione intensiva, tale processo coinvolge sia la sfera verbale, come in nasconder, nasconder e impalar, impalar (II, 2) sia quella aggettivale in cui troviamo Raguseo, raguseo, raguseo e Resoluto,

resoluto, resoluto (II, 2) sia quella avverbiale con vegnir giusto, giusto (II, 2). È presente

anche un’evidente incertezza nell’espressione del pronome, si ricorre infatti in alternanza a forme cliticizzate e non: donar à ti ed anche dar in te (II, 2) , mentre troviamo poi forme cliticizzate come mi donarte e ti comperarme, mi dirte con pronome oggetto indiretto, ma anche con pronome dell’oggetto diretto come in trovarmela ed intendermela; il ricorso all’una o all’altra forma non appare sistematico e risulta apparentemente aleatorio; tuttavia è possibile riscontrare una maggiore regolarità nell’espressione dell’oggetto diretto rispetto a quella dell’oggetto indiretto, che predilige la forma cliticizzata. Sono senz’altro riconoscibili alcuni influssi dal veneziano, come in piase e piaserme, già citati, nell’utilizzo del pronome personale di prima e seconda persona mi e ti, ed anche nella rappresentazione grafica <z> dell’affricata post-alveolare sonora /dʒ/, che sta ad indicare probabilmente una pronuncia che si avvicinasse o che imitasse maldestramente quella veneziana, come pnel caso di fuzir, zioia (II, 2) e zogar (II, 6), similmente a quanto accade nella Zingana di Giancarli. Si noti inoltre che sovente si ricorre a <gn> per rappresentare in realtà un’articolazione nasale semplice /n/ come in tegner per “tener” (II, 2) e vegner

per “venir” (II, 2), in cui dobbiamo forse leggere un ipercorrettismo al fine di parodiare la parlata della Sultana agli occhi e alle orecchie degli spettatori europei?

Un altro fenomeno molto interessante, anche se presente in forma molto ridotta, che abbiamo già riscontrato in altri testi precedenti letterari e documentaristici, è l’abuso delle terminazioni anomale in -a: in particolare troviamo cecchinia e volentiera; l’uso di terminazioni anomale in vocale centrale rientra nella volontà parodistica della commedia e della letteratura di epoca moderna, per portare all’estrema esagerazione le difficoltà di pronuncia riscontrate dagli arabofoni. Ciò detto, cecchinia sta infatti per “zecchini”, in cui si verifica la centralizzazione della vocale ed il passaggio di /i/ ad /a/, seguito da un indebolimento dell’affricata palatale iniziale che passa da alveolare a post-alveolare con assordimento (/dz/>/tʃ/); in Un turco inamorà riportato da Malamani, che presenteremo successivamente, si fa ricorso a cechina; questo potrebbe indurci a pensare ad un impiego dialettale di ambito veneziano di questa variante, magari nella varietà di lingua franca che circolava a Venezia.

In generale la lingua franca utilizzata dalla Sultana e dalla nutrice in questo breve dialogo mostra dei punti di contatto sia con la tradizione letteraria precedente sia con quella futura, tuttavia anche in questo caso l’intento parodistico compromette non poco l’autenticità della varietà utilizzata. Rispetto ad altre opere teatrali, l’influsso del veneziano è senz’altro più presente e tangibile.

III.3.2 Una commedia genovese anonima: Bagolina e l’incontro col venditore turco (ca. XVII sec.)

La commedia è conservata in un manoscritto appartenente alla Biblioteca dell’Archivio di Stato di Genova, anonimo ed anepigrafo, che si stima che possa risalire al XVII secolo. Il genere è quello della commedia plurilingue genovese, in cui personaggi costretti in ruoli stereotipati mettono in scena situazioni narrative anch’esse dotate di fissità. Bagolina, la protagonista, si esprime in un zeneise caroggê (cioè nel “genovese dei vicoli”); di particolare interesse per noi è il dialogo della fanciulla con un turco della

darsena di Genova che si esprime «in un italiano semplificato secondo le modalità tipiche della lingua franca»182. Vediamo il dialogo tra i due:

BAGOLINA: […] O l’è là sciavo, o ciameò per divertirme un po’, non per accatà, che non gh’ò un sòdo TURCO: Bella indiana fine, tela tela; che voler ti da mi bella signora accatar? Indiana, mossolina, olanda,

olandina, tela costanza?

B.: (che prende una pezza di tela in mano) Quanto ò parmo, de grazia?

T.: Ti mi dar trenta soldi, e se questo a ti parer poco dar a mi de più la tua bona gratia. B.: Figgio cao, l’ei ben dita gròssa, e dozze sòdi non bastereivan.

T.: Mi veder che ti non voler comprar niente. Mi voler andare via e non voler perder tempo. Addio, bella

padroncina.

Successivamente Bagolina ha una lite furiosa con il padre Graziano, che viene da questa malmenato, il turco avendo assistito alla scena si rivolge al medico in apprensione per lo stato di salute del padre:

T.: Signor dottore, havere fatto male coscia, gamba, testa, mano, bracio e che so io?

GRAZIANO: No, a ve rengratii per tant. Comandem onde ve possa servir, che me troverì semper comod a seder.

B. (parla in disparte): Tè, éivero lì che o passaggia! Mi che me creiva che o se fosse à o manco rotta unna gamba… Ma quello ch’o n’è seguìo hora, spero ch’o seguirà unna atra vòtta.

T.: Signora, ti non esser buona christiana, non bona turcha non bona ebrea, perché bona christiana o

anche ebrea portar rispetto a suo padre, e ti non portar rispetto.

B. (dà uno schiaffo al turco e dice): Tasi, cea de nescio, atendi à vende e no t’intrigà in queste cose183.

La lingua del turco sembra coincidere con le caratteristiche attribuite dai contemporanei alla lingua franca, nella sua versione stereotipata e votata all’ipercaratterizzazione letteraria. All’interno si riconoscono indubbiamente l’uso dei pronomi mi e ti, l’assenza di flessione verbale e la generalizzazione del modo infinito come forme di semplificazione che riscontrano un vasto impiego in lingua franca; più vicine invece alla versione stereotipata della lingua franca sono per Toso la costruzione

dar a mi, l’utilizzo del verbo esser invece di star e la conservazione della dittongazione

italiana in buona christiana, tutti «sintomi di un’interpretazione pedissequa dello stereotipo, offerta dal ricorso a modelli letterari assai più che dall’ascolto di un eventuale parlato»184.

182 F.TOSO,op. cit., 2012, p. 92.

183 Ivi, pp. 92-93. Cfr. F.TOSO,Genovese, bolognese e lingua franca in una scenetta del sec. XVII, in «A

Compagna», n.s., 30/3, 1998, pp. 11-12.

Oltre a riportare un indizio riguardo all’uso della lingua franca all’interno della commedia plurilingue genovese del Seicento, questo documento fornisce allo studioso l’occasione per gettar luce sulla condizione degli schiavi turchi o musulmani sulle galee e nel porto di Genova, stando al testo, essi godevano di una relativa libertà di movimento, e della possibilità di condurre piccoli esercizi commerciali all’interno della città, con lo scopo di pagare il riscatto dovuto o di porre un seppur lieve sollievo alle proprie sventure.

III.3.2 Molière: Le Sicilien (1667) e Le Bourgeois Gentilhomme (1670)

Le commedie di Molière che contengono brani in lingua franca si collocano entrambe a cavallo degli anni settanta del 1600. Sulla base del commento fornito dalla Zago in appendice a Cifoletti (1989), presenteremo i due estratti in lingua franca contenuti nelle commedie di Molière, aggiungendo ove necessario qualche precisazione o rilettura, per poi proseguire con la presentazione di uno studio con commento al testo de Le

Bourgeois Gentilhomme di Richard R. Wood pubblicato nel 1971.

In Le Sicilien l’intermezzo in lingua franca è molto breve e presenta una varietà derivata probabilmente da una conoscenza della lingua di tipo letterario e non diretto, traendo ispirazione dalle testimonianze teatrali e letterarie precedenti. Il livello di stereotipizzazione è altissimo ed il rimando ai testi precedenti molto evidente.

La commedia ha come protagonista Dom Pèdre, siciliano messinese, che tiene presso di sé una schiava greca di nome Isidore, con l’intenzione di sposarla. Adraste, un gentiluomo francese, decide di fingersi pittore per entrare in casa di Dom Pèdre e rapire la fanciulla con l’aiuto del suo schiavo/valletto Hali. Lo scambio di battute in lingua

franca avviene tra le sicilien e lo schiavo di Monsieur Adraste, leggiamo:

Hali:

Chiribirida ouch alla! Star bon Turca, Non aver danara. Ti voler comprara? Mi servir a ti, Se pagar per mi: Far bona coucina Mi levar matina, Far boller cadara. Parlara, parlara:

Ti voler comprara?

Dom Pèdre:

Chiribirida ouch alla! Mi ti non comprara, Ma ti bastonnara, Si ti non andara. Andara, andara, O ti bastonnara.185

L’esordio già suggerisce l’intento parodistico e comico della commedia, si tratta probabilmente di un’esclamazione di fantasia, in cui è inserito un riferimento ad Allah. Ciò che colpisce immediatamente non è soltanto l’ampio uso di forme verbali all’infinito, ma l’estrema esagerazione nell’impiego della terminazione in -ara, non soltanto per i verbi, ma anche per i nomi: comprara, parlara, denara, cadara, bastonnara, andara. Tale abbondanza di terminazioni in -a è con ogni probabilità legata alla natura comica della commedia, volta ad esagerare parodisticamente la pronuncia degli arabofoni, come abbiamo riscontrato già nella Zingana di Giancarli e nella commedia genovese appena menzionata. Si riconoscono alcune caratteristiche della reale lingua franca, come l’utilizzo dei pronomi personali mi e ti, l’aggettivo bon/bona anche qui con terminazione anomala in -a, lo scempiamento della geminata in matina, e la mancanza di accordo in

star bon Turca.

Per la prima volta nel 1670 è rappresentato alla corte di Louis XIV Le Bourgeois

Gentilhomme, del quale si conoscono tre edizioni: una del 1671 che non contiene il testo

integrale della céremonie turque, una precedente del 1670 che contiene soltanto il balletto ed è affine a quella del ’71, ed infine una del 1682 che riporta la cerimonia al completo, ma che dal punto di vista della resa grafica è probabilmente la più scorretta. Cifoletti, nel tentativo di ricavare dal confronto di queste tre edizioni un’edizione critica del testo, indica in nota al testo selezionato le varianti proposte dalle altre edizioni. Il confronto è quindi ridotto alle edizioni 1670 e 1671, abbastanza simili, rispetto a quella del 1682. La

céremonie turque è rappresentata nel quarto atto alla quinta scena; si tratta di una farsa

185 G.CIFOLETTI,op. cit., 1989, p. 222. Cadara sta probabilmente per “caldara” e quindi “caldaia”. Le maiuscole e la

orchestrata da Cleonte e dal suo valletto Covielle per investire Monsieur Jourdain (il borghese con velleità da gentiluomo) con il titolo di Mamamouchi186. Leggiamo il testo:

Le Mufti: Se ti sabir

Ti respondir, se non sabir Tazir, tazir

Mi star Mufti: 5

Ti qui star ti? Non intendir: Tazir, tazir.

Duex Dreviches font retirer le Bourgeois. Le Mufti demande aux Turcs de quelle religion est le Bourgeois, et chante:

Dice, Turque, qui star quista,

Anabatista, anabatista? 10

Les Turcs réspondent: Ioc.

Le Mufti: Zvinglista?

Le Turcs: Ioc.

Le Mufti: Coffita?

Les Turcs: Ioc 15

Le Mufti: Ussita? Morisca? Fronista?

Les Turcs: Ioc. Ioc. Ioc.

Le Mufti: Ioc. Ioc. Ioc. Star pagana?

Les Turcs: Ioc.

Le Mufti: Luterana? 20

Les Turcs: Ioc.

Le Mufti: Puritana?

Les Turcs: Ioc.

Le Mufti: Bramina? Moffina? Zurina?

Les Turcs: Ioc. Ioc. Ioc. 25

Le Mufti: Ioc. Ioc. Ioc. Mahametana? Mahametana?

Les Turcs: Hey valla. Hey valla.

Le Mufti: Como chamara? Como chamara?

Les Turcs: Giourdina, Giourdina.

Le Mufti: Giourdina. 30

Le Mufti, sautant et regardant de côté et d’autre:

Giourdina? Giourdina? Giourdina?

Les Turcs repètent: Giourdina! Giourdina! Giourdina!

Le Mufti: Mahametta per Giourdina

Mi pregar sera é mattina;

Voler fare un Paladina 35

Dé Giourdina, dé Giourdina. Dar turbanta é dar scarcina Con galera é brigantina

186 Questo termine, inventato da Molière per l’occasione, è probabilmente una rielaborazione in chiave comica di

alcune parole arabe: secondo il Trésor de la langue française una ricostruzione etimologica abbastanza convincente del termine si trova inC. D. Rouillard, il quale sostiene che: «mamamouchi serait une déformation de l'ar. baba

mouchir, appellation flatteuse signifiant à peu près “père pacha” (= bā bā mušīr, comp. De bābā “père, papa” et de mušī r “conseiller; ministre; commandant d'un corps d'armée”)» in C.D. ROUILLARD, The Background of the turkish

ceremony in Molière's Le Bourgeois Gentilhomme, «Univ. of Toronto Quarterly», 1969, p. 48. Il termine è attestato

Per deffender Palestina.

Mahametta per Giourdina etc. 40

Après quoi, le Mufti demande aux Turcs si le Bourgeois est ferme dans la religion mahometane et leur chante ces paroles:

Star bon Turca, Giourdina?

Les Turcs: Hey valla. Hey valla.

Le Mufti danse et chante ces mots: Hu la ba ba la chou ba la ba ba la da.

Le Mufti s’adressant au Bourgeois:

Ti non star furba?

Les Turcs: No, no, no. 45

Les Mufti: Non star furfanta?

Les Turcs: No, no, no.

Le Mufti: Donar turbanta, donar turbanta.