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IV STUDI CRITICI SULLA LINGUA FRANCA

XIV- XVII, la qualità e la quantità di esposizione alla lingua target e delle interazioni comunicative poteva dare luogo variamente a ciascuna delle varietà sopra citate.

IV.9 Renata Zago, A dissertation on Lingua franca (1989?)

Abbiamo già citato gli studi ed i lavori di Renata Zago, soprattutto riguardo l’opera di Cifoletti del 1989, in cui è inserita un’antologia di testi letterari in lingua franca curata dalla stessa studiosa. Commenteremo qui un saggio della studiosa intitolato A Dissertation on Lingua Franca, di cui purtroppo sembra impossibile rintracciare la precisa data di pubblicazione, in quanto essa è assente sia nel documento sia nelle bibliografie degli studiosi che se ne sono serviti. Perciò in questa sede si è deciso di presentarlo come un documento redatto intorno al 1989, data la vicinanza di questa riflessione con quella che emerge dal contributo dello stesso anno contenuto nell’opera di Cifoletti (1989).

Iniziamo col fornire la definizione che la Zago propone per la lingua franca:

[…] la lingua franca è un pidgin, poiché presenta la tipica struttura dei pidgin, ed è a base romanza; è forse il più antico pidgin di cui si abbia notizia (sembra che i primi documenti risalgano alla fine del '200-inizi del '300) ed è sicuramente il più longevo, se si considera che il suo uso è testimoniato per circa sei-otto secoli. Si tratta di una lingua ausiliaria creata dalla necessità di comunicazione tra persone di lingue diverse, e precisamente tra parlanti le varie lingue romanze e parlanti arabo. Essa non è una lingua letteraria né una lingua scritta, ma è una lingua parlata, tesa ad ottenere i maggiori risultati comunicativi utilizzando i mezzi più semplici323.

La lingua franca si sarebbe formata quindi in seno ad un contesto di interazione tra occidentali e arabofoni. Sulla scia di Whinnom, anche qui senza citare in quale particolare contributo, il corpus di testimonianze in lingua franca non deve essere inquadrato come espressione di un’iniziativa individuale, o di una pluralità di iniziative individuali contingenti e caratterizzate da frammentarietà e da disomogeneità, poiché i documenti in cui essa compare appaiono dotati di una saldezza di struttura e di omogeneità. Pertanto:

[…] quella serie di manifestazioni linguistiche, che chiamiamo lingua franca, non ci si presentano come l'adattamento momentaneo di un parlante arabo inesperto di lingue romanze, ma come una vera e propria lingua sia pure semplificata al massimo nel lessico e nella grammatica, con sue norme ed una sua struttura ben salda e ben riconoscibile»324.

Come anche Cifoletti aveva già fatto nel volume dell’89 e in quello del 2011, la Zago si schiera contro la teoria di Hall sull’origine della lingua franca in epoca crociata; infatti, tale affermazione «non è confortata dalle prove storiche: i primi documenti riguardanti la lingua franca sono notevolmente più tardi, e non è molto nota neppure la situazione linguistica dei tempi delle Crociate»325. Il contesto di formazione della lingua franca

sarebbe costituito invece dal Mediterraneo occidentale, in cui una varietà semplificata, probabilmente un pidgin iniziale si sarebbe diffuso nei contesti di interazione linguistica tra occidentali ed arabofoni, come già indagato da Schuchardt nello storico saggio del 1909. La lingua franca, per la Zago, nasce come lingua ausiliaria di comunicazione prevalentemente a scopo commerciale, sulla scia di Schuchardt che la inserì nella categoria delle Notsprachen e delle Handelsprachen; tuttavia:

[…] quello che è invece notevole, e che è risultato determinante nel differenziare la lingua franca dalle altre lingue di necessità, è stato il fenomeno della pirateria nel Mediterraneo, che ha comportato una grande concentrazione di europei (in maggior parte schiavi, ma anche come rinnegati) nelle città del Nord Africa, i quali avevano quotidianamente la necessità di comunicare con i Musulmani (Arabi, Berberi o Turchi), e lo facevano servendosi della lingua franca326.

Il fattore che principalmente accelerò la stabilizzazione di questo pidgin iniziale a scopo commerciale fu senz’altro l’incremento sia della diffusione in aree geografiche sempre più vaste sia dei contesti d’utilizzo in cui tale lingua era impiegata. Infatti:

324 Ivi, p. 4. 325 Ivi, p. 5.

[…] una grandissima diffusione ha avuto quindi come risultato una […] maggiore stabilità del fenomeno linguistico, […] poiché anziché limitarsi alla funzione di lingua commerciale, la lingua franca ha conosciuto un'estensione d'uso a tutti i casi della vita quotidiana, e può darsi che questo sia uno dei motivi che spiegano la sua longevità327.

Anche per la Zago, sulla scia degli studi di Cifoletti e di Schuchardt, esisterebbero all’interno della lingua franca variazioni sincroniche e diacroniche. In merito la studiosa precisa come «sia oltremodo ingenuo sostenere che una lingua –sia essa ausiliaria o standard– che ha avuto una vita ed un uso documentato lungo un arco di almeno quattro secoli, non abbia subìto alcun cambiamento e si presenti già completamente delineata sin dagli esordi»328.

Proprio in funzione di questa naturale variazione si dovrebbero riconsiderare alcune testimonianze di lingua franca finora ritenute di dubbia autenticità, come ad esempio il Contrasto della Zerbitana, ed altri testi (senza citare quali) «possono essere considerati delle prefigurazioni, e altri possono gettare luce sulle differenze, anche lessicali, della lingua franca parlata in regioni diverse»329. Ciò resta valido tuttavia solo per l’area

magrebina, infatti i documenti di area levantina (anche qui senza citare quali e senza fornire alcun esempio) presentano una disomogeneità che non permetterebbe di studiarne la variazione sincronica. Benché la posizione della Zago sia senz’altro condivisibile e dotata di un ragionevole grado di plausibilità, l’ipotesi dell’esistenza di un livello di variazione sincronica era già stata presentata da Schuchardt in primis, in Fronzaroli (1954) e vi si accennava già a partire dal XIX secolo nella Préface del Dictionnaire del 1830.

Poiché la Zago ha definito la lingua franca un pidgin senza dubbio alcuno, nella parte del saggio successiva mette a confronto le caratteristiche della formazione del pidgin barbaresco con quelle dei pidgin e dei creoli a base europea, per evidenziare analogie e differenze di queste varietà semplificate e sottolineare l’unicità della lingua franca. La studiosa inizia il nuovo capitolo con una rassegna delle caratteristiche che accomunano la lingua franca ed i pidgin, e tra queste troviamo: tutti i fenomeni che rientrano sotto il processo di semplificazione come la riduzione o l’abolizione della

327 Ibidem. 328 Ivi, p. 6. 329 ivi, p. 7.

flessione verbale e nominale, l’utilizzo di marche o «segnali»330 in forma invariabile per

conferire la temporalità verbale, la limitazione del vocabolario ed il ricorso ad una sintassi di tipo prevalentemente paratattico. Tuttavia accanto a questi fenomeni di semplificazione operati attraverso la riduzione si affermano contemporaneamente altri processi di semplificazione veicolati invece attraverso l’espansione come la sovraestensione di una forma selezionata come base o la sinonimia, la quale si spiegherebbe per la Zago semplicemente per il fatto che «la lingua franca è particolarmente esposta al fenomeno della rilessificazione, per la sua stessa natura di lingua di scambio; ed è probabile che delle rilessificazioni parziali ripetute abbiano lasciato delle tracce di questo tipo»331.

Fino a qui la studiosa ha messo in evidenza le caratteristiche che legano la lingua franca ai pidgin di tutto il mondo, e che le permettono di classificare questa lingua come un pidgin a tutti gli effetti. Le caratteristiche che invece rendono la lingua franca un unicum all’interno della famiglia dei pidgin sono secondo la Zago da cercare nell’organizzazione del sistema verbale. In questo particolare sistema «la lingua franca impiega l'infinito romanzo per esprimere un'azione che avviene o uno stato, ed il participio passato romanzo per indicare l'azione che è avvenuta nel passato; niente di analogo a quanto si riscontra nelle altre lingue veicolari»332. Anche per la Zago sulla scia

di Schuchardt la selezione dell’infinito romanzo come forma base è da attribuirsi agli stessi europei, selezionato in quanto «formula neutra che gode, proprio per questa sua neutralità, del più ampio margine di adattabilità possibile»333. La studiosa abbraccia

l’ipotesi di Fronzaroli a proposito del ruolo decisivo del parastrato semitico nell’affermazione del sistema verbale della lingua franca. Difatti la contrapposizione dell’infinito romanzo e del participio passato si sarebbe affermata e sarebbe stata accettata dagli arabofoni poiché avvertita come sovrapponibile e vicina a quella già esistente in arabo magrebino tra la forma dell’incompiuto e quella del compiuto. Inoltre la selezione del materiale romanzo rispetto a quello arabo sarebbe da attribuirsi unicamente al maggior prestigio delle lingue romanze sulle lingue diffuse in tale area.

La studiosa, in conclusione del capitolo, sostiene che un altro elemento di differenziazione tra la lingua franca e gli altri pidgin sarebbe una parziale conservazione

330 Ivi, p. 10. 331 Ivi, p. 14.

332 Ibidem. Anche qui, nel confrontare la lingua franca con le caratteristiche della famiglia linguistica dei pidgin, la

studiosa non riporta né alcun esempio, né si preoccupa di nominarne alcuno.

della distinzione di genere per la categoria del nome, senza però riportarne alcun esempio. Tuttavia poco dopo attenua la solidità di questa affermazione precisando che in realtà esistono elementi legati a «circostanze contingenti»334 che possono indurre una certa

confusione tra i due generi. Ciò a cui si riferisce la Zago è un fenomeno già descritto da Cifoletti che va sotto il nome di “abitudini fonetiche degli arabofoni”. L’irregolarità e la confusione nella rappresentazione del genere non sarebbe altro che frutto della difficoltà riscontrata da parte degli arabofoni nell’articolare le vocali intermedie /e/ ed /o/ in posizione atona, che mutano spesso in /a/. In questo modo le terminazioni di derivazione europea in -o o in -e confluiscono sotto quelle in -a, desinenza che conosce in arabo un’estensione di utilizzo nettamente superiore. Pertanto:

La prova della validità di questo ragionamento mi sembra data dal fatto che la quasi totalità dei documenti in lingua franca riporta questa confusione nelle terminazioni: se gli autori di questi documenti hanno sentito l'obbligo di riprodurre questo tratto, è segno che esso era estremamente rappresentativo di questo modo di parlare, almeno tanto quanto lo erano i verbi all'infinito335.

Tanto era diffuso questo fenomeno che, nei documenti di natura letteraria, esso diviene un simbolo del parlar straniero e benché sia da ritenere senz’altro esasperato per fini comici e parodistici, «la sua ampia diffusione sembra testimoniare la sua origine realistica»336.

Segue nel saggio una parte dedicata al commento dei testi letterari di lingua franca, con informazioni e considerazioni contenute per la maggior parte già nell’appendice al testo di Cifoletti dell’89.

334 Ivi, p. 20. 335 Ivi, p. 20. 336 Ibidem.