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Le fonti del diritto di accesso alla giustizia da parte del singolo

L’IMMUNITA’ DALLA GIURISDIZIONE DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI E IL

1. Le fonti del diritto di accesso alla giustizia da parte del singolo

L’espressione “accesso alla giustizia”, è generalmente utilizzata come sinonimo di tutela giurisdizionale; pertanto, dal punto di vista dell’individuo, tale espressione si riferisce al diritto di chiedere un rimedio di fronte ad una Corte o ad un Tribunale istituito per legge e in grado di garantire indipendenza ed imparzialità del giudice.

L’”accesso alla giustizia” permette agli individui di compiere tutta una serie di attività fondamentali tra cui quella di tutelarsi dalle violazioni dei loro diritti, di porre rimedio alle conseguenze di illeciti civili, di ritenere responsabile il potere esecutivo e, non da ultimo, di difendersi in un processo penale; Inoltre l’accesso alla giustizia per i singoli individui rappresenta un elemento importante dello Stato di diritto e si realizza nell’ambito del diritto civile, penale e amministrativo. L’accesso alla giustizia, oltre a rappresentare un elemento importante dello Stato di diritto, è sia un processo sia un obiettivo ed è un fattore indispensabile per gli individui che cercano di beneficiare di altri diritti procedurali e sostanziali.

In base al diritto internazionale ed europeo in materia di diritti umani, il concetto di diritto di accesso alla giustizia obbliga gli Stati a garantire il diritto di ciascun individuo ad adire un tribunale – o, in alcune circostanze, un organo di risoluzione alternativa delle controversie – per

ottenere un risarcimento qualora venga accertato che i diritti di tale individuo siano stati violati. Quindi si tratta anche di un diritto abilitante, che aiuta gli individui a far valere altri diritti.

E’ ormai certo che la maggior parte delle Costituzioni statali garantiscono il diritto di accesso degli individui a procedimenti di natura giurisdizionale per la tutela dei loro diritti.

Ad esempio la stessa Costituzione Italiana sancisce all’articolo 24: “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi

legittimi [cfr. art 113]

La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.

La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari”

L’utilizzo del termine “tutti” (al comma 1 art 24 Costituzione) indica che la valenza di questa norma non ha limitazioni soggettive.
Dunque un'eventuale norma che vietasse l’accesso alla giurisdizione per particolari categorie di soggetti sarebbe incostituzionale. Questo è il c.d. Diritto di Azione il quale si sostanzia nella possibilità, garantita appunto a “tutti”, di chiedere l’intervento della giurisdizione e ottenere così l’avvio della macchina giurisdizionale al fine di ottenere una risposta sulla base di una richiesta di tutela all’uopo presentata (cioè la tutela di una situazione giuridica soggettiva).
L'art 24 della Costituzione implica la garanzia del diritto d'azione davanti all’organo giurisdizionale dello Stato.


Al comma 2 dell’Articolo 24 Cost. troviamo invece sancito il Diritto di difesa che si contrappone al Diritto di Azione; In esso si stabilisce che la difesa è un diritto inviolabile in ogni stato e grado del giudizio.

Il diritto di difesa trova poi conferma nell’Articolo 111129 della Costituzione in cui si sancisce il principio del Contraddittorio.

Infatti all’articolo 111 comma 2 si legge: “Ogni processo si svolge nel

contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.

IL diritto di difesa può essere letto sia come come diritto attraverso il quale si esprime il contraddittorio (la dialettica processuale) sia, in senso lato, come diritto della parte processuale a svolgere attività all’interno del processo e quindi a formulare domande ed eccezioni e a chiedere istruttorie per potere provare le stesse domande ed eccezioni presentate. Il diritto di accesso alla giustizia, nella sua accezione più ampia, può essere considerato una garanzia fondamentale dell’individuo, in quanto fa parte di tutto quell’insieme di situazioni attive che ogni Stato deve garantire ai soggetti sottoposti alla propria potestà di governo.

Tale diritto inoltre, attraverso la sua sussunzione nel nucleo dei diritti umani, riceve un riconoscimento anche sul piano internazionale.

Infatti viene sancito nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo del 1948 in cui, ai sensi dell’Articolo 8 si stabilisce che ogni individuo ha diritto ad una effettiva possibilità di ricorso a competenti tribunali nazionali contro atti che violino i diritti fondamentali a lui riconosciuti dalla Costituzione o dalla Legge. Inoltre all’Articolo 10130 si sancisce che “ogni individuo ha diritto, in posizione di piena uguaglianza, ad

un’equa e pubblica udienza davanti ad un tribunale indipendente e imparziale, al fine della determinazione dei suoi diritti e dei suoi doveri nonché della fondatezza di ogni accusa penale che gli venga rivolta”.

Il ruolo primario di tale diritto viene poi consacrato nel Patto

internazionale sui diritti civili e politici del 1966.

129 Comma introdotto dall’Articolo 1 della Legge costituzionale 23 Novembre 1999

n.2. V. inoltre L. 25 Febbraio 2000 n.35 “Conversione in Legge, con modificazioni, del D.L. 7 gennaio 2000 n. 2 recante disposizioni urgenti per l’attuazione dell’art 2. L. cost. 23 novembre 1999 n. 2 in materia di giusto processo”.

A livello “regionale” tale diritto viene specificatamente dichiarato in due appositi strumenti “regionali” quali la Convenzione per la

salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU)

del 1950 e la Convezione Americana dei diritti dell’Uomo del 1966. Tuttavia è bene prendere atto del fatto che sul piano internazionale vi è una tendenza a interpretare il diritto del singolo ad “ottenere giustizia” seguendo varie opzioni, distinte tra loro.

Infatti a livello preliminare si deve rilevare che il termine “accesso alla giustizia” non è usato come tale nel linguaggio della maggior parte degli strumenti internazionali sui diritti umani.

Ad esempio, nell’Articolo 8 della Dichiarazione universale del 1948 e nell’Articolo 13 della Convenzione Europea sui diritti umani si usa la terminologia “rimedio effettivo”, mentre la Convenzione Americana all’articolo 25 utilizza i termini “ricorso tempestivo e “ricorso effettivo”; Il Patto sui diritti civili e politici del 1966 impiega espressioni diverse a seconda delle norme: nell’Articolo 2 troviamo “rimedio effettivo”, nell’Articolo 9 par. 4 vi è “diritto di usufruire di un procedimento davanti ad una corte”; Infine all’Articolo 14 par 1. si fa riferimento al “diritto ad un’udienza imparziale e pubblica”.

Alla luce di questa varietà terminologica, non è sempre chiaro se si faccia riferimento al diritto di presentare un ricorso davanti ad un giudice competente oppure al diritto di avere a disposizione una misura o un rimedio idoneo a riparare un illecito commesso nei confronti del ricorrente. Quest’ultima interpretazione si spinge al di là del semplice diritto di accesso alla giustizia, in quanto implica anche il diritto di ottenere una riparazione , in qualsivoglia forma, in conseguenza di un determinato pregiudizio subito a causa della violazione di un diritto o di un interesse giuridicamente protetto131.

131 Francesco Francioni, Marco Gestri, Natalino Ronzitti, Tullio Scovazzi, “Accesso

alla giustizia dell’individuo nel diritto internazionale e dell’unione europea” p. 30 e ss.

Si deve perciò sottolineare che col variare del linguaggio degli strumenti internazionali si modifica (con esso) anche il contenuto della garanzia offerta al singolo di accedere alla giustizia.

La prima variazione da menzionare si sostanzia nell’andare a distinguere il diritto di agire a tutela dei diritti umani sostanziali, garantiti dagli strumenti internazionali, e un diritto autonomo di accedere ad organi di natura giurisdizionale, sovente riconosciuto esclusivamente per diritti di natura civile, per le accuse in materia penale e le privazioni della libertà personale.

La prima garanzia, ovvero il diritto di agire a tutela dei diritti umani sostanziali, viene sovente espressa con formule alquanto elastiche che si sostanziano nel diritto di presentare un ricorso “ad un’autorità competente”, la quale però potrebbe anche essere priva dei connotati tipici di un organo giurisdizione indipendente dal potere esecutivo e da altri poteri o interessi132.

Invece la seconda garanzia, ovvero il diritto autonomo di accedere ad organi di natura giurisdizionale, si sostanzia molto spesso nel diritto di adire un organo giurisdizionale133 vero e proprio.

132 V. ad esempio l’art. 2, par. 3 dell’ICCPR, in cui gli Stati si impegnano ad assicurare

agli individui, i quali lamentano una violazione dei diritti e delle libertà in esso garantite, di poter accedere a un «effective remedy» (nel testo francese, «recours utile») di fronte a «competent judicial, administrative or legislative authorities, or by any other competent authority provided for by the legal system of the State». Inoltre gli Stati sono invitati a sviluppare «the possibilities of judicial remedy» (nel testo francese, «recours juridictionnel»): è interessante notare come il linguaggio diventi più sfumato in questa seconda ipotesi. L’art. 7 della Carta africana garantisce ad ogni individuo «the right to have his cause heard», intendendosi con questo «the right to an appeal to competent national organs against acts of violating his fundamental rights as recognized and guaranteed by conventions, laws, regulations and customs in force» (enfasi aggiunta).

133 Secondo l’art. 14, par. 1 ICCPR, tutti sono eguali dinanzi ai tribunali e alle corti di

giustizia, e ogni individuo ha diritto ad un’equa e pubblica udienza dinanzi a un tribunale competente, indipendente e imparziale, stabilito dalla legge, allorché si tratta di determinare la fondatezza di un’accusa penale che gli venga rivolta, ovvero di accertare i suoi diritti ed obblighi mediante un giudizio civile.

L’art. 7 della Convenzione africana sui diritti dell’uomo e dei popoli (adottata il 27.6.1981) richiede l’intervento di «a competent court or tribunal» solo per le accuse in materia penale.

Tale questione, ossia se l’accesso alla giustizia sia in sè stesso un diritto individuale o se rappresenti invece una garanzia strumentale indipendente dai diritti sostanziale che devono essere reintegrati, è rilevante non solo da un punto di vista teorico, ma anche per ragioni pratiche, in ragione del fatto che non tutti i diritti umani sono attuabili attraverso meccanismi giurisdizionali

Quanto affermato risulta particolarmente evidente nel momento in cui ci si sofferma ad analizzare la CEDU.

Innanzitutto è necessario prendere in considerazione l’Articolo 6 della CEDU (il cui titolo recita: “Diritto a un equo processo”134) nel quale si

afferma che: “Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata

equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata.

In particolare, ogni accusato ha diritto di:

(a) essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa formulata a suo carico;

134 La rubrica dell’Articolo 6 (“Diritto a un equo processo) è stata inserita solo a

(b) disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa;

(c) difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia;

(d) esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico;

(e) farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza.

Orbene tale articolo ha lo scopo di garantire ad ogni persona il diritto ad un’equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole, davanti ad un tribunale imparziale costituito per legge, il quale decide sia in ordine alla controversia sui diritti e obblighi di natura civile del singolo, sia sul fondamento di ogni accusa in materia penale rivolta contro il soggetto. Inoltre il diritto di agire in giudizio ai sensi dell’articolo 6 della CEDU è limitato alle controversie in materia di accuse penali contro il ricorrente o in materia di diritti e doveri civili. Entrambi i termini sono intesi in un’accezione autonoma, indipendente dalle classificazioni utilizzate in seno agli ordinamenti giuridici nazionali135.

Si noti che lo specifico profilo dell’accesso al tribunale non riceve esplicita tutela nel testo dell’art. 6 CEDU; tuttavia già a partire dal Caso

Golder v. The United Kingdom136 la Corte europea ha precisato che il diritto all’equo processo (sancito e garantito dall’Art 6 CEDU) include implicitamente il diritto di accedere a un tribunale.

135 In merito alle accuse penali, cfr. Corte EDU, Engel e a. c. Paesi Bassi, nn.

5100/71, 5101/71, 5102/71, 5354/72 e 5370/72, 8 giugno 1976, punto 81. In merito ai diritti e doveri di carattere civile, cfr. Corte EDU, König c. Germania, n. 6232/73, 28 giugno 1978, punti 88-89. 


136 Cfr. ECtHR, 21.02.1975, ricordo n 4451/70, Golder v. The United Kingdom, v.

Infatti proprio in tale sentenza del 21 febbraio del 1975 la Corte EDU ha formulato delle osservazioni importanti in merito: “«The principle

whereby a civil claim must be capable of being submitted to a judge ranks as one of the universally “recognized” fundamental principles of law; the same is true of the principle of international law which forbids the denial of justice. Article 6 para. 1 (...) must be read in the light of these principles»137.

L’articolo 13 della CEDU e l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE garantiscono invece il diritto ad un “ricorso effettivo”. Tale diritto è una componente essenziale dell’accesso alla giustizia in quanto consente agli individui di ottenere un risarcimento per la violazione dei loro diritti.

Né la CEDU né la Carta dei diritti fondamentali dell’UE definiscono il termine «ricorso»; Il requisito imperativo è che sia un ricorso «effettivo»

de facto e de iure mentre non esistono requisiti per quanto riguarda la

forma del ricorso e gli Stati godono di una certa discrezionalità al riguardo. L’articolo 13 della CEDU e l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE hanno ambiti di applicazione diversi.

L’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE prevede la tutela giurisdizionale effettiva dei diritti derivanti dal diritto dell’UE. Esso si basa sull’articolo 13 della CEDU, ma assicura una tutela più estesa infatti l’articolo 47 prevede il diritto di ricorso dinanzi a un giudice e si applica a tutti i diritti e le libertà esistenti nel diritto dell’UE e perciò esso non si limita ai diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE138.

137 v. ex multis, M. KLOTH, Immunities and the Right of Access to Court under

Article 6 of the European Convention on Human Rights, Leiden-Boston, 2010, pp. 2- 6.

138 Manuale di diritto europeo in materia di accesso alla giustizia, Agenzia

dell’Unione Europea per i diritti fondamentali, Corte Europea dei diritti dell’uomo e Consiglio d’Europa

L’articolo 13 invece sancisce il diritto ad un «effective remedy before a

national authority» (nel testo francese, «recours effectif devant une instance nationale») per far valere le violazioni dei diritti disciplinati

nella CEDU e in esso si legge che «Ogni persona i cui diritti e le cui

libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale, anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni ufficiali».

L’articolo 13 CEDU pertanto consente agli individui di presentare ricorso dinanzi ad un’“autorità nazionale” con riferimento a pretese fondate riguardanti la violazione di uno o più dei loro diritti sanciti dalla CEDU e pertanto ha ad oggetto quelle domande relative a violazioni sostanziali delle disposizioni della CEDU.

Potrebbe succedere inoltre che, nel caso di specie, la controversia che interessa l’individuo concerna l’esercizio di pubblici poteri da parte di autorità statali senza che la situazione soggettiva sostanziale coinvolta sia qualificabile come un diritto o obbligazione di natura civile.

In particolare potremmo menzionare le controversie concernenti il rilascio, la revoca o il mancato rinnovo di un permesso di soggiorno per un individuo straniero. Ebbene in tutte queste ipotesi la Corte europea dei diritti umani ha sempre collocato il relativo contenzioso nel contesto dell’art. 13 CEDU e non nell’art. 6.

Si potrebbe sostenere che in alcuni “ambiti regionali” esista una tendenza ad annullare (verso l’alto) la differenza tra diritto a un giudice in senso stretto e diritto a un ricorso; in particolare si fa riferimento all’ Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE e all’Articolo 8 par. 1 della Convenzione Americana dei Diritti dell’Uomo del 1969. Ciononostante non si deve dimenticare che sul piano internazionale complessivo, l’assetto risulta diversificato; infatti, nel panorama internazionale convivrebbero una garanzia di base al ricorso a una non meglio precisata “autorità competente”, e un più pregnante diritto di

accesso a un giudice vero e proprio per accuse in materia penale e controversie di diritto civile.

Un’altra differenza da segnalare consiste nell’individuazione delle posizioni soggettive per cui viene garantito il diritto di azione; Ebbene mentre nella Convenzione interamericana la garanzia è massima, infatti l’accesso a un giudice è garantito e tutelato per qualsiasi diritto, inclusi quelli garantiti da fonti diverse dalla Convenzione medesima, il Patto internazionale sui diritti civili e politici (l’ICCPR) limita la garanzia di base alla violazione dei soli diritti garantiti nel Patto, così come del resto fa l’art. 13 CEDU.

La Convenzione Africana sui Diritti dell’Uomo e dei Popoli (adottata il 27.6.1981) si colloca invece in una posizione intermedia in quanto, in essa, la garanzia di base viene articolata con riguardo a qualsiasi diritto fondamentale, anche quando il suo riconoscimento provenga da fonti diverse dalla Convenzione medesima.


Dall’analisi condotta in questa sede risulta evidente l’esistenza di una difficoltà teorica ad individuare uno standard universale in tema di accesso alla giustizia (cosi come accade per altri Diritti Umani). Per riuscire a figurarci il diritto di accesso alla giustizia nel panorama internazionale potrebbe essere utile richiamare alla mente l’immagine di cerchi concentrici; nel cerchio più ampio è rappresentato uno standard comune a gran parte della Comunità internazionale (e cioè gli Stati facenti parte del ICCPR139) e presumibilmente recepito da una norma consuetudinaria140 consolidatasi a partire dagli ordinamenti giuridici statali e dai principali trattati sui diritti umani.

139 Il Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato nel 1966 ed entrato in

vigore il 23 marzo del 1976, ad oggi vincola 168 Stati.

140 Sul problema, in termini generali, v. J.-V. MORIN, L’État de droit: émergence d’un

principe du droit international, in Recueil des Cours, 1995, n. 254, p. 9, in part. p. 447 ss.; F. FRANCIONI, The Rights of Access to Justice under Customary International Law, in F. FRANCIONI (ed.), Access to Justice as a Human Right, Oxford, 2007, p. 1, in part. p. 42; A. REINISCH-U.A. WEBER, In The Shadow of Waite and Kennedy. The Jurisdictional Immunity of International Organizations, the Individual’s Right of Access to the Courts and Administra- tive Tribunals as Alternative Means of Dispute

In un cerchio più ristretto si devono invece collocare le concezioni “regionali” di tale diritto, con varianti tra un piano macro-regionale (si pensi alla CEDU e al Consiglio d’Europa) e un piano sub-regionale (si pensi all’Unione Europea), e infine gli ordinamenti statali141.

Tale ricostruzione è funzionale per rispondere alla questione dell’esistenza di obblighi per le organizzazioni internazionali in materia di accesso alla giustizia.

In questa sede ci si può limitare a constatare che le organizzazioni internazionali non possono essere considerate (per il momento) parti contraenti dei trattati sui diritti umani. L’unica eccezione è rappresentata dall’Unione Europea che ha avviato un processo che dovrebbe portarla alla formale adesione alla CEDU.

Si potrebbe sostenere che, almeno per lo standard minimo evocato in precedenza, le organizzazioni internazionali sarebbero vincolate dalla norma consuetudinaria corrispondente.

Inoltre organizzazioni come l’ONU e le Istituzioni specializzate dovrebbero adeguarsi allo standard delineato dall’ICCPR, salvo che specifiche disposizioni contenute nei rispettivi trattati istitutivi non consentano loro di adottare un parametro diverso.

Nei casi in cui l’organizzazione internazionale coinvolta non abbia