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4.3 (Segue) Il tentativo di porre in relazione il godimento dell’immunità con l’adempimento dell’obbligo d

7. Le posizioni esistenti in Dottrina

Per lungo tempo la dottrina non ha rivolto molta attenzione al tema del potenziale contrasto tra l’immunità giurisdizionale delle organizzazioni internazionali e il diritto dell’individuo di accedere a mezzi di ricorso. Spesso gli autori si sono limitati a constatare che il godimento dell’immunità potrebbe condurre ad un diniego di giustizia vero e proprio (ad un vuoto istituzionale). Inoltre, difronte a questa possibilità, tali autori hanno solamente sottolineato, su un piano puramente descrittivo, che molte organizzazioni, titolari dell’immunità, sono obbligate da apposite disposizioni convenzionali a predisporre adeguati meccanismi di soluzione delle controversie che possono sorgere con soggetti privati.

In particolare si è preso atto del fatto che sono stati istituiti Tribunali amministrativi internazionali per le controversie in materia di impiego, competenti per il contenzioso di una o più organizzazioni; oppure che nei contratti conclusi dall’organizzazione sono state incluse clausole compromissorie254. Tuttavia non è stata posta al centro dell’attenzione della dottrina la differenza esistenze tra l’obbligo di predisporre adeguati mezzi alternativi di soluzione delle controversie e la concreta disponibilità di tali adeguati meccanismi alternativi per il singolo. Rare infatti sono state le discussioni circa le conseguenze derivanti dall’inadempimento dell’obbligo imposto alla singola organizzazione di predisporre adeguati meccanismi alternativi, azionabili dal singolo. Solitamente ci si è limitati constatare che la valutazione circa il corretto adempito dell’obbligo menzionato spetta esclusivamente agli Stati

254Cfr . J .F. LALIVE, op.cit., p.301 ss. E p.338 ss.; J.DUFFAR, op.cit.,p.76 ss.;P.C.

SZASZ, op. cit., pp. 1331-1332; R. ZACKLIN, op. cit., p. 299 ss.; C. DOMINICÉ, L’immunité de juridic- tion, cit., p. 180 ss. e p. 190; P.H.F. BEKKER, op. cit., p. 181 ss.; A.J. MILLER, The Privileges and Immunities of the United Nations, in

International Organizations Law Review, 2009, p. 7, in part. pp. 98-99. In chiave critica, v. I. SCOBBIE, op. cit., pp. 850-851.

membri (a cui sarebbe aperta la via del contenzioso con l’organizzazione)255.

L’unico ed estremo rimedio accordato al singolo, vittima di un diniego di giustizia, sarebbe stato il diritto ad un’indennità dal proprio Stato, responsabile di aver soppresso di fatto il diritto sostanziale oggetto della pretesa processuale256.

Senonché successivamente e soprattutto con il progressivo consolidamento del principio della tutela giurisdizionale negli ordinamenti statali e sul piano internazionale, il problema dei rapporti tra immunità e diritto di accesso alla giustizia è stato affrontato secondo nuove prospettive, che muovono proprio dalla valorizzazione del principio della tutela giurisdizionale a scapito dell’immunità.

Sono state così proposte in Dottrina varie tesi interpretative che meritano di essere analizzate.

In primo luogo è stato posto il problema del contrasto tra la Costituzione statale e le norme internazionali attributive dell’immunità. Si è giunti cosi ad affermare che l’immunità non potrebbe essere riconosciuta dal giudice statale nel caso in cui essa conduca a risultati incompatibili con il principio dell’accesso alla giustizia: come ad esempio nei casi di assenza di qualsiasi tutela del singolo oppure in presenza di rimedi alternativi che non offrono uno standard minimo equivalente a quello garantito sul piano interno257.

255 In tal senso, v. PH. CAHIER, op. cit., p. 241 ss.; C.W. JENKS, op. cit., p. 43 ss.;

J. SAL- MON, De quelques problèmes posés aux tribunaux belges par les actions de citoyens belges contre l’O.N.U. en raison de faits survenus sur le territoire de la République démocratique du Congo, in Journal des tribunaux, 1966, p. 713 ss, in part. p. 716; I. SEIDL-HOHENVELDERN, L’immunité de juridiction ed d’exécution, cit., p. 166.

256 Così J.B. SIALELLI (nella nota alla sentenza della Corte di cassazione francese

del 6.7.1954, cit.), in Clunet, 1956, p. 140; I. SEIDL-HOHENVELDERN, L’immunité de juridiction et d’exécution, cit., p. 162

257 V. R. PISILLO MAZZESCHI, op. cit., p. 513 ss.; per considerazioni analoghe

circa i rapporti tra norme internazionali sull’immunità e il diritto costituzionalmente garantito alla tutela giurisdizionale, v. M. IOVANE, In tema di immunità dei

quartieri generali della NATO dall’esecuzione forzata, in Rivista, 1985, p. 326 ss., in part. p. 332 ss.; LA ROSA, Immunità delle organizzazioni internazionali dalla

In questo senso si può prendere in considerazione l’ordinamento italiano, in cui lo strumento tecnico a disposizione dell’operatore interno sarebbe la declaratoria di incostituzionalità della disposizione di adattamento alla norma pattizia sull’immunità oppure (nel caso in cui l’immunità sia riconducibile ad una norma consuetudinaria) il giudizio di ponderazione tra il nucleo inviolabile della Costituzione e norme generali del diritto internazionale, che esclude l’immissione nel nostro ordinamento di precetti incompatibili con il suddetto nucleo di principi basilari (attraverso l’art. 10 Cost.).

In secondo luogo esiste una diversa ricostruzione della tematica in esame che è stata raggiunta grazie all’impiego di una serie di metodologie interpretative volte a ridurre l’area di operatività dell’immunità (ad es., adottando una nozione rigorosa del criterio di necessità funzionale o di atti ufficiali dell’organizzazione)258, oppure grazie ad un approccio “result-oriented” che porta a condizionare il riconoscimento dell’immunità alla verifica dell’esistenza in concreto di un mezzo alternativo di soluzione delle controversie che garantisca sufficientemente il diritto del singolo259.

Quest’ultima via interpretativa è stata raggiunta tramite la valorizzazione dei parametri internazionali in riferimento al diritto ad un mezzo di ricorso; tuttavia non risulta chiaro il fondamento giuridico di questa operazione dato che non vengono esaminati analiticamente il profilo internazionalistico in senso stretto (ossia i rapporti tra la norma sull’immunità e norme internazionali sul diritto a un mezzo di ricorso)

esecuzione e principi costituzionali, in Riv. dir. int. priv. proc., 1987, p. 453 ss, in part. p. 471 ss.; contra, v. però DE BELLIS, op. cit., p. 223 ss. (con un ragionamento fondato sul rapporto tra art. 11 e art. 24 Cost., nonché sull’ammissibilità di deroghe a quest’ultima disposizione nell’ottica di garantire l’autodichia degli organi

internazionali).

258 Cfr. A. REINISCH, International organizations, cit., p. 330 ss. 259 Cfr. A. REINISCH, International organizations, p. 366 ss.

e quello di adattamento del diritto interno alla regola internazionale attributiva dell’immunità.

In tale prospettiva i vari piani distinti vengono invece trattati congiuntamente probabilmente con l’unico intento di mostrare, da un lato, come il diritto alla giustizia del singolo sia diffusamente riconosciuto e, dall’altro, come invece l’approccio della dottrina internazionale e di molte istanze giurisdizionali (sia interne sia internazionali) sia insoddisfacente sul punto260.

Orbene le conclusioni raggiunte da tale filone interpretativo potrebbero essere condivise per le affermazioni di principio in esse contenute tuttavia, per quanto riguarda l’aspetto strettamente tecnico, sorgono invece delle perplessità alquanto evidenti. Infatti al giudice viene affidato un ruolo creativo, rimanendo comunque il problema di individuare con maggiore chiarezza la tecnica giuridica che consenta di aggirare il dettato delle norme pattizie che riconoscono l’immunità. E’ opportuno poi sottolineare che tale indirizzo dottrinario, pur se (ripetiamo) meritorio in quanto pone finalmente al centro la questione della tutela dei soggetti privati, riceve ulteriore supporto dal ricondurre in una nozione di ordine pubblico europeo i valori espressi dall’art. 6 CEDU che non tollera l’applicazione di norme pattizie con esso incompatibili.

Resta tuttavia necessario chiarire come, su di un piano di rapporti tra norme internazionali, si possa disapplicare un precetto solo perché i suoi

260Per tale approccio espositivo, v. REINISCH, International organizations,p.262ss.

In tale prospettiva, pareva muoversi già Á. CHUECA SANCHO, Acuerdos de sede, cit., pp. 202-203, il quale affermava nel 1991 che alle eccezioni via via sviluppatesi nella prassi convenzionale andrebbe aggiunta l’ipotesi delle controversie contrattuali (diverse da quelle lavoristiche), rispetto alle quali non sussisterebbe, in caso di sottoposizione alla giurisdizione statale, alcun pericolo per l’indipendenza dell’organizzazione o per lo svolgimento delle sue funzioni. Anche in questo caso, tuttavia, valgono le obiezioni svolte nel testo.

effetti in concreto sono incompatibili con un’altra norma pattizia (pur importante), a meno che non si voglia dare ad intendere che tra le due violazioni, una è preferibile rispetto all’altra.

Ciò non elimina però i profili di responsabilità dello Stato a cui appartiene il giudice statale che esercita la giurisdizione, né contribuisce alla certezza del diritto nei rapporti internazionali e in quelli tra i privati e le organizzazioni.


In effetti questo sembra essere il nocciolo principale della questione: la dottrina è sempre più incline ad affermare la necessità di operare un bilanciamento tra gli obblighi che ha uno Stato; ossia da un lato, quello di rispettare l’immunità giurisdizionale dell’organizzazione interessa e, dall’altro, quello di garantire l’accesso alla giustizia ai soggetti sopposti alla propria giurisdizione, tuttavia non è agevole individuare le modalità con cui realizzare tale bilanciamento.

In terzo luogo si deve prendere in considerazione un’ulteriore filone dottrinale secondo cui esisterebbe un nesso sinallagmatico tra l’obbligo di istituire meccanismi alternativi di soluzione delle controversie e l’immunità dalla giurisdizione della singola organizzazione internazionale.

Secondo tale prospettiva se il nesso non viene rispettato l’immunità dell’organizzazione potrebbe essere disapplicata e pertanto il giudice statale avrebbe l’opportunità di limitare gli effetti negativi dell’immunità muovendosi solamente sul piano dell’applicazione del diritto internazionale.

In particolare si sostiene che il giudice abbia il potere di accertare in maniera vincolante l’inadempimento dell’obbligo, posto a carico dell’organizzazione, e, di conseguenza, di decidere e di rimediare a tale situazione ordinando all’organizzazione di ottemperare all’obbligo.

Inoltre in casi estremi di mala fede o di atti adottati ultra vires, il giudice potrebbe giungere a “sollevare il velo dell’immunità”261.

Ebbene tale tesi ha l’indubbio merito di puntare sul rafforzamento della posizione del singolo, tuttavia essa non sembra adeguatamente fondata sul piano della teoria generale.

Infatti la stessa idea in base alla quale il giudice può rivolgere un ordine all’organizzazione finalizzato alla corretta attuazione di un obbligo previsto in una norma pattizia non sembra condivisibile.

Inoltre, non si chiarisce a sufficienza quale sia il criterio di discrimine tra ipotesi in cui il giudice dovrebbe limitarsi ad impartire tale ordine e quelli, estremi, in cui potrebbe arrivare a disconoscere l’immunità e così affrontare il merito della controversia.

In conclusione è possibile affermare che il riconoscimento dell’immunità alle organizzazioni internazionali è stato progressivamente posto in una relazione sempre più stretta con l’esigenza che i soggetti privati ricevano un’adeguata tutela in merito alle controversie che si vengono ad instaurare con le stesse.

In una prima fase la dottrina e buona parte della giurisprudenza statale hanno ritenuto che dovesse prevalere l’interesse dell’organizzazione all’immunità; Successivamente si è raggiunta una maggiore sensibilità verso il tema della tutela del singolo individuo, sia sul piano delle ricostruzioni teoriche sia su quello delle applicazioni giurisprudenziali. Appare quindi indispensabile alla fine dell’indagine qui svolta provare a ricostruire un modello teorico di riferimento degli strumenti tecnici a disposizione del giudice nazionale per svolgere il bilanciamento tra l’immunità e l’accesso alla giustizia.

Innanzitutto si deve rammentare che è possibile attivare un controllo a

posteriori da parte della Corte Europea dei diritti dell’uomo.

261 Cfr. A.S. MULLER, op. cit., p. 181 ss., p. 272.

Infatti mentre in passato era stata esclusa la possibilità di utilizzare tale meccanismo di garanzia della CEDU, recentemente (alla luce delle ultime pronunce) la Corte viene a ricoprire il ruolo di istanza di verifica dell’esistenza di adeguati procedimenti alternativi di garanzia per i singoli.

In secondo luogo è ormai pacifico che anche i giudici nazionali possano svolgere un controllo analogo sul piano della compatibilità dei Trattati con la Costituzione statale, tuttavia l’utilizzo di entrambi gli strumenti di controllo presenta degli inconvenienti non trascurabili.

Infatti il ricorso alla Corte Europea si pone come un rimedio successivo che difficilmente può essere considerato soddisfacente per rimediare a situazioni di diniego di giustizia; in particolare un’eventuale condanna si avrà nei confronti allo Stato che ha riconosciuto l’immunità, e non nei confronti dell’organizzazione internazionale quale reale responsabile del diniego di giustizia.

Inoltre, com’è ovvio tale controllo viene esercitato soltanto nei confronti degli Stati vincolati dalla CEDU.

Anche il controllo della legittimità costituzionale della disposizione pattizia, rilevante da parte del giudice statale, potrebbe essere poco efficace e ciò proprio in conseguenza dell’assetto costituzionale statale (ad esempio, princìpi in tema di rapporti fra trattati e norme costituzionali; possibilità o meno di un sindacato diffuso).

Nonostante l’esistenza di questi limiti entrambi gli strumenti, qui esaminati, rappresentano comunque un’arma di pressione nei confronti di quelle organizzazioni sprovviste di adeguati meccanismi di risoluzione delle controversie.

Scartata l’ipotesi di un rimedio basato sull’eccezione di inadempimento o sulla sospensione dell’immunità in reazione alla violazione dell’obbligo di predisporre rimedi alternativi, diventa necessario verificare se il giudice statale possa giocare un ruolo più incisivo nella tutela del diritto del singolo.

In questo senso si potrebbe sostenere che le manifestazioni più recenti della prassi tendono verso una soluzione concorde: la corretta attuazione dell’obbligo deve essere implicitamente considerata un presupposto (una precondizione) per l’applicazione della disposizione sull’immunità. Come sottolineato nel corso dell’elaborato il dato letterale non aiuta a muovere in questa direzione infatti la formulazione delle disposizioni rilevanti non esprime una relazione così netta tra immunità ed istituzione di mezzi di soluzione delle controversie262.

Tuttavia, secondo una autorevole tesi delineata in dottrina263, il potere del giudice di disapplicare la norma sull’immunità potrebbe essere fondato sul principio secondo cui le organizzazioni devono offrire una protezione dei diritti umani equivalente a quella offerta dagli Stati membri.

Ebbene, secondo tale ricostruzione, dato che gli Stati, nel momento in cui trasferiscono competenze all’ente, sono obbligati ad esigere che esso fornisca una protezione dei diritti umani equivalente a quella da loro stessi accordata, ne deriva che l’interpretazione delle disposizioni dei trattati relativi all’organizzazione deve essere realizzata tenendo presente tale principio di protezione equivalente; Esso verrebbe dunque a rappresentare una sorta di “bussola” interpretativa degli strumenti internazionali relativi alle organizzazioni internazionali nelle situazioni che mettono in gioco i diritti umani.

Pertanto, un’organizzazione internazionale che non dimostra di aver offerto al singolo delle garanzie, equivalenti a quelle offerte dall’apparato giudiziario statale in situazioni analoghe, non potrebbe reclamare l’applicazione della norma sull’immunità dalla giurisdizione.

262 V. supra par. 6.

263 Cfr. L. CONDORELLI, Conclusions générales, in SOCIÉTÉ FRANÇAISE

POUR LE DROIT INTERNATIONAL-INSTITUT INTERNATIONAL DES DROITS DE L’HOMME (eds.), La soumission, cit., p. 127, in part. pp. 132-134.

Tale approccio sembra condivisibile nelle sue linee portanti, tuttavia una tale tesi che valorizza il principio di protezione equivalente deve comunque essere integrata con alcune necessarie considerazioni. Innanzitutto è indispensabile inquadrare tale tesi su di un piano di interpretazione evolutiva delle disposizioni pattizie che attribuiscono l’immunità; in particolare, in questa prospettiva si potrebbe affermare che 1) lo scopo della disposizione, attributiva dell’immunità dalla giurisdizione alla singola organizzazione internazionale, è quello di garantire l’indipendenza dell’organizzazione dalle interferenze degli Stati membri: tuttavia esso non esige che i singoli vengano privati di qualsiasi possibilità alternativa di tutela dei propri diritti;

2) Per quanto concerne l’oggetto della disposizione attributiva dell’immunità dalla giurisdizione, è pacifico che la stessa incida sulle posizioni soggettive dei singoli: in questa prospettiva, l’immunità dovrebbe essere intesa nella maniera il più possibile rispettosa dei loro diritti di azione.

3) Per quanto concerne il contesto, sono gli stessi accordi che attribuiscono l’immunità che prevedono l’obbligo di istituire procedimenti alternativi o (nel caso in cui non lo facciano) contengono obblighi più generali che, se interpretati proprio alla luce del principio di protezione equivalente, fanno comunque sorgere in capo alle organizzazioni un obbligo di questo tipo.

4) anche la prassi applicativa evidenza l’importanza della corretta attuazione dell’obbligo di predisporre rimedi equivalenti da parte dell’organizzazione.

5) la giurisprudenza statale e internazionale264, l’orientamento di parte della dottrina e, più in generale, la posizione di primario rilievo assunta

264 Pur se in termini non sempre omogenei o così netti, si può ravvisare nelle

pronunce dei giudici una crescente tendenza a sindacare la congruità dei sistemi di soluzione delle controversie. Di recente, è stato affermato che il carattere uniforme della giurisprudenza statale (la quale subordina il riconoscimento dell’immunità alla definizione di strumenti di protezione alternativi) «potrebbe essere considerato l’avvio della formazione di una norma consuetudinaria, che imponga alle organizzazioni, quale presupposto del godimento dell’immunità giurisdizionale

nel diritto internazionale dal diritto del singolo di avere accesso alla giustizia convergono nell’assegnare al giudice statale il compito di verificare il rispetto, da parte dell’organizzazione, dell’obbligo di rendere disponibili mezzi di ricorso alternativi ed adeguati.

La tesi proposta rappresenta il frutto di una lettura particolarmente evolutiva delle disposizioni rilevanti e ha il merito di fornire un quadro di riferimento coerente con le tendenze della prassi recente.

Inoltre, secondo tale prospettiva, il giudice statale sarebbe in grado di risolvere le questioni a lui sottoposte attraverso la disapplicazione della disposizione pattizia ove rilevi l’assenza di un rimedio adeguato per garantire l’accesso alla giustizia del singolo. In particolare il giudice andrebbe ad accertare, con effetti limitati al caso concreto, e con l’interpretazione evolutiva sopra esposta, che non è stato soddisfatto uno dei presupposti applicativi della regola, e quindi non è necessario invocare norme o princìpi internazionali superiori o prevalenti che determinerebbero la disapplicazione della disposizione attributiva dell’immunità, dovendo il giudice limitarsi ad una analisi oggettiva.

rispetto alle controversie di lavoro, la previsione di un sistema effettivo di tutela delle garanzie del lavoratore»: così P. PUSTORINO, Immunità giurisdizionale, cit., pp. 144-145. Alla luce dell’accoglimento della tesi del fondamento pattizio

dell’immunità (v. retro, cap. IV, § 5) e della problematicità delle questioni inerenti la formazione di norme consuetudinarie valide per le organizzazioni, riteniamo

preferibile impostare il ragionamento in termini di interpretazione (non strettamente letterale) delle disposizioni pattizie attributive dell’immunità, avendo riguardo peraltro alla posizione di qualsiasi soggetto privato (e non solamente a quella dei dipendenti).

CAPITOLO TERZO

L’IMMUNITA’ DALLA GIURISDIZIONE DELLE

NAZIONI UNITE

1. L’Articolo 105 della Carta delle Nazioni Unite

Come si è osservato nel corso dell’elaborato, esistono numerose Convenzioni (multilaterali) che riconducono l’esistenza dell’immunità dalla giurisdizione delle singole organizzazioni internazionali ai fini istituzionali dell’Ente a cui si riferiscono.

L’esempio più evidente in merito è costituito dalla cd. Carta delle Nazioni Unite che altro non è che il Trattato istitutivo dell’ONU, adottato nella Conferenza di San Francisco del 26 giugno 1945 ed entrato in vigore il 24 ottobre 1945265.

In particolare l’Articolo 105 delle Carta dispone che:

“1. L’Organizzazione gode, nel territorio di ciascuno dei suoi Membri,

dei privilegi e delle immunità necessari per il conseguimento dei suoi fini.

2. I rappresentanti dei Membri delle Nazioni Unite ed i funzionari dell’Organizzazione godranno parimenti dei privilegi e delle immunità necessari per l’esercizio indipendente delle loro funzioni inerenti all’Organizzazione.

3. L’Assemblea Generale può fare raccomandazioni allo scopo di determinare i dettagli dell’applicazione dei paragrafi 1 e 2 di questo

265 Data in cui si verificò la condizione prevista dall’Articolo 110 par. 3 della Carta in

cui si stabilisce che la Carta delle Nazioni Unite sarebbe entrata in vigore al

momento in cui l’avessero ratificata i cinque paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza oltre alla maggioranza degli altri Stati firmatari. Cfr. B. CONFORTI, C. FOCARELLI, Le Nazioni Unite, undicesima edizione.