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La giurisprudenza internazionale: la CIG e la Corte EDU

4.3 (Segue) Il tentativo di porre in relazione il godimento dell’immunità con l’adempimento dell’obbligo d

5 La giurisprudenza internazionale: la CIG e la Corte EDU

Per quanto riguarda la giurisprudenza prettamente internazionale è opportuno sottolineare che quest’ultima non ha avuto per diverso tempo molte occasioni per occuparsi del tema dei rapporti tra diritto del singolo alla tutela giurisdizionale e immunità dalla giurisdizione delle organizzazioni internazionali.

Le note più interessanti provengono dalle sentenze della Corte EDU proprio a partire dai noti casi Beer-Regan e Waite-Kennedy.

Ciononostante è possibile ricavare delle indicazioni significative su questa materia anche da alcune altre pronunce dalla Corte Internazionale di Giustizia e dall’atteggiamento dei Tribunali amministrativi internazionali nei casi in cui la loro competenza sia stata incerta o il singolo abbia rischiato un diniego di giustizia.

In particolare si possono sottolineare le considerazioni svolte dalla Corte Internazionale di Giustizia in merito all’istituzione del tribunale amministrativo internazionale da parte delle Nazioni Unite.

Infatti su richiesta dell’Assemblea generale dell’ONU la CIG ha emesso nel 1954 un parere in cui viene affermato che, nonostante non esista una norma espressa della Carte delle Nazioni Unite che disponga in tal senso, l’ONU aveva sempre avuto un potere implicito di istituire il Tribunale amministrativo delle Nazioni Unite, competente per le controversie tra l’organizzazione ed i suoi funzionari.

In tale parere la CIG rileva da un lato che la Carta delle Nazioni Unite non affida a nessun organo la competenza a risolvere le controversie con il personale e dall’altro che l’ONU gode dell’immunità dalla giurisdizione dei tribunali statali ai sensi dall’Articolo 105 della Carta.

Successivamente la Corte afferma che «si l’Organisation des Nations

Unies laissait ses propres fonctionnaires sans protection judiciaire ou arbitrale pour le règlement des différends qui pourraient surgir entre elle et eux, ce ne sarait guère compatible avec les fins explicites de la Charte, qui sont de favoriser la liberté et la justice pour les êtres humains, ou avec le souci constant de l’Organisation des Nations Unies, qui est de promouvoir ces fins»200 e proprio dalla lettura di questo

passaggio è possibile cogliere una conferma indiretta della necessità di creare da parte dell’ONU il Tribunale amministrativo internazionale e questo nonostante il parere sopra indicato verta unicamente sul potere di istituirlo.

Peraltro si potrebbe sostenere che nonostante la Corte abbia collegato tale esigenza ai fini dell’organizzazione (i quali non sono propri della maggior parte delle organizzazioni internazionali) non appare azzardato condurre un ragionamento analogo avendo questa volta come parametri di riferimento altri elementi, quali la ratio stessa dell’immunità (che è quella di consentire all’organizzazione di sottrarsi alla giurisdizione dei tribunali nazionali, ma non certamente di essere svincolata dal rispetto delle norme giuridiche e dalla possibilità di essere sottoposta a meccanismi di soluzione delle controversie di diversa natura) e la centralità dei diritti umani (incluso quello ad un equo processo) nello stadio di evoluzione attuale del diritto internazionale201.

Indicazioni utili sono ricavabili anche da altri due pareri resi nel 1973 e nel 2012 della Corte Internazionale di Giustizia e concernenti

200 Cour International de Justice, Parere del 13.7.1954, Effet de jugements du tribunal

administratif des N.U. accordant indemnité, in C.I.J. Recueil, 1954, p. 47, in part. p. 57.

201 In tale prospettiva sembra collocarsi A. PELLET, Les voies de recours ouvertes

aux fonctionnaires internationaux, cit., pp. 262-263 e Marcello Di Filippo, Immunità dalla giurisdizione versus diritto di accesso alla giustizia: il caso delle

organizzazioni internazionali, p. 126.

l’impugnazione di sentenze pronunciate rispettivamente dall’UNAT202 e dall’ILOAT203. Ebbene in essi, vengono offerte alcune indicazioni su cosa si intenda per accesso alla giustizia.

Infatti in tali pareri si chiarisce il significato di uno dei motivi per cui la CIG stessa può essere adita per valutare la legittimità di una sentenza dei tribunali amministrativi; in particolare questo motivo è descritto all’Articolo 11 par. 1 dello Statuto dell’UNAT come ( in termini di ) «a

fundamental error in procedure which has occasioned a failure of justice», mentre nell’Articolo XII dell’Allegato allo Statuto dell’ILOAT

come vizio riguardante «a fundamental fault in the procedure followed»; cionondimeno la Corte afferma esplicitamente che i due motivi, anche se formulati in maniera non identica nei due Statuti del Tribunali amministrativi internazionali, devono essere interpretati in modo omogeneo204.

Ordunque in entrambi i pareri la Corte afferma che un vizio procedurale è fondamentale quando incide sul diritto del funzionario a un giusto processo e si realizza così un diniego di giustizia. Vi è poi un consenso generale su alcuni degli elementi che compongono il “giusto processo”, i quali sono: il diritto di accedere a un tribunale indipendente e imparziale precostituito per legge; il diritto di essere ascoltati e di ricevere una decisione in tempi ragionevoli; il diritto al contraddittorio e alla “parità delle armi” con l’avversario; l’obbligo di motivazione per l’organo giudicante205.

202 ICJ, Parere 12.7.1973, Application for Review of Judgement No. 158 of the United

Nations Administrative Tribunal, in ICJ Reports, 1973, p. 209.

203Parere 1.2.2012, Judgment No.2867 ofthe Administrative Tribunal of the

International Labour Organization upon a complaint filed against the International Fund for Agricultural Development.

204 Parere 12.7.1973; Parere 1.2.2012.

Anche la Giurisprudenza dei Tribunali amministrativi internazionali conferma la tesi secondo cui, in presenza dell’immunità dalla giurisdizione di una data organizzazione internazionale, devono essere offerti ai funzionari della stessa dei rimedi alternativi adeguati per ottenere giustizia.

Tant’è vero che in casi in cui era dubbio o assente il requisito della legittimazione attiva del ricorrente, a causa del difetto di elementi o caratteristiche richieste dallo Statuto del singolo tribunale, al fine di evitare un possibile diniego di giustizia la giurisdizione è stata esercitata ugualmente da parte del Tribunale. I tribunali amministrativi hanno, in queste ipotesi, generalmente fatto riferimento al principio del pubblico impiego in base al quale ogni dipendente ha diritto ad accedere ad una procedura contenziosa in caso di controversia con il proprio datore di lavoro; tuttavia a volte sono state utilizzate anche affermazioni più generali volte a sottolineare l’esigenza di evitare un diniego di giustizia, in tal senso si possono menzionare i precedenti dei Tribunali amministrativi dell’ILO206, dell’ONU207 e del Consiglio d’Europa208. Passando all’analisi della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Dell’uomo in materia di immunità delle organizzazioni internazionali dalla giurisdizione civile si deve sin da subito sottolineare che la compatibilità delle “norme” internazionali che prevedono la suddetta

206 Cfr. ILOAT, 15.10.1968, n. 122, Chadsey c. Union Postale Universelle (su cui v.

LEMOINE, Jurisprudence du Tribunal administratif de l’Organisation

internationale du travail, in Annuaire français de droit international, 1968, p. 308 ss.); 6.7.1995, n. 1451, Hamouda et a. c. Union Postale Universelle; 10.7.1997, n. 1660, Aschenbrenner et a. c. Association européenne de libre-échange; 9.7.1998, n. 1773, Cissé c. Organisation internationale du travail.

207 V. la casistica citata in A. REINISCH, International Organizations, cit., p. 272 ss.

208 Cfr. Tribunal Administratif du Conseil de l’Europe, 27.3.2000, caso n. 255/1999,

Loria-Albanese c. Secrétaire Général, §§ 22-23: a fronte di un dubbio sulla propria compe- tenza, il Tribunale esamina il caso facendo un espresso riferimento

all’esigenza di offrire una via di ricorso di fronte a una «juridiction», come affermato dalla Corte europea dei diritti umani nella sua giurisprudenza e in particolare nella sentenza Waite-Kennedy.

immunità rispetto alla CEDU si pone in netto contrasto l’’art. 6 della Convenzione (diritto ad un equo processo), e nello specifico al diritto di accesso al giudice, diritto che, pur non essendo contemplato expressis

verbis dall’art. 6, costituisce un presupposto imprescindibile della

celebrazione di un processo equo proprio a partire dalla sentenza della Corte EDU nel caso Golder v. United Kingdom del 21 febbraio del 1975209. Il caso riguardava un cittadino inglese, detenuto in carcere per effetto di una condanna penale, il quale, a seguito di violenti disordini intervenuti nella prigione, era stato accusato da una guardia carceraria di aver partecipato attivamente ad atti di violenza (cosa che avrebbe influito negativamente sulla sua condotta). L’interessato voleva contestare l’accusa con un’azione per diffamazione nei confronti della guardia carceraria tuttavia si era reso conto che la propria capacita di rivolgersi ad un avvocato con lo scopo di intentare tale azione era in realtà ostacolata dalla necessità di ottenere una specifica autorizzazione da parte del Ministero dell’Interno del Regno Unito.

Il ricorrente si era pertanto rivolto alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo accusando il Regno Unito della violazione dell’Articolo 6 par. 1 CEDU che sancisce il diritto ad un equo processo.

Egli, infatti, riteneva che tale diritto dovesse essere riconosciuto non soltanto ai procedimenti che si fossero effettivamente tenuti ma anche a quelli che non si erano tenuti a causa di un impedimento delle autorità dello Stato. Il Governo del Regno Unito invece sosteneva la tesi opposta cioè che il significato ovvio dell’Art 6 CEDU sul “giusto processo” riguardava solo la condotta del processo una volta iniziato e non il diritto di accesso in quanto tale210.

209 Corte europea dei diritti umani, Golder c. Regno Unito, ricorso n. 4451/70,

sentenza del 21 febbraio 1975.

210 F. Francioni, M. Gestri, N. Ronzitti, T. Scovazzi, “Accesso alla giustizia

Ebbene l’interpretazione testuale dell’Art 6 CEDU avvalorava la tesi sostenuta dal Regno Unito ma la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha preferito seguire una strada differente.

Infatti la Corte, utilizzando un’interpretazione evolutiva dell’Art 6 CEDU effettuata valorizzando (secondo i dettami dell’Art 31 della Convezione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati) l’oggetto e lo scopo della CEDU quale risulta dal preambolo della Convenzione e dando rilievo al principio della preminenza del diritto, riconosce che tale articolo comprende anche il diritto di accesso a un tribunale e ad un avvocato.

A seguito di tale sentenza211 è divenuto quindi necessario stabilire se il diritto di ogni individuo a che le controversie in materia di diritti ed obblighi di carattere civile siano decise da un tribunale indipendente ed imparziale possa essere sacrificato per consentire l’applicazione delle regole del diritto internazionale sull’immunità delle organizzazioni internazionali dalla giurisdizione civile212.

Infatti, con frequenza, coloro che ritengono leso il proprio diritto alla tutela giurisdizionale poiché subordinato al riconoscimento dell’immunità (dalla giurisdizione) di una data organizzazione internazionale, hanno attivato le procedure di controllo del rispetto della CEDU, citando lo Stato i cui tribunali avevano rifiutato di esercitare la giurisdizione proprio a causa dell’immunità dell’organizzazione. Occorre innanzitutto sottolineare che l’impostazione seguita dalla Corte EDU in materia è identica nei suoi tratti essenziali a quella utilizzata per tutte le altre ipotesi di immunità previste dal diritto internazionale: le premesse di base sono infatti le stesse, a prescindere dalla natura dei

211 Corte europea dei diritti umani, Golder c. Regno Unito, ricorso n. 4451/70,

sentenza del 21 febbraio 1975

212 M. Papa, Immunità delle Nazioni Unite dalla giurisdizione e rapporti tra CEDU e

diritto delle Nazioni Unite: la decisione della Corte europea dei diritti umani nel caso dell’Associazione Madri di Srebrenica, p. 30 ss.

soggetti coinvolti, dal tipo di rapporto interessato, e dal fondamento giuridico dell’immunità volta a volta in causa213.

In una prima fase, questi ricorsi sono stati dichiarati inammissibili dalla Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo, in quanto gli atti delle organizzazioni non sarebbero imputabili agli Stati ai fini della Convenzione 214 ; quindi secondo questo primo e più risalente orientamento della Commissione Europea si doveva negare la ricevibilità ratione materiae di tali vertenze sulla base del fatto che la decisione di riconoscere l’immunità, nell’ottica della Commissione, non rientrava nella giurisdizione degli Stati membri ai sensi dell’Art. 1 CEDU215.

Tale reticenza manifestata dagli organi di controllo della CEDU è stata duramente criticata in dottrina; alcuni autori infatti hanno iniziato a

213 In tema v. J.-F. FLAUSS, “Droit des immunités et protection internationale des

droits de l’homme”, in Revue suisse de droit international et de droit européen 2000, p. 299 ss.; L. CAFLISCH, “Immunité de juridiction et respect des droits de

l’homme”, in The International Legal System in Quest of Equity and Universality. Liber amicorum Georges Abi-Saab, L. BOISSON DE CHAZOURNES, V. GOWLLAND-DEBBAS (eds), The Hague, 2001, p. 651 ss.; D. LLOYD JONES, “Article 6 ECHR and Immunities Arising in Public International Law”, in

International and Comparative Law Quarterly 2003, p. 463 ss.; L. MILANO, “Les immunités issues du droit international dans la jurisprudence européenne”, in Revue trimestrielle des droits de l’homme 2008, p. 1059 ss.; B.I. BONAFÈ, “The ECHR and the Immunities Provided by International Law”, in Italian Yearbook of

International Law, vol. XX, 2010, p. 55 ss.; M. KLOTH, Immunities and the Right of Access to Court under Article 6 of the European Convention on Human Rights, Leiden-Boston, 2010; S. EL SAWAH, Les immunités des États et des organisations internationales. Immunités et procès équitable, Bruxelles, 2012.

214 V. la decisione 12.12.1988, ricorso n. 12516/86, Ary Spaans v. Netherlands, in

Int. Law Reports, vol. 107, p. 1 (in cui la Commissione considera che un rapporto giuridico tra il tribunale per i reclami Iran/Stati Uniti e un suo ex dipendente non rientrava nella giurisdizione dei Paesi Bassi ai sensi dell’art. 1 CEDU, a causa dell’immunità attribuita all’ente in questione); decisione 12.4.1996, ricorso n. 26991/95, van der Peet c. Germany (in cui la controversia di natura lavoristica con lo European Patent Office viene considerata estranea alla nozione di controversia di diritti civile di cui all’art. 6 CEDU).

215 Articolo 1 CEDU “Le Alte Parti contraenti riconoscono a ogni persona

sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della presente Convenzione”.

parlare di una sorta «immunité de l’immunité de juridiction» rispetto alla CEDU216.

Recentemente, tuttavia, tale approccio è stato sostituito con un altro favorevole ad un bilanciamento delle esigenze sottese all’applicazione delle norme sull’immunità giurisdizionale con l’interesse alla tutela dei diritti garantiti dalla CEDU; Tutto ciò in armonia la necessità di evitare che gli Stati si potessero sottrarre alle responsabilità che derivano loro dalla Convenzione grazie al trasferimento di competenze a favore di organizzazioni internazionali.

La discriminate (lo spartiacque) tra questi due orientamenti opposti deve essere ricercata in due ricorsi presentati contro la Germania da alcuni individui che lamentavano la violazione dell’Art 6 par. 1 CEDU, i quali sono stati infatti dichiarati ricevibili ed analizzati nel merito.

Si fa riferimento ai casi Waite e Kennedy c. Germania e Beer e Regan c.

Germania217, in entrambi i ricorrenti ritenevano che la Germania avesse violato l’art. 6 CEDU in quanto i tribunali tedeschi si erano rifiutati di esercitare la giurisdizione in merito alle controversie lavoristiche avviate da questi contro l’Agenzia Spaziale Europea (ESA).

Ebbene i tribunali tedeschi avevano fondato la loro decisione di non esercitare la giurisdizione sulle disposizioni pattizie esistenti, le quali garantivano l’immunità all’ESA; Inoltre, secondo i giudici tedeschi gli strumenti alternativi di soluzione delle controversie, esperibili dai ricorrenti nel caso di specie, erano in grado di soddisfare il diritto del singolo alla tutela giurisdizionale.

216F.SUDRE, La jurisprudence de la Cour europeénne des droits del’homme,

inI.PINGEL (sous la direction de), Droit des immunités et exigences du procès équitable, Paris, 2004, p. 19, in part. p. 22.

217 Cfr. le decisioni della Commissione del 2.12.1997, ricorso n. 26083/94, Waite and

Kennedy v. Germany; ricorso n. 28934/95, Beer and Regan v. Germany. Si noti che le decisioni sono state prese con una maggioranza di 17 a 15 e che la minoranza ha contestato l’adeguatezza dei rimedi alternativi a disposizione dei ricorrenti: v. la dissenting opinion di G. RESS (alla quale hanno aderito gli altri 14 componenti).

Tuttavia sia la Commissione, nella decisione del 1997, sia la Corte EDU218, nella sentenza del 1999, hanno ritenuto che l’attribuzione dell’immunità a organizzazioni internazionali da parte degli Stati contraenti della CEDU realizza un’interferenza con il diritto di accesso alla giustizia: Per tale ragione l’attribuzione dell’immunità per essere compatibile l’art. 6 CEDU deve perseguire un obiettivo legittimo ed essere proporzionata (non attentando alla stessa essenza del diritto in parola).

Prendendo in analisi in questa sede la valutazione del rispetto del criterio della proporzionalità si deve sottolineare che secondo la Corte di Strasburgo, affinché il diritto dei singoli non venga pregiudicato nella sua stessa essenza, devono essere concretamente disponibili «reasonable alternative means to protect effectively their rights under

the Convention».

Nel merito di entrambi i casi la Corte EDU ha ritenuto che i ricorsi a disposizione dei singoli fossero soddisfacenti dal punto di vista dell’Art 6 CEDU; Tuttavia preme rilevare che quest’ultima valutazione ha suscitato numerose perplessità già nei primi commenti alle due sentenze219 e anche successivamente, alcuni autori hanno sottolineato come il giudizio di proporzionalità sia stato del tutto inadeguato, a fronte

218 Cfr. le sentenze rese all’unanimità dalla Corte (GrandeCamera) il 18.2.1999,

ricorso n. 26083/94, Waite e Kennedy c. Germania; ricorso n. 28934/95, Beer e Regan c. Germania. Per un’analisi delle due sentenze, v. A. REINISCH, Note, in American Journal of Int. Law, 1999, p. 933; I. PINGEL LENUZZA, Autonomie juridictionelle et employeur privilégié, in Revue générale droit int. public, 2000, p. 445; P. PUSTORINO, Immunità giurisdizionale delle organizzazioni internazionali e tutela dei diritti fondamentali: le sentenze della Corte europea nei casi Waite et Kennedy e Beer et Regan, in Rivista di diritto internazionale, 2000, p. 132; H. TIGROUDJA, L’immunité de juridiction des organisations internationales et le droit d’accès à un tribunal, in Revue trimestrielle droits de l’homme, 2000, p. 83.

219 V.i rilievi critici di A.REINISCH, Note, cit., pp.937-938; I.PINGELLENUZZA ,

op.cit., p. 456 ss.; P. PUSTORINO, op. cit., p. 136 ss.; H. TIGROUDJA, op. cit., p. 97 ss.

di quella che non è una semplice restrizione del diritto di accesso a un giudice, ma bensì una negazione radicale dello stesso220.

Senonché a partire da queste due sentenze, la Corte di Strasburgo ha sempre dichiarato, in tutte le decisione successive, di voler seguire lo stesso iter di queste controversie per risolvere la tensione esistente tra immunità e diritto di accesso al giudice dell’individuo221; E in particolare: 1) il diritto sancito dall’art. 6 CEDU non è assoluto222, ma è passibile di restrizioni da parte degli Stati; 2) spetta alla Corte vigilare sull’applicazione della Convenzione, benché gli Stati godano di un certo margine di decisione, in particolare: 3) la Corte EDU si riserva il compito di verificare che la limitazione del diritto di agire in giudizio ad opera del riconoscimento dell’immunità non vada ad intaccare l’essenza stessa del diritto medesimo, e (dunque requisito ulteriore) soddisfi queste condizioni: persegua un fine legittimo e garantisca un

220 V. F. SUDRE, La jurisprudence de la Cour europeénne, cit., pp. 24-27.

221 Per una condivisibile critica all’approccio uniforme adottato dalla Corte, e alla

conseguente omogeneità nel trattamento riservato alle regole in tema di immunità dalla giurisdizione (comprese peraltro anche quelle stabilite dal diritto interno) v. F. SUDRE, “La jurisprudence de la Cour euro- péenne des droits de l’homme”, in Droit des immunités et exigences du procès équitable, I. PINGEL (dir.), Paris, 2004, p. 19 ss., p. 25; J. VERHOEVEN, “Les immunités propres aux organes ou autres agents des sujets du droit international”, in Le droit international des immunités:

contestation ou consolidation?, ID. (dir.), Bruxelles, 2004, pp. 123, 125-126; S. EL SAWAH, op. cit., p. 442 ss. Si noti tra l’altro che, anche avuto riguardo al solo settore delle immunità delle organizzazioni internazionali, il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa ha espresso dubbi sull’utilità del ricorso ad una soluzione unitaria, in ragione del carattere estremamente eterogeneo del fenomeno delle organizzazioni internazionali: Privilèges et immunités des organisations

internationales: résolution (69) 29 adoptée par le Comité des Ministres du Conseil de l’Europe le 26 septembre 1969 et rapport explicatif, Strasbourg, 1970, p. 15.

222 Corte europea dei diritti umani, Waite e Kennedy c. Germania, cit., par. 59. La

circostanza che il diritto in questione non si configuri come assoluto viene collegato dalla Corte alla previsione, ai sensi dello stesso art. 6, del potere di regolamentazione degli Stati in materia.

ragionevole nesso di proporzionalità tra mezzi impiegati e fine perseguito.

Tuttavia nonostante si affermi sempre la necessità di contemperare gli interessi opposti del beneficiario dell’immunità, da un lato, e, dall’altro, quello dell’individuo di sottoporre le proprie doglianze ad un’istanza giurisdizionale, la giurisprudenza della Corte EDU in materia, per molto tempo, si è risolta sistematicamente in favore della assoluta compatibilità tra l’art. 6 CEDU e l’esclusione della potestà giurisdizionale dei giudici interni. Infatti è stato osservato in dottrina che non sarebbe corretto considerare l’immunità unicamente come una mera restrizione del diritto di accesso ad un tribunale, in quanto, di fatto, l’esenzione dal sindacato dei giudici interni per i soggetti che ne