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Fonti Vincolanti del Consiglio d’Europa

PARTE II – STRUMENTI REGIONAL

3. Fonti Vincolanti del Consiglio d’Europa

3.1 Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali

Siglata a Roma il 4 novembre 1950 all’interno del Consiglio d’Europa, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) mira a garantire i diritti umani e le libertà indispensabili nel Vecchio Continente.

È uno strumento molto importante poiché per la prima volta si sono dotati i diritti umani di una difesa vera e si è dato inizio ad “un sistema effettivo di tutela di un ordine pubblico europeo, fondato sulla convinzione storica che solo la tutela dei diritti garantisce una configurazione democratica degli Stati”86.

Con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ogni Paese parte della CEDU è vincolato al rispetto dei diritti assicurati da tale Convenzione nell’ambito del proprio

85https://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-9170-2018-INIT/it/pdf

86 Bigiavi W.- Trabucchi A., Prospettive del diritto europeo dei contratti: la violazione di un obbligo, in

ordinamento normativo statale a favore di chiunque, senza alcuna distinzione di specie, come ad esempio sesso, razza, colore, culto, idea politica o di altro genere, provenienza nazionale o sociale, appartenenza a una minoranza nazionale, capacità economica, nascita o altra condizione87.

La CEDU è contemplata come il testo fondamentale nell’ambito della protezione dei diritti fondamentali dell’uomo poiché è l’unico strumento provvisto di un dispositivo giurisdizionale stabile che permetta ad ogni persona di rivendicare i propri diritti qui tutelati, tramite il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, collocata a Strasburgo. Il testo è stato redatto in due lingue, inglese e francese; per presentare il ricorso si può adottare una delle due lingue ufficiali della Corte, oppure una delle lingue ufficiali delle Nazioni aderenti alla Convenzione.

Le sentenze che accertano violazioni sono inderogabili per le Nazioni: l’art. 46 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo (CEDU) obbliga i Paesi ad adeguarsi alle sentenze della Corte di Strasburgo e attribuisce al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il potere di monitorare sull’attuazione di questi.

La convenzione ha svariati protocolli, che nel corso del tempo ne hanno migliorato il contenuto.

L’articolo 10 della CEDU garantisce la libertà di espressione che comporta la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee, escluse le industrie dell’informazione, come ad esempio quelle televisive, di radiodiffusione e cinematografiche che possono essere sottoposte ad un regime di autorizzazione da parte dello Stato. Altri limiti che si possono rilevare nei Paesi democratici sono contemplati per quanto riguarda tematiche di sicurezza nazionale, o misure preventive per evitare reati, per tutelare il giudizio o i diritti delle altre persone, per evitare la diffusione di dati personali o per proteggere l’autorità e la giustizia del potere giuridico. Nell’articolo 14 si fa riferimento al divieto di discriminazione indicando dodici categorie potenzialmente discriminatorie: il sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione88. Il titolo II della Convenzione 87http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=20041208204428

88 La CEDU, per ciò che concerne il principio importantissimo della non discriminazione, dimostra di essere uno strumento di tutela innovativo e lungimirante, soprattutto se si considera il suo carattere vincolante, in quanto oltre a riprendere l’ampia formula della Dichiarazione ONU del 1948 (art. 2), ingloba una categoria discriminatoria di nuova formulazione, ovvero “la non discriminazione per l'appartenenza ad una

(articoli 19-51) costituisce e pianifica la funzione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, organo di controllo per assicurare il rispetto degli obblighi presi dalle Parti (art. 19). A questo organo si possono rivolgere oltre che le Nazioni anche una persona fisica, nonché un’organizzazione non governativa o un gruppo di privati che sostenga d’essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione (art. 34).

I Protocolli aggiuntivi sono parte aggiuntiva della Convenzione che sono stati integrati nel corso del tempo, come ad esempio quello relativo al diritto all’istruzione (protocollo 1, articolo 2), il diritto alla circolazione e il divieto di espulsione collettiva di stranieri (Protocollo 4 articoli 2 e 4), l’abolizione della pena di morte (Protocollo 13, articolo 1). Per terminare, è importante indicare l’articolo 1 del Protocollo 12 comprendente una clausola di non discriminazione a livello generale, che va ad aumentare la sfera dell’ambito dell’articolo 14 della Convenzione, aggiungendo cosi anche altri diritti inizialmente non tutelati dalla Convenzione.

Aderendo alla Convenzione, gli Stati membri sono costretti a rispettare specifici diritti e libertà globalmente identificati come i pilastri delle tradizioni costituzionali e i principi politici comuni, tra cui: il diritto alla vita, l’opposizione alla tortura e ai trattamenti inumani o umilianti, il divieto della schiavitù e del lavoro forzato; il diritto alla libertà e alla sicurezza; il diritto ad un giusto processo; il diritto al rispetto della vita privata e domestica; la libertà di opinione, di giudizio e di culto; la libertà di manifestare; la libertà di incontro e di associazione; il diritto all’unione matrimoniale, il divieto di discriminazione basate sul sesso, sull’etnia, sul colore della pelle, sulla lingua, sulla fede religiosa e sull’idee politiche, il divieto dell’abuso del diritto.

3.2 Convenzione-quadro sul valore del patrimonio culturale per la società

La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società è stata redatta a Faro (Portogallo) il 27 ottobre 2005, dove ci fu il primo incontro

minoranza nazionale”. Infatti, tale formula non comparirà in un testo di hard law posteriore, ovvero nella Convenzione internazionale sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale dell'ONU del 1965, e per giunta si dovranno aspettare gli inizi degli anni ‘90 del secolo scorso per incontrare una normativa specifica ma non vincolante sulla questione delle minoranze: la Dichiarazione sui diritti delle persone appartenenti a minoranze nazionali o etniche, religiose o linguistiche dell'ONU (1992).

di apertura alla firma dei 47 Stati aderenti al Consiglio. La convenzione ha origine dalla cooperazione fra quaranta Stati europei riguardo alle lesioni al patrimonio culturale generate dall’ultima guerra svoltasi in Europa nell’Ex Jugoslavia.

La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società si basa sul principio che la consapevolezza e l’uso dell’eredità culturale siano del tutto compresi all’interno dei diritti umani, e nello specifico nella sfera del diritto della persona a partecipare con libertà alla vita culturale della società, come chiaramente annunciato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966. La Convenzione di Faro vuole incoraggiare ad una comprensione maggiore del patrimonio culturale e della sua connessione con la collettività, promuovendo ad individuare l’influenza degli oggetti e dei luoghi in ragione delle espressioni e degli usi a loro conferiti sul piano culturale. La partecipazione dei cittadini esprime un elemento imprescindibile per aumentare in Europa la cognizione del valore del patrimonio culturale e del suo apporto al benessere a alla qualità della vita. In questo ambito, i Paesi sono invitati ad incoraggiare un procedimento di valorizzazione partecipativo, basato sul coordinamento tra pubbliche istituzioni, privati cittadini e associazioni.

Per quanto riguarda l’Italia, teoricamente il precedente Governo avrebbe dovuto provvedere a ratificare la Convenzione, sottoscritta dall’Italia nel 2013, ma in realtà ancora non è stata presa una decisione, neanche con il nuovo Parlamento eletto il 4 marzo 2018. Infatti, si è presentata una nuova interruzione; a Palazzo Madama, dopo un vertice la maggioranza ha scelto di sospendere l’approdo in Aula della ratifica per approfondimento89.

La Convenzione di Faro è un testo di grande interesse, a tratti rivoluzionario, che conferma il concetto di patrimonio culturale, introducendo il concetto più innovativo di “eredità-patrimoniale culturale”, che viene ritenuto “un insieme di risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione”. L’art. 2 di questa convenzione, infatti, specifica più adeguatamente cosa sia questa comunità di eredità-patrimonio, che consiste in: “un insieme di persone

89 https://www.fanpage.it/cultura/che-cose-la-convenzione-di-faro-sul-patrimonio-culturale-che-il-

che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un'azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future”. Fondamentalmente, la Convenzione di Faro vuole promuovere un maggiore protagonismo dei cittadini capovolgendo la piramide di gestione e promozione del patrimonio culturale, stabilendo il diritto, singolo e collettivo, di “trarre beneficio dal patrimonio culturale” e di “contribuire al suo arricchimento” (come indicato dall’art. 4) e sottolinea l’esigenza che il patrimonio culturale sia rivolto all’arricchimento dei “processi di sviluppo economico, politico, sociale e culturale e di pianificazione dell'uso del territorio” (art. 8 della Convenzione). Quindi, l’identificazione, lo studio, la tutela e la custodia del patrimonio culturale spettano ai cittadini che hanno lo scopo di promuovere, come afferma l’art. 12, “azioni per migliorare l'accesso al patrimonio culturale, in particolare per i giovani e le persone svantaggiate, al fine di aumentare la consapevolezza sul suo valore, sulla necessità di conservarlo e preservarlo e sui benefici che ne possono derivare”.

3.2.1 Le definizioni di patrimonio e comunità patrimoniale.

La Convenzione, oltre a incentivare la protezione e la conservazione del patrimonio elencando una serie di azioni principali da avviare, concentra l’impegno su diversi temi, quali:

- il diritto al patrimonio culturale come possibilità di prendere parte all’arricchimento o all’aumento del patrimonio e di godere delle attività relative, in relazione alle idee e i principi promotori del Consiglio d’Europa, e il diritto per il singolo soggetto di aderire pienamente alla realtà culturale della società, in base ai diritti e della libertà stabiliti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani di Parigi del 1948 e assicurato dal Patto internazionale nei diritti finanziari, sociali e culturali di Parigi del 1966;

- la comunicazione e il confronto tra le diverse culture, poiché il patrimonio culturale è una risorsa su cui si può costruire un’intesa, un dibattito popolare e una collaborazione fra culture;

- la mondializzazione, in quanto il patrimonio culturale è una risorsa per la protezione della diversità culturale e la necessità di mantenere un legame con il territorio di fronte alla standardizzazione crescente90;

- l’adesione e lo sviluppo della cooperazione, unendo le diverse esperienze dei diversi operatori del settore culturale, le strutture pubbliche, le fondazioni e i singoli civili; - la Convenzione definisce il patrimonio culturale come importante risorsa per la promozione della diversità culturale e lo sviluppo sostenibile della società, dell’economia e dell’ambiente, quindi risulta un importante strumento per l’accrescimento culturale e per il progresso politico.