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Richiamo alla “morale”

CAPITOLO III La ricerca di armonia fra mercato e cultura nel diritto internazionale

3. Esempio concreto di contrasto tra la convenzione Unesco 2005 e il Trattato istitutivo dell’OMC, il caso China Audiovisual Services.

3.2 Richiamo alla “morale”

Il caso citato serve anche per appurare l’incidenza della “morale” come eccezione all’applicazione delle regole del WTO, nell’unica volta in cui emerge questo richiamo. Si sarebbe potuto nominare l’eccezione culturale ma, non appartenendo al sistema WTO, la Cina ha fatto ricorso alla lettera a) dell’articolo XX Gatt. Il Panel ha determinato che solamente alcune delle regolamentazioni interne accusate potevano essere ammesse secondo questa eccezione mentre per quanto riguarda le altre c’erano tutte le motivazioni per giudicarle inammissibili con il WTO. La Cina riteneva che ci fossero disposizioni “atte a tutelare la morale pubblica” e reputava che il Panel avesse applicato non regolarmente le normative vigenti. L’ Appellate Body ha convalidato, quasi interamente, la risoluzione del Panel su tutta la questione e ha anche escluso che ricorressero i requisiti, come invece aveva fatto il Panel, per la tutela della “morale pubblica”, “For all these reasons, we uphold the Panel’s conclusion, in paragraph 8.2(a)(i) of the Panel Report, that China has not demonstrated that the relevant provisions are ‘‘necessary’’ to protect public morals, within the meaning of Article XX(a) of the GATT 1994 and that, as a result, China has not demonstrated that these provisions are justified under Article XX(a)» (pagine 141-142 del report).

Un altro aspetto dell’analisi dell’Organo d’appello riguarda i contenuti della valutazione. La verifica della misura presuppone una verifica di merito, inerente ai caratteri effettivi della misura sotto accusa e al successivo confronto con l’eventuale alternativa, di cui si deve analizzare la ragionevolezza (la cosiddetta regola dell’impatto minimo).

Si tratta quindi dell’applicazione del principio di proporzionalità, per cui riconosciuto il fine (salvaguardia della morale e della cultura pubblica), il giudice pondera l’adeguatezza del mezzo alla luce del bilanciamento con altri interessi incisi (libero mercato).

La Cina aveva anche citato la Convenzione Unesco del 2005 per difendere la propria linea e il bisogno di proteggere i propri “interessi culturali”. Riportando la definizione di cultura e di beni culturali all’interno della Convenzione e prima ancora nella Dichiarazione, la Cina ha tentato di attestare che i beni culturali sono compresi in una categoria particolare di prodotti. Il governo cinese ha evidenziato la condizione per cui questi beni sono “vectors of identity, values and meaning” ed hanno una potente influenza sulla morale pubblica, quindi devono essere considerati come “commodities” e non come prodotti di consumo, ma ciò non è servito.

La concretizzazione della Convenzione UNESCO necessita di nuove azioni da parte dell’UE, degli Stati aderenti e della società civile. Superare la frammentazione e giungere alla coesione deve quindi essere il leitmotiv di tale sforzo. Più i soggetti pubblici e privati si dimostrano ambiziosi, più i lavori risulteranno articolati maggiore sarà la posta in gioco. Un impianto riduttivo impedirebbe di accettare le sfide che si pongono. Altrimenti, si spianerebbe il percorso al diktat dei sistemi commerciali ledendo i diritti umani, le libertà fondamentali e l’accessibilità alla ricchezza della differenza delle espressioni culturali.

Un’eventuale via di uscita interpretativa può essere quella di considerare la Convenzione, secondo il principio del sostegno reciproco e complementarietà riportati nell’art. 20, in base al quale la Convenzione non è subordinata agli altri trattati.

In base a tale principio, “quando più norme sono applicabili alla stessa questione esse dovrebbero, per quanto possibile, essere interpretate in modo tale da dare origine ad un complesso di obblighi tra di loro compatibili. [...] In sostanza, consegue da tale approccio che la Convenzione UNESCO e gli accordi dell'OMC, poiché appartengono a diversi regimi di uno stesso sistema giuridico – sistema di diritto internazionale –, nell’ambito del quale norme e principi operano e devono essere interpretati in modo contestuale, dovrebbero risultare costruttivamente complementari l’uno all’altro. Tale conclusione sembra essere necessaria, se è vero che, da un lato la libertà degli scambi internazionali, in quanto mezzo per sostenere la libera circolazione delle idee attraverso le parole e le immagini, è funzionale al perseguimento degli obiettivi della Convenzione UNESCO e,

d’altro lato, l’OMC sta realmente cercando di far emergere il collegamento con i principi fondamentali di diritto internazionale sui diritti umani nell'applicazione del proprio sistema giuridico particolare”229.

Ma un’interpretazione meno problematica sembra essere data alla seconda dimensione riportata dall’art. 20, relativa alle Parti che si ritrovano a concludere vincoli internazionali, articolo 20 b): quando interpretano e applicano gli altri trattati a cui hanno aderito o quando sottoscrivono altri obblighi internazionali, le Parti contraenti tengono conto delle disposizioni pertinenti della presente Convenzione.

In queste situazioni la Convenzione sembra possa rappresentare una difesa legislativa facendo leva anche sulle norme di tipo esecutivo annunciate dall’art. 21230: “Le Parti contraenti s’impegnano a promuovere gli obbiettivi e i principi della presente Convenzione in altre sedi internazionali”. A questo scopo le Parti contraenti si consultano, se necessario, tenendo conto di questi obiettivi e di questi principi. Per concludere, le norme che regolamentano i rapporti con gli altri mezzi legislativi in questo modo formulate non rappresentano un reale contenuto vincolante, mettendo in capo ai Paesi aderenti il dovere di connettere, cioè accordare le differenti disposizioni che regolamentano il medesimo ambito231. Non c’è nessun equivoco interpretativo invece per quello che riguarda la relazione tra il documento e i mezzi che regolamentano il rispetto dei diritti umani e delle libertà irrinunciabili. L’art. 2 par. 1, insieme al par. 7 della Convenzione, chiarisce la natura subordinata del diritto alla diversità culturale nei confronti dei tradizionali diritti civili232. Tale natura era già stata espressa dal Comitato dei diritti umani (istituito attraverso il Patto internazionale sui diritti civili e politici CCPR) nel 2000.