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L’Italia durante gli anni Sessanta e Settanta

3.2. Il terzomondismo nel contesto italiano 1 La risposta accademica

3.2.3. Le forze social

Il dibattito suscitato dalla sensibilità terzomondista investì ampi settori della società italiana. Il processo di decolonizzazione si scontrava, negli anni Settanta, con l’incapacità di costruire adeguati modelli di sviluppo sociale, politico ed economico e con la crisi delle lotte di liberazione nelle ex colonie portoghesi.

In Italia si iniziava a guardare con preoccupazione al divario tra Nord e Sud e a riconoscere nella povertà di un’area così ampia del globo un fattore di squilibrio e di conflitto548. Per sanare questa situazione era necessario

superare la vecchia concezione di assistenza nei confronti dei paesi di nuova indipendenza in favore di una cooperazione internazionale volta a favorire lo sviluppo permanente dei territori.

Una svolta concreta a livello di impegno si realizzò con la firma della legge per la cooperazione del novembre 1971. L’intento della legge era quello di rilanciare un’azione in grado di invertire la tendenza alla divaricazione fra

545 P. Borruso, “L’Italia e la crisi della Decolonizzazione”, op. cit., p. 425.

546 P. Borruso, “L’Italia tra cooperazione e terzomondismo”, op. cit., pp. 216-217. 547 E. Berlinguer, La politica internazionale dei comunisti italiani 1975-1976, Editori

Riuniti, Roma, 1976, pp. 183-186.

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paesi ricchi e poveri. Essa prevedeva l’invio di personale esperto e materiali per la formazione professionale, l’incentivazione di studi e di progettazioni per l’attuazione di migliorie ambientali, sanitarie e sociali nei paesi in via di sviluppo549.

L’impegno dei paesi industrializzati nella cooperazione, per tutti gli anni Sessanta, fu frammentario e inadeguato, tanto che, agli inizi del decennio successivo, si sentì l’esigenza di coinvolgere le forze sociali nell’impegno per promuovere la pace attraverso la solidarietà e la giustizia. I primi ad esserne interessati furono i giovani che poterono usufruire della possibilità di impegnarsi nel servizio civile in sostituzione alla leva militare, legge voluta proprio da Pedini550. Numerosi però furono anche i volontari che

decisero di contribuire gratuitamente per promuovere la pace.

Tutto ciò contribuì all’ampliamento dell’orizzonte di cooperazione italiano, che investì, con il suo operato, territori sino ad allora ignorati come le ex colonie portoghesi e altri paesi dell’Africa sub-sahariana551. Questa apertura

esprimeva una nuova visione dell’ordine mondiale che subì gli effetti dell’irruzione del Sud nello scenario internazionale. La solidarietà internazionale sembrava essere la strada da percorrere per consolidare una comunità internazionale sempre più fondata sui valori comuni di equità e di reciproco rispetto552. Gli impegni assunti adesso dallo Stato italiano non

consistevano più soltanto nella fornitura delle risorse necessarie allo sviluppo, ma nell’aiutare un paese sottosviluppato a raggiungere un grado di autonomia che gli permettesse di potersi sviluppare autonomamente553.

Il processo dilatativo della politica estera italiana, negli anni Settanta, nei confronti dell’Africa, sia sul piano economico che sociale, era quindi il frutto del cambiamento di posizione politica di fronte allo svolgersi degli eventi. L’Italia si inserì nel processo di distensione Nord-Sud ponendosi come obiettivo il perseguimento e la preservazione della pace attraverso il superamento degli squilibri di natura economica e culturale che la decolonizzazione aveva fatto emergere554. Da questo punto di vista l’Italia

549 P. Borruso, “L’Italia e la crisi della Decolonizzazione”, op. cit., p. 432. Per

approfondimenti vedi

http://www.difesa.it/SMD_/Staff/Reparti/I/Impiego/Normativa/Pagine/L15121971_n1222.as px consultato il 02.09.2015.

550http://www.serviziocivile.gov.it/menusx/servizio-civile-nazionale/storia/ consultato il

15.07.2015.

551 P. Borruso, “L’Italia e la crisi della Decolonizzazione”, op. cit., p. 433. 552 P. Borruso, “L’Italia tra cooperazione e terzomondismo”, op. cit., pp. 219.

553http://www.esteri.it/mae/it/politica_estera/cooperaz_sviluppo consultato il 15.07.2015. 554 P. Borruso, “L’Italia e la crisi della Decolonizzazione”, op. cit., p. 440.

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assunse un ruolo attivo anche nell’applicazione dell’associazione tra CEE e stati africani sancita nelle convenzioni di Yaoundé (1963-1969) e dalle convenzioni di Lomé (1975-1979)555. Tutto ciò contribuì a fare dell’Italia un

ponte euro-africano nella cooperazione allo sviluppo e a far maturare, al suo interno, una nuova concezione politica e sociale per la costruzione di un ordine mondiale più armonico ed equilibrato.

In questo contesto si vennero a creare le prime associazioni e i primi gruppi di laici che, sensibili al tema dello sviluppo, decisero di impegnarsi nella cooperazione con i paesi del Terzo Mondo in modo indipendente.

Tra le più importanti esperienze italiane troviamo quella che porterà alla nascita del Gruppo Volontariato Civile (GVC). Le prime attività del gruppo, tra 1968 e 1969, si svolsero come sostegno alla sede di Bologna dell’Ufficio Centrale Studenti Esteri in Italia e successivamente alla gestione del Segretariato Regionale Organismi Terzo Mondo. La prima forma autonoma operò affianco alle missioni dehoniane in Africa e

prese il nome di Gruppo Laici Missionari (GLM). Fino ad allora il gruppo era vissuto grazie all’autofinanziamento dei volontari e dei sostenitori. Nel 1971 divenne ufficialmente GVC e, già nell’anno successivo, fu tra le prime agenzie ad ottenere il riconoscimento del Ministero degli Affari Esteri italiano e a beneficiare dei finanziamenti per avviare i

progetti di cooperazione internazionale. I primi due progetti che furono avviati interessarono il Brasile e lo Zaire. Nel corso degli anni la ONG si sarebbe sempre più specializzata operando all’interno del settore sanitario e successivamente ampliando il raggio d’azione dei propri progetti aprendo a molteplici settori di intervento556.

Nel 1971 nacque anche il Movimento Liberazione e Sviluppo (MOLISV), un’associazione di solidarietà e cooperazione internazionale milanese che racchiudeva al suo interno gruppi che operavano nel territorio italiano. L’obiettivo di MOLISV era quello di «contribuire allo sviluppo dei popoli della Terra e partecipare alla costruzione della società civile internazionale, attraverso la promozione di una cultura della mondialità, la formazione e

555 P. Borruso, “L’Italia tra cooperazione e terzomondismo”, op. cit., pp. 220. 556http://www.gvc-italia.org/chi/storia consultato il 15.07.2015.

Fig. 36 Logo del Gruppo Volontariato Civile

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l’educazione allo sviluppo» (art. 4)557. Nel 1974 entrò a far parte del gruppo

delle ONG riconosciute dal Ministero degli Affari Esteri italiano. La forte vicinanza dimostrata dall’agenzia nei confronti dei movimenti di liberazione nazionale in Angola, Mozambico e Guinea Bissau fece sì che la ONG inserisse la cooperazione tecnica in un quadro più ampio di intervento volto a sostenere i movimenti di liberazione e i governi che operavano su di una linea democratica e popolare di costruzione del socialismo nei paesi in via di sviluppo. Essa considerava la cooperazione tecnica come parte integrante del proprio programma di servizio politico di sostegno alla sinistra italiana e internazionale. Questo portò i membri alla decisione di sostenersi prevalentemente grazie all’autotassazione e alla ricerca di fondi alternativi a quelli forniti dal Ministero. In pochi anni l’impegno di MOLISV si ampliò fino a comprendere il territorio dello Zimbabwe, della Namibia, della Tanzania e, sul finire degli anni Settanta, della Palestina e dell’Eritrea. Nel 1978 l’associazione divenne operante su tutto il territorio Nazionale. Nel 1993 essa si unì ad altre due agenzie (CISP e CTM) e dette vita a MOVIMONDO MOLISV558.

3.2.4. I cattolici e i problemi del