2.2.1 “Ricostruzione” e “Sviluppo”
2.3. Terzo Mondo e terzomondismo
2.3.3. I cristiani e l’aiuto umanitario
2.3.3.1. I cattolici e la “svolta terzomondista”
2.3.3.1.3. Papa Paolo VI e il Concilio Vaticano
Prosecutore del progetto del Concilio ecumenico avviato da Giovanni XXIII, apertosi l’anno precedente la sua nomina, fu Papa Paolo VI. Noto per le sua capacità di mediazione, egli riuscì a portare a compimento il Concilio e a garantire la solidità dottrinale cattolica in un periodo di rivolgimenti ideologici aprendo fortemente l’azione della Chiesa verso i temi del Terzo Mondo e della pace.
Il Concilio si chiuse nel dicembre del 1965 dopo aver approvato quattro costituzioni, nove decreti e tre dichiarazioni. Un apposito decreto, intitolato
403 S. Lanaro, Storia dell’Italia Repubblicana, Marsilio, Venezia, 1992, p. 374. 404 G. Verucci, La Chiesa Cattolica in Italia dall’Unità a oggi, op. cit., p. 80. 405S. Lanaro, op. cit., p. 376.
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Ad Gentes407, venne dedicato all’attività missionaria, ritenuta
particolarmente importante per la diffusione e l’evangelizzazione dei popoli. Come viene evidenziato nel Proemio venne ritenuto che «gli apostoli, sui quali la Chiesa fu fondata, seguendo l’esempio di Cristo, predicarono la parola della verità e generarono le Chiese. È pertanto compito dei loro successori perpetuare quest’opera»408.
Il decreto era una ricapitolazione e insieme un completamento di ciò che era stato elaborato nei precedenti documenti ecclesiastici a partire dalla lettera apostolica Maximum Illud409. Si trattò, in un certo qual modo, del definitivo
inserimento della Chiesa nella vita sociale e nella cultura locale, cosicché non potesse più essere percepita come un corpo estraneo all’interno delle comunità. Oltre alla formazione di una gerarchia ecclesiastica locale doveva essere aggiunta una matura vita interiore della comunità in tutti i campi, soprattutto quello della liturgia, che si
armonizzasse con l’indole del popolo.
Nel capitolo II del decreto, intitolato “L’opera missionaria in se stessa”, venne fatto diretto riferimento alla carità che deve accompagnare l’opera dei missionari cristiani nel mondo. Venne messa particolarmente in rilievo la
necessità di estendere a tutti,
indiscriminatamente, la carità cristiana e di diffonderla attraverso i figli della Chiesa, mediante un dialogo fraterno con i poveri e con i sofferenti, cercando di promuovere la pace e di diffondere il Vangelo410.
All’interno della nuove teologia, espressa dal Concilio, si cercò di far riscoprire il laicato, al fine di acquisire una maggiore autocoscienza
ecclesiale. Accanto al Papa, ai vescovi, ai religiosi, anche i laici furono chiamati ad assumersi le proprie responsabilità di fronte all’annuncio evangelico e alla sua diffusione nel mondo. Nel decreto si evidenziava che «i laici, con la loro attività, che è a un tempo civica ed apostolica, si sforzano di
407http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat- ii_decree_19651207_ad-gentes_it.html consultato il 20.06.2015. 408 Ad Gentes, n.1, §1. 409http://w2.vatican.va/content/benedict-xv/it/apost_letters/documents/hf_ben- xv_apl_19191130_maximum-illud.html consultato il 20.06.2015. 410 Ad Gentes, n.12, §1.
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instaurare nella città terrena un ordine di giustizia e di carità»411. «Essi
devono portare testimonianza di Cristo e in essi deve comparire l’uomo nuovo»412. Questa nuova vita vissuta in nome di Cristo deve essere espressa
attraverso l’ambiente sociale e culturale della propria patria, secondo le tradizioni nazionali. Essi devono quindi rispettare, conservare e sviluppare la loro civiltà perfezionandola affinché la fede di Cristo e la vita della Chiesa non siano elementi estranei alla società in cui vivono, ma vadano a penetrarla e a trasformarla413. I laici si debbono unire ai loro concittadini
rivelando con il loro comportamento quel vincolo nuovo di unità e di solidarietà universale che attingono dal ministero di Cristo. Il principale compito dei laici è
La testimonianza a Cristo, che devono rendere, con la vita e con la parola, nella famiglia, nel gruppo sociale cui appartengono e nell’ambito della professione che esercitano. In essi deve apparire l’uomo nuovo, che è stato creato secondo Dio in giustizia e santità della verità.414
Ai laici inoltre è richiesto di collaborare con la gerarchia, svolgendo missioni speciali per annunciare il Vangelo e divulgare l’insegnamento cristiano dando così vigore alla chiesa che nasce.
Il Concilio realizzò un grande rinnovamento sul piano teologico, con l’avvio di una teoria meno astratta e concettualistica; sul piano ecclesiologico, con la visione della chiesa come «popolo di Dio»; sul piano liturgico, con l’ampia introduzione delle lingue moderne al posto del latino; sul piano antropologico, con una considerazione più larga della complessa realtà dell’uomo e del mondo contemporaneo; sul piano dell’ecumenismo, con il riconoscimento dei propri delle altre Chiese cristiane e anche con il rispetto delle religioni non cristiane415. Il pluralismo religioso, la tolleranza, la
convivenza democratica apparivano ora come una condizione normale, anzi ottimale416. Tuttavia, la chiusura del Concilio avvenne in un periodo
particolarmente difficile per la Chiesa Cattolica, divisa al suo interno tra difensori del cattolicesimo tradizionale e innovatori, accusati di voler diffondere ideologie marxiste, laiciste e anticlericali. La stessa società civile cattolica fu attraversata da forti scontri e proprio i ritardi nell’attuazione della riforma conciliare, dovuti in parte alle fatiche dei rapporti tra centro
411 Ad Gentes, n.19, §2. 412 Ad Gentes, n.19, §2.
413 J. Metzler, op. cit., pp. 116-117. 414 Ad Gentes, n. 21, §3.
415 G. Verucci, La Chiesa Cattolica in Italia dall’Unità a oggi, op. cit., pp. 86-87.
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romano e chiese nazionali, produssero difficili dialettiche e disagi che animarono i giovani cattolici. Fu così che nacque la “contestazione ecclesiale”. Per la prima volta nell’età moderna e contemporanea si ebbe, all’interno della Chiesa Cattolica, un fenomeno di dissenso che contestava il clericalismo. Le posizioni di critica nascevano dal permanere di autoritarismi clericali evidentemente in contrasto con i valori del Concilio di cui ci si attendeva una rapida fine417.
Papa Montini capì come la riforma conciliare fosse in sintonia con i tempi, con le attese di cambiamento, con le speranze degli uomini e delle donne contemporanee. Il pontefice prestò particolare attenzione alla riforma intellettuale e morale che doveva essere la novità di vita inaugurata dal Vangelo. E questa riforma doveva allontanare l’uomo dall’individualismo egoistico e borghese, per avvicinarlo alla fraternità divina418.
Il Papa sentì l’esigenza di stabilire un rapporto diretto e chiaro con le organizzazioni internazionali, in uno scenario mondiale, che stava uscendo fuori dalla bipolarità. Con la decolonizzazione e il non allineamento, si aprivano alla Santa Sede nuove possibilità di segnare la sua presenza sul quadro internazionale. La Chiesa Cattolica si poneva come mediatore all’interno di un mondo diviso tra blocchi, a cui il Terzo Mondo poteva far riferimento419. Papa Paolo VI rilanciò il ruolo internazionale della Chiesa in
nome di un umanesimo cristiano. Si trattava di una diplomazia nuova, non solamente attenta agli interessi cattolici, ma più sensibile ai problemi di convivenza umana420. In questo modo, Montini evidenziava la necessità di
costruire un nuovo modo di pensare, un nuovo modo di concepire il rapporto Chiesa-Mondo attraverso la forza spirituale pacifica421.
Il pontefice, promuovendo questo modo di pensare, avviò un processo di approfondimento progressivo e coerente che modificò strutturalmente i contenuti dell’insegnamento sociale e lo stesso modo di intendere tale insegnamento. Paolo VI contribuì a rinnovare il cattolicesimo e a renderlo promotore dei nuovi temi sociali e popolari basati sul principio cardine dell’uguaglianza. Fu così che il 26 marzo 1967 venne pubblicata l’enciclica Populorum Progressio422. Lo sviluppo umano, economico, sociale e morale
417 F. De Giorgi, Paolo VI. Il papa Moderno, Morcelliana, Brescia, 2015, pp. 476-478. 418 Ivi, p. 483.
419 A. Riccardi, Il potere del Papa. Da Pio XII a Paolo VI, op. cit., p. 262. 420 Ivi, p.263.
421 Ivi, p. 554.
422http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-
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era uno dei temi che stava più a cuore a Papa Montini. Con questa enciclica Papa Paolo VI faceva suo il grido di dolore dei poveri della terra:
Oggi, il fatto di maggior rilievo, del quale ognuno deve prender coscienza, è che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale. Giovanni XXIII l’ha affermato nettamente, e il concilio gli ha fatto eco con la sua costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Si tratta di un insegnamento di particolare gravità che esige un’applicazione urgente. I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza. La chiesa trasale davanti a questo grido d’angoscia e chiama ognuno a rispondere con amore al proprio fratello.423
Il papa affrontava le questioni del colonialismo, del neocolonialismo e dei conflitti sociali e vi introduceva la visione cristiana di sviluppo integrale dell’uomo. Per raggiungere lo sviluppo era necessario superare il materialismo pratico per prestare attenzione allo spirito, subordinando la proprietà e il libero commercio alla destinazione universale dei beni. Il pontefice era favorevole al progresso tecnico, all’organizzazione industriale del lavoro e ad una regolamentata economia di mercato ma condannava il capitalismo liberale. Veniva valorizzato il lavoro ma ne venivano evidenziati i rischi di alienazione a cui il progresso scientifico rischiava di portare. Era una prospettiva di riforme sociali ed economiche vaste e radicali, di un nuovo ordine sociale di giustizia, di una politica netta ed incisiva424.
L’enciclica concentrava la sua attenzione anche sui problemi del sottosviluppo e dell’intrinseco rapporto tra pace e lo sviluppo dell’uomo. Nell’art. 33 leggiamo:
La sola iniziativa individuale e il semplice gioco della concorrenza non potrebbero assicurare il successo dello sviluppo. Non bisogna correre il rischio di accrescere ulteriormente la ricchezza dei ricchi e la potenza dei forti, ribadendo la miseria dei poveri e rendendo più pesante la servitù degli oppressi. Sono dunque necessari dei programmi per "incoraggiare, stimolare, coordinare, supplire e integrare" l’azione degli individui e dei corpi intermedi. Spetta ai poteri pubblici di scegliere, o anche di imporre, gli obiettivi da perseguire, i traguardi da raggiungere, i mezzi onde pervenirvi; tocca ad essi stimolare tutte le forze organizzate in questa azione comune. Certo, devono aver cura di associare a quest’opera le iniziative private e i corpi intermedi, evitando in tal modo il pericolo d’una collettivizzazione integrale o d’una pianificazione arbitraria che, negatrici di libertà come sono, escluderebbero l’esercizio dei diritti fondamentali della persona umana.
L’impegno delle popolazioni sviluppate avrebbe dovuto essere quello di ridurre le discriminazioni e le disuguaglianze, di liberare l’uomo dalla servitù, contribuendo al miglioramento delle sue condizioni umane (art.34).
423 Populorum Progressio, n.3. 424 F. De Giorgi, op. cit., pp. 558-561.
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Particolare attenzione veniva rivolta nell’enciclica all’educazione, al ruolo della famiglia e all’utilizzo delle organizzazioni professionali e dei sindacati. Vennero, inoltre, indicati i doveri dei popoli ricchi nei confronti di quelli sottosviluppati in una prospettiva di sviluppo solidale dell’umanità intera:
I loro obblighi sono radicati nella fraternità umana e soprannaturale e si presenta sotto un triplice aspetto: dovere di solidarietà, cioè l’aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri. Il problema è grave, perché dalla sua soluzione dipende l’avvenire della civiltà mondiale.425
Questo significava affrontare con spirito nuovo e più aperto doveri connessi all’ospitalità, voleva dire rifiutare i principi dell’individualismo, ma anche sviluppare dialoghi tra civiltà, per costruirne una fondata sulla solidarietà mondiale426. La regolamentazione del commercio internazionale, del mercato
e della vita economica erano necessarie per riequilibrare la distorsione crescente tra paesi ricchi e poveri.
Assumendo che «lo sviluppo è il nuovo nome della pace», Paolo VI concludeva l’enciclica con un appello rivolto a tutto il mondo. In particolare, il pontefice chiese ai laici cattolici del mondo impegnati in attività socio- politiche, di riallineare il loro posizionamento politico dalla destra conservatrice alla sinistra riformatrice, pur sottolineando l’autonomia di cui ognuno dispone ed evidenziando compito che la Chiesa aveva di semplice indirizzo sui principi427.
L’enciclica sopra citata andava a sommarsi alle precedenti disposizioni conciliari e, oltre ad avviare una profonda riflessione sul rapporto sviluppo- sottosviluppo, in relazione ai temi della dignità umana e della pace, si inserì all’interno del contesto storico in cui venne scritta, contribuendo a trasformare, rinnovare e mettere in discussione, non solo i principi cardine della struttura ecclesiale, ma anche l’ordine politico che ne derivava428.
Nel marzo 1969, a due anni dalla pubblicazione dell’enciclica Populorum Progressio, il Papa annunciò la costituzione di un fondo ad essa collegata
425 Populorum Progressio, n. 34. 426 F. De Giorgi, op. cit., p. 564. 427 Ivi, p. 566.
428 A. Giovagnoli, “ Cattolici nel Sessantotto” in A. Giovagnoli (a cura di), 1968: fra utopia e
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sulla base di un accordo della Santa Sede con la Banca Interamericana per lo Sviluppo. Venne così ridefinita la collocazione internazionale del Vaticano, che adesso andava a sostenere le proposte e le iniziative per un nuovo “ordine economico mondiale”, non più egemonizzato dai Paesi sviluppati, e promosse dal “Gruppo dei 77” costituitosi a Ginevra nel 1964 (United Nations Conferance on Trade And Development)429.