Le novità introdotte dal Concilio, cui particolarmente si contrapposero i conservatori, riguardarono la liturgia e il richiamo alla “Chiesa dei poveri”. Quest’ultimo argomento venne promosso durante tutte le sessioni del Concilio ecumenico e riscontrò varie difficoltà nell’affermarsi. I continui riferimenti alla chiesa dei poveri non riuscirono a far sì che le direttive venissero accolte dalle varie chiese. Solo al termine del concilio venne stilato un documento, presentato in una conferenza stampa da Mons. Helder Camara430, in cui i firmatari si impegnavano a vivere secondo il livello di
vita delle popolazioni a loro vicine, rinunciando alle apparenze e alle ricchezze delle vesti, rifiutando titoli e nomi, proprietà e beni immobili, impegnandosi a livello sociale per la giustizia e l’uguaglianza431. La tematica
non rimase inascoltata e nel 1968 i vescovi latino-americani riuniti a Medellín la ripresero e la posero al centro delle loro riflessioni e scelte. La preferenza dei poveri e la solidarietà con loro diventava la scelta di Medellín, una scelta che ebbe ampia risonanza in Italia e che stava alla base della nascente teologia della liberazione432 che verrà fatta propria dal
dissenso.
429 F. De Giorgi, op. cit., p. 567.
430 Helder Camara fu nominato arcivescovo di Olinda e Recife da Papa Paolo VI nel 1964.
Precursore della teologia della liberazione latinoamericana, egli prese parte all’ultima sessione del Concilio ecumenico contribuendo ad ampliare la riflessione fra sviluppo e ritardo del Terzo Mondo. In S. Scatena, La teologia della liberazione in America Latina, Carocci, Roma, 2008, pp. 9-15.
431 M. Cuminetti, Il dissenso cattolico in Italia, Rizzoli, Milano, 1983, p. 95.
432La teologia della liberazione è una riflessione teologica attorno al tema del sottosviluppo
e della dipendenza. Essa si originò in seno alla Conferenza del CELAM a Medellín del 1968, in seguito alla diffusione dei temi riguardanti lo sviluppo espressi nell’enciclica Popolorum Progressio. La teologia della liberazione tendeva a porre in evidenza i temi
dell’emancipazione sociale e politica dei popoli basandosi sul messaggio cattolico di giustizia ed uguaglianza. In S. Scatena, La teologia della liberazione in America Latina, Carocci, Roma, 2008, pp. 27-31.
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La Chiesa latino-americana rappresentava uno dei grandi banchi di prova della riforma conciliare per Papa Paolo VI. L’episcopato conservatore sudamericano si scontrava fortemente con il clero innovatore. Papa Montini conosceva bene la realtà sudamericana perché aveva avuto contatti diretti durante i pontificati dei suoi predecessori alla Segreteria di Stato, dove era rimasto, con periodi di allontanamento, dal 1937 fino al 1954. L’evoluzione conciliare di questa Chiesa fu avviata nel 1968 a Medellín. Durante il viaggio in Sud America il Pontefice affrontò i problemi della necessità di una riforma strutturale della società, sostenendo la via di un pacifico ma vero e radicale riformismo. Nel sostenere queste posizioni, ovviamente, il papa denunciava il ricorso alla violenza e si scontrava con il sostegno americano ai regimi autoritari nel Sud433. Nell’enciclica Popolorum Progressio egli si
era schierato a fianco dei popoli oppressi ma, durante gli interventi successivi alla pubblicazione del documento, aveva precisato la questione riguardante il ricorso alla violenza. L’insurrezione rivoluzionaria era, nella visione cattolica, in genere fonte di nuove ingiustizie e nuovi squilibri, dal momento che rischiava di portare a un male maggiore di quello che voleva combattere434.
Il pontefice riflettendo sulle necessità del continente sudamericano evidenziava la necessità di crescita, sul piano spirituale, della popolazione, superando ogni analfabetismo religioso e promuovendo un cammino di vicinanza ai poveri, in favore della promozione della vita umana. Sulla base di queste indicazioni si tenne la seconda conferenza a Medellín del Consiglio Episcopale Latino-Americana (CELAM)435, i cui documenti furono pervasi
dal tema della giustizia e della liberazione evangelica. All’interno di questa conferenza fu lanciata la proposta per l’istituzione delle Comunità ecclesiali di base (CEB)436.
433 F. De Giorgi, op. cit., p.592. 434 D Menozzi, op. cit., pp. 281-282.
435 Il Consiglio Episcopale Latino-Americano è un organismo della Chiesa Cattolica istituito
nel 1955 che raggruppa i vescovi dell’America Latina e dei Caraibi. Ogni quattro anni si riunisce l’assemblea ordinaria per definire gli orientamenti pastorali ed eleggere i dirigenti dell’organo stesso. In S. Scatena, La teologia della liberazione in America Latina, Carocci, Roma, 2008, pp. 9-15.
436 Le comunità ecclesiali di base sono piccole comunità, esistenti prevalentemente nella
realtà cattolica, che hanno come obiettivo la riscoperta della parola di Dio, che fonda la Chiesa come popolo in un contesto di impegno solidale con gli oppressi. Le comunità ecclesiali di base sorsero principalmente in Africa e America Latina, su iniziativa dei missionari e con il sostegno dell’episcopato locale. In G. Verucci, “Il ’68, il mondo cattolico e la Chiesa”, in A. Agosti (a cura di), La cultura e i luoghi del ’68: atti del Convegno di studi organizzato dal Dipartimento di storia dell’Università di Torino, Franco Angeli, Milano, 1991, p. 388.
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Il Papa tuttavia respinse energicamente le forme rivoluzionarie marxiste leniniste e guerrigliere, visto che la sua prospettiva era una pastorale di libertà e liberazione. Questa prospettiva era comunque contestata da quei cattolici che avevano assunto modulazioni marxiste e classiste che non avevano alcuna capacità concreta di modificare la realtà. Paolo VI piuttosto giungeva all’ideale pastorale ed evangelico della Chiesa povera e dei poveri sulla base degli stimoli che gli venivano dalle chiese più povere, come quelle dell’America Latina437. La Chiesa dei poveri era la cifra ecclesiologica
essenziale, finale e definitiva di Paolo VI, nel suo sforzo di applicazione del Concilio Vaticano II.
La “Chiesa dei poveri” fu un leit-motiv negli anni Sessanta e Settanta. Una chiesa povera era al loro servizio e il passaggio da strutture di potere a strutture comunitarie fondate sull’uguaglianza divenne obbligato. Il tema della povertà ebbe in Italia un forte impatto. Esso si intrecciò strettamente con quello della desacralizzazione e declericalizzazione del modello di chiesa dominante, con la rinuncia ai privilegi del concordato e con la fine dell’unità politica dei cattolici438.
La Chiesa Cattolica era ormai in fermento e il conflitto fra le diverse posizioni era inevitabile. Il conflitto riguardava ciò che doveva essere la chiesa ed era una forma di autocritica che nasceva all’interno della comunità ecclesiale e che costringeva al confronto tra le vecchie gerarchie e le novità di chi guardava avanti. L’opera di mediazione di Paolo VI non riuscì a conciliare le due visioni ed egli fu costretto ad accettare il pluralismo e a confrontarsi con esso. Il conflitto doveva essere letto all’interno delle dinamiche della società, delle tensioni e delle lotte presenti. La Chiesa, abituata a comprendersi come società a parte, ebbe difficoltà nel recepire questi cambiamenti. I tentativi di emarginazione dei gruppi e delle persone più critiche furono quindi la reazione immediata della gerarchia439.
437 F. De Giorgi, op. cit., pp. 598-600. 438 M. Cuminetti, op. cit., p. 97. 439 Ivi, p. 103.
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