• Non ci sono risultati.

L’Italia durante gli anni Sessanta e Settanta

3.2. Il terzomondismo nel contesto italiano 1 La risposta accademica

3.2.2. Lo Stato Italiano, la decolonizzazione e gli aiuti al Terzo Mondo

All’inizio degli anni Settanta, il Terzo Mondo era una realtà che sollecitava l’impegno della diplomazia italiana. L’Italia era infatti coinvolta su orizzonti vasti, non limitati ai soli ex-possedimenti coloniali. Il Ministero degli Esteri svolse, durante il decennio, un’intensa attività diplomatica che ampliò i rapporti bilaterali tra Stato italiano e paesi del Terzo Mondo. In particolar modo fu l’azione di Mario Pedini, sottosegretario degli Esteri dal 1969 al 1976535, ad influenzare l’impegno italiano sul fronte terzomondista. Il

politico, che durante tutti gli anni Sessanta aveva mantenuto contatti con

533 A. Giovagnoli, “Pio XII e la decolonizzazione”, op. cit., pp. 179-209. 534 M. De Giuseppe, “Il Terzo Mondo in Italia”, op. cit., pp. 38-40. 535http://www.senatoremariopedini.eu/ consultato il 02.09.2015.

152

molti leader africani per costruire l’associazione tra nuovi Stati africani e Comunità Europea, era convinto che la stabilità della pace nel mondo non fosse più un problema di solo equilibrio militare, quanto piuttosto di equilibrio sociale ed economico tra nazioni, zone e continenti536. Durante

tutti gli anni Settanta, perciò, mantenne e sviluppò contatti diplomatici con molti leader africani e, assieme ad essi, implementò politiche e accordi di cooperazione bilaterale.

La cooperazione dello Stato Italiano andò ad interessare i territori africani, in special modo gli ex- possedimenti coloniali.

Nel 1970 la Libia, dopo il rovesciamento del regime di re Idris e l’avvento al potere di Gheddafi, si trovò a dover affrontare il problema della comunità italiana presente sul territorio. Il rigore applicato dal colonnello nei confronti della comunità, che venne costretta a rientrare in Italia, e le richieste di risarcimenti avanzate dal paese africano nei confronti dell’ex- colonizzatore, non impedirono e non frenarono gli sforzi diplomatici per raggiungere un accordo di cooperazione tecnico-scientifica ed economica tra i due paesi537. Ulteriori accordi furono siglati per la realizzazione di impianti

petrolchimici, raffinerie e oleodotti. Il momento di massima collaborazione venne raggiunto nel 1976, quando la Libia acquistò il 10% delle azioni della FIAT. Successivamente i rapporti tornarono ad incrinarsi a causa della questione dei risarcimenti italiani per i danni coloniali538.

Più a Sud, in Somalia, l’Italia, dopo la rivoluzione di Siad Barre, mantenne un ruolo nella cooperazione con lo stato africano grazie all’azione di Pedini. Il tentativo di distensione e associazione tra i due stati si scontrò però con la rigidità degli italiani che decisero di non investire in Somalia. L’unico progetto che venne realizzato fu quello di cooperazione universitaria. Nel 1973 l’Università nazionale somala venne rinnovata e potenziata con altre facoltà539. Lo scoppio della guerra dell’Ogaden nel 1977 impedì, però,

l’implementazione di nuovi progetti. La Farnesina fu costretta a mantenere una linea prudente e moderata, nel tentativo di non precludersi spazi di manovra per gestire possibili trattative tra le parti in conflitto.

536P. Borruso, “L’Italia tra cooperazione e terzomondismo”, op. cit., p. 212.

537 P. Borruso, “L’Italia e la crisi della Decolonizzazione” in A. Giovagnoli, S. Pons (a cura

di), L’Italia Repubblicana nella crisi degli anni Settanta. Tra Guerra Fredda e distensione, Vol. I, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2003, p. 399.

538 Ivi, p. 400. 539 Ivi, p. 404.

153

I rapporti con l’Etiopia cambiarono, invece, a partire dalla visita di Haile Salassie in Italia nel novembre del 1970. Il processo di distensione che seguì la visita, e che portò il Negus ad ottenere un prestito di 50 milioni di dollari, avvenne in un momento di grande crisi interna. Il conflitto con l’Eritrea si espanse, la carestia colpì la nazione e il malcontento si diffuse. Così nel 1974 Salassie venne estromesso e sostituito dal Derg – il consiglio dei militari all’interno del quale emerse la figura del generale Menghitsu – che dette inizio ad una dittatura540. Le nazionalizzazioni che seguirono colpirono

immediatamente la comunità italiana. I rapporti italo-etiopici si frantumarono, quindi, di fronte all’avvento del regime rivoluzionario.

L’impegno di Mario Pedini e di Aldo Moro, alla guida del Ministero degli Esteri, contribuirono al superamento del divario tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo. Soprattutto su territorio africano svolse un ruolo centrale l’intensa attività diplomatica portata avanti dai due politici541.

L’idea di fondo era quella di rafforzare il collegamento euro-africano in modo che facesse da modello regionale per un nuovo tipo di economia, sbilanciata verso la costruzione di una società internazionale capace di garantire uguali possibilità di vita e di sviluppo per tutti i paesi542. Per promuovere questa

idea vennero instaurati contatti diplomatici con il presidente Senghor del Senegal, con il ministro degli Esteri marocchino, con il presidente della Repubblica dello Zaire e con il presidente del Gabon. Numerosi altri viaggi del ministro e del sottosegretario degli Esteri furono effettuati nel continente africano per perseguire questo obiettivo543.

Negli anni Settanta, l’apertura dell’Italia al Sud del mondo non si verificò solo a livello diplomatico, ma anche i maggiori partiti politici presero parte all’impegno.

Il PCI in modo particolare costituì un solido legame con il Mozambico. In questo Stato, in particolare, già si era riversato l’impegno del comune di Reggio Emilia che aveva stabilito uno stretto rapporto con il FRELIMO, organizzando assistenza sanitaria sia in Tanzania che in Mozambico544.

Anche lo Stato Italiano aveva stabilito un programma di cooperazione

540 E. Di Nolfo, op. cit., p. 1237.

541 Per approfondimenti vedi M. De Giuseppe, “Moro e il “Terzo Mondo”. Tra politica estera

e dimensione culturale”, in R. Moro, D. Mezzana (a cura di), Una vita, un paese. Aldo Moro e l’Italia del Novecento, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2014, pp. 663-690.

542 P. Borruso, “L’Italia e la crisi della Decolonizzazione”, op. cit., p. 419. 543 Ivi, p. 421.

544http://www.comune.re.it/retecivica/urp/retecivi.nsf/PESIdDoc/8DC91FBEB9D53448C125

7866003BC7D6/$file/Reggio%20e%20Africa%20-%20scheda%20rapporti.pdf consultato il 16.07.2015.

154

economica che interessava il territorio, tanto che nel 1970 la penisola risultava essere il primo paese donatore545. L’impegno assunto dal PCI

corrispondeva ad una nuova visione dei rapporti internazionali espressa dal leader del partito, Enrico Berlinguer. Lo scenario degli anni Settanta impose un ripensamento dell’ordine mondiale a causa dell’accresciuto divario tra paesi industrializzati e paesi sottosviluppati, dell’aumento della povertà e della fame. Il superamento della visione bipolare del mondo e la consapevolezza dell’esistenza del Sud come nuovo interlocutore si imposero come una necessità per costruire nuovi equilibri e garantire una coesistenza pacifica nel mondo546.

Nel 1975, durante il XIV Congresso nazionale tenutosi a Roma, questa linea di pensiero fu adottata dal PCI italiano. Attuare strategie politiche volte ad appianare le sperequazioni sociali ed economiche e per salvaguardare l’ambiente era necessario per salvaguardare la pace. Una nuova “cultura di pace” non era realizzabile senza una “nuova cultura dello sviluppo”547.