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L’Italia durante gli anni Sessanta e Settanta

3.1. I movimenti politici, civili e religios

3.1.1. Il miracolo economico

Negli anni tra il 1958 e il 1963, l’Italia cessò di essere un paese con forti componenti contadine, divenendo una delle nazioni più industrializzate dell’Occidente. Il paese rurale ed urbano, così come le dimore dei suoi abitanti e i loro modi di vita, cambiarono radicalmente.

La fine del protezionismo rivitalizzò il sistema produttivo italiano, lo costrinse a rimodernarsi e migliorarsi. Lo Stato italiano, inoltre, contribuì all’espansione economica attraverso il mantenimento della stabilità monetaria, la commissione a privati di grandi opere infrastrutturali e il mantenimento di un tasso di sconto favorevole. Gli alti livelli di disoccupazione degli anni Cinquanta mantennero basso il costo del lavoro e

440 S. Gallo, Senza attraversare le frontiere. Le migrazioni interne dall’Unità ad oggi,

Laterza, Roma-Bari, 2011, pp. 140-142.

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tolsero potere ai sindacati, favorendo la produttività e lo sfruttamento dei lavoratori442.

In un primo periodo la crescita economica fu connessa con l’aumento della domanda interna ma, con l’avvento del Mercato Comune, la percentuale delle merci italiane destinate alla CEE crebbe in maniera significativa. I beni che venivano esportati cambiarono e andarono a coprire quell’ampia gamma di prodotti destinati a famiglie con reddito procapite più elevato di quello italiano443. Le industrie di elettrodomestici si svilupparono in modo

notevole, tanto da far conquistare all’Italia il terzo posto nella produzione di frigoriferi, subito dopo Stati Uniti e Giappone.

L’espansione della domanda interna, la crescita delle esportazioni e l’intervento pubblico resero possibile il boom economico italiano. L’Italia era diventata un moderno paese industriale. Il segnale più significativo di tutto ciò fu la capacità delle regioni più industrializzate, di assorbire un’ondata massiccia di lavoratori agricoli provenienti dal Sud, ancora prevalentemente agricolo. Tra il 1959 e il 1971 si verificò un esodo di oltre tre milioni di contadini che abbandonarono le loro terre in cerca di nuove opportunità di lavoro444.

Gli ex contadini meridionali immigrati tumultuosamente nelle città costituirono una nuova leva di operai, impiegati con salari spesso miserabili alle catene di montaggio e nei cicli continui della nuova organizzazione della produzione. Si formò, così, un nuovo proletariato di fabbrica che si sovrappose, spesso conflittualmente, alla vecchia classe operaia professionale, e che penetrò l’intero mercato del lavoro, anche quello della piccola e media impresa445.

Il boom economico si realizzò rispondendo direttamente al libero gioco delle forze del mercato e dette luogo, come risultato, a profondi scompensi strutturali. Il primo di questi fu la distorsione dei consumi. L’esportazione favorì la produzione di beni di lusso e beni di consumo privati, senza un corrispettivo sviluppo dei beni di consumo pubblici446. I beni di prima

necessità come case, trasporti, scuole e ospedali rimasero indietro rispetto

442 P. Ginsborg, Storia dell’Italia dal dopoguerra ad oggi, Einaudi, Torino, 1989, pp. 286-

288.

443 Ivi, p. 289.

444 M. Flores, A. De Bernardi, op. cit., p. 129. 445 Ivi, pp. 130-131.

446 R. Bellofiore, “I lunghi anni Settanta Crisi sociale e integrazione economica

internazionale” in L. Baldissara (a cura di), Le radici della crisi. L’Italia tra gli anni Sessanta e Settanta, Carocci, Roma, 2001, pp. 88-90.

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alla rapida crescita dei beni di consumo privati. Ad aggravarsi fu, anche, lo squilibrio tra settori dinamici con alta produttività e tecnologia avanzata, e quelli dell’economia tradizionale, con grande intensità di lavoro e con una bassa produttività447. Per ultimo, il boom economico accrebbe il drammatico

squilibrio tra Nord e Sud del Paese. Tutti i settori dell’economia in rapida espansione erano situati a nord-ovest del paese e in alcune aree centrali e nord orientali. In questi territori si concentravano i capitali e prosperavano le industrie esportatrici448.

Nel 1963 lo straordinario sviluppo economico subì una battuta d’arresto a causa della caduta degli investimenti e dell’aumento dell’inflazione. La ripresa su larga scala delle lotte operaie erose, man mano, la capacità di investimenti da parte delle grandi aziende. Nel 1961 il “Natale in piazza” dei metalmeccanici milanesi, nel febbraio del 1962 gli scioperi della Lancia di Torino e la diffusione della protesta al settore del tessile degli edili, dei braccianti, crearono un clima di tensione sociale e portarono alla ribalta i sindacati. Di lì a poco i salari crebbero e, una volta raggiunta la piena occupazione, la capacità di profitto venne erosa. Le imprese pensarono di porre rimedio attraverso l’aumento dei prezzi, tentando di scaricare l’aumento dei salari sui consumi, che a loro volta avevano subito un balzo in avanti per l’improvviso incremento dei redditi delle famiglie dei lavoratori449.

Il problema più grande si venne a creare sui conti con l’estero, che chiusero nel 1963 con un passivo complessivo della bilancia dei pagamenti pari a 500 miliardi cosicché le riserve valutarie si assottigliarono450. Gli investimenti

diminuirono, la produzione industriale declinò e l’occupazione si contrasse. La crescita economica si ripresentò solo nel 1965 e fu sostenuta quasi esclusivamente dalle esportazioni. Gli investimenti non furono riavviati per timore di cadere nuovamente nella spirale negativa degli alti salari e piena occupazione ma vennero, invece, intensificati i margini di redditività del capitale attraverso operazioni di concentrazione aziendale e di riorganizzazione dei processi produttivi451. I gruppi imprenditoriali più forti

impiegarono, cioè, risorse nell’acquisizione di altri complessi industriali presenti sul mercato. Nello stesso tempo le partecipazioni statali divennero

447 P. Ginsborg, op. cit., p. 292. 448 Ivi, p. 292.

449 M. Flores, A. De Bernardi, op. cit., pp. 134-135. 450 Ivi, p. 136.

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il terreno di azione di lobby economiche o consorterie politiche, capaci di drenare quote crescenti di denaro pubblico452.

La razionalizzazione della produzione comportò anche il peggioramento della condizione lavorativa operaia: i salari vennero ridotti, l’occupazione fu concentrata e fu intensificato l’impiego del lavoro in fabbrica. Maturarono così le condizioni della crisi delle relazioni industriali che si verificò tra 1969 e 1973453. Alle lotte operaie si sommarono poi quelle degli impiegati, dei

tecnici dequalificati dalla riorganizzazione dei processi produttivi e degli studenti.

Gli anni Sessanta si conclusero all’insegna di una conflittualità sociale senza precedenti, animata dallo sforzo collettivo di rimuovere le più macroscopiche contraddizioni prodotte dal mancato intreccio tra modernismo e sviluppo, che le dinamiche proprie del capitalismo italiano e l’azione di governo non erano state capaci di correggere. La crescita e i profitti continuarono a contrarsi e, il peggioramento delle dinamiche del commercio internazionale, non riuscì a ribaltare la situazione454.