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Francesca Calace

Per far sì che i processi di rigenerazione basati sulle pratiche traggano dalle pianificazioni ur- banistica e paesaggistica un sostegno piuttosto che un ostacolo e quindi, implicitamente, per far sì che tali strumenti costituiscano degli am- bienti di lavoro in grado di favorire e incentiva- re la rigenerazione come contenuto principale della trasformazione, si vogliono affrontare due questioni,che oggi riteniamo cruciali: come in- tendere oggi il concetto di integrazione; come far leva sul paesaggio per rigenerare.

Allargare il concetto di integrazione. Come è noto,

l’integrazione è stata una parola chiave della stagione della riqualificazione urbana, a partire dai programmi, appunto, “integrati” fino alla “rigenerazione sostenibile” che permea l’attuale stagione della programmazione europea. Inte- grazione delle funzioni, delle risorse, degli attori: il superamento della pianificazione di tradizio- ne non poteva non passare per strumenti che consentissero di integrare la dimensione sociale a quella fisica degli interventi, le risorse pubbli- che a quelle private; ciò comunque all’interno di strumenti formalizzati – i programmi, nelle loro diverse accezioni e generazioni – promossi per la riqualificazione.

Oggi occorre uno sforzo in più: è sempre più evi- dente la necessità di integrare tra loro non solo i programmi alle dimensioni della pianificazione nelle sue diverse tipologie e scale, ma anche que- ste con un proliferare di pratiche e modalità di intervento e di uso innovativo dello spazio e del territorio, caratterizzate dall’informalità o dal basso livello di formalizzazione, dall’instabilità e dalla temporaneità. Ovvero, per meglio dire, è necessario che strumenti e pratiche possano sinergicamente contaminarsi e abbandonare la prima quella rigidità che contraddistingue la pianificazione formale, la seconda l’approccio estemporaneo e case by case che caratterizza azio- ni dal basso, spesso prive di strategicità.

Rigenerare attraverso il paesaggio. Anche in que-

sto caso, è noto che le città, dopo la crescita, ne- cessitino ancora di importanti interventi di in- frastrutturazione per migliorarne le prestazioni, sia in termini di sostenibilità che di efficienza; ma stavolta si tratta di nuove infrastrutture non più “grigie” come negli anni della crescita, ma

“verdi e blu”, ovvero basate sulla riqualificazio- ne ecologica, sull’apporto della natura e dell’ac- qua quali elementi fondanti la rigenerazione ambientale anche dell’ambiente urbano. Inoltre, è più che mai necessario perseguire una strategia di rinnovo urbano relativa al disegno di spazi aperti in grado di organizzare i tessuti della città, di qualificarne il margine e il rapporto con la campagna; in particolare, in una stagione che vede l’arresto della crescita urbana per addizio- ne, riemerge il tema del margine come spazio non più provvisorio, ma come vero e proprio luogo, che necessita di un progetto. Tutti aspetti tralasciati negli anni della crescita e oggi impre- scindibili per la qualificazione ecologica, morfo- logica e sociale della città.

Il contributo esplora ambedue le questioni: la prima dal punto di vista degli strumenti, ovve- ro affrontando le modalità in cui gli strumenti formali si predispongono a rispondere a istanze di pratiche d’uso, presenti o latenti, ma difficil- mente formalizzabili nei tempi della costruzio- ne degli strumenti stessi; la seconda osservando, per brevità in un unico caso qui analizzato,un progetto mirato a rendere strutturali i processi rigenerativi basati sul paesaggio.

Il caso riguarda il “ristretto” come terreno di in- tegrazione tra le dimensioni urbana e rurale nel paesaggio salentino, nel caso della mezzaluna verde a Corigliano d’Otranto, una figura proget- tuale posta - insieme ad altre - alla base delle pre- visioni del piano urbanistico generale.

Si tratta di un ampio spazio posto ai limiti dell’urbano, a cingerlo ad ovest, costituito da una campagna caratterizzata dalla presenza di numerosi elementi di valore storico-testimonia- le e paesaggistico e da un grande spazio aperto che si incunea nel tessuto urbano. Quest’ultimo, costituito da una “casa salesiana” con immobili dei primi del ‘900, piccoli manufatti di edilizia rurale, impianti sportivi, orti e campi agricoli, storicamente appartenuto e gestito dai Salesiani, è stato un luogo di formazione e socializzazione che ha rappresentato per decenni un riferimen- to per tutta la comunità locale. L’abbandono della struttura da parte dei Salesiani ha posto, per l’amministrazione e la città, il problema di compensare questa perdita con un nuovo pro- getto d’uso di questo spazio con elevato valore collettivo e simbolico oltre che ambientale. La strategia del Piano urbanistico generale prevede la realizzazione di un grande parco di connessio- ne tra la città e la mezzaluna verde, da acquisire da parte del comune tramite un meccanismo

PUG di Corigliano d’Otranto: Scheda progettuale d’Ambito Salesiani

I progetti strategici del PUG di Corigliano d’Otranto: la mezzaluna verde, la mezzaluna urbana, la porta urbana orientale

compensativo che genererà attrezzature e capa- cità edificatorie sui suoi bordi, in connessione e a completamento del margine urbano. In questa sede si vuole puntare l’attenzione non tanto sul- la manovra urbanistica, quanto sulle peculiarità della proposta connessa ai caratteri del luogo. Gli obiettivi progettuali sono di diversa natura: • anzitutto la costituzione di elementi della

rete ecologica di connessione tra territorio rurale e ambiente urbano mediante il per- seguimento di pratiche agricole a basso impatto; la promozione di cultivar che mi- gliorano i valori di biodiversità degli agro- ecosistemi; la rigenerazione delle risorse ambientali, acqua, suolo, aria, per compen- sare l’impatto urbano; la promozione di ambienti ospitali per la flora e la fauna; • in secondo luogo la realizzazione di spazi e

servizi pubblici: il parco è inteso come ele- mento portante dell’armatura dello spazio urbano, le attrezzature e i servizi previsti sono compatibili con il carattere rurale dell’ambito quali orti sociali, attrezzature sportive e spazi pubblici di connessione e ingresso al parco;

• il parco è inoltre occasione per promuovere

una diversa mobilità, realizzando una rete lenta all’interno del parco connessa alle reti della mezzaluna e della campagna, e ripen- sando i collegamenti urbani tra le due parti di città attraverso una strada locale con ca- ratteristiche di woonerf.

Questa l’offerta progettuale del piano; essa, per la complessità della previsione, a sua volta com- misurata alle dimensioni e alla varietà degli spazi messi in gioco e alle risorse necessarie a rigenerare un importante pezzo di città, dovrà essere intercettata da attori diversi: gli operatori immobiliari, la cittadinanza attiva, le associazio- ni, l’amministrazione. Si prefigura quindi la pos- sibilità di una implementazione complessa, con alcuni soggetti stabili e altri mutevoli e caratte- rizzata più da pratiche informali (ad esempio per la gestione e l’animazione del parco, nelle sue molteplici potenzialità) che da strumenti e

iter formalizzati. In altre parole saranno le pra-

tiche, più che le previsioni urbanistiche, a dare forma al parco, metabolizzandone e integrando- ne i contenuti. Ma, di contro, le previsioni urba- nistiche rappresentano le pre-condizioni perché le pratiche possano esprimersi.

Pur trattandosi di un caso specifico e peculiare, il

caso di Corigliano d’Otranto tocca il tema gene- rale e ricorrente dei margini urbani; per il Piano paesaggistico riconducibili al “ristretto”, per i piani urbanistici spesso zone di espansione o per servizi non realizzate e di difficile realizzazione, in stato di degrado o abbandono, essi rappresen- tano una questione centrale nei processi di rige- nerazione urbana, nonché della pianificazione qualora, come si spera, ne assuma l’approccio e gli obiettivi.

Con tutta probabilità il progetto del margine ur- bano, in questa stagione delle città, per le proprie caratteristiche costitutive avrà come ingredienti l’incontro e l’integrazione non solo tra urbani- stica e paesaggio, ma anche tra strumenti for- mali e pratiche informali. Si tratta di una sfida tutta contemporanea, nella quale i tradizionali strumenti dell’urbanistica risultano largamente inadeguati; solo nei casi in cui la pianificazione formale sarà in grado di raccogliere e metaboliz- zare al proprio interno le istanze della comunità, restituendole in forma di previsioni progettuali “aperte” e disponibili ai significati e agli usi che essa vorrà attribuirgli, si potrà dire di aver fatto un passo in avanti verso una integrazione con- creta ed efficace.

Negli ultimi venticinque anni, Bagnoli per l’opinione pubblica sembra coincidere unicamente con il progetto di bonifica e trasformazione dell’area dell’impianto siderurgico Ilva-Italsider.

In questo servizio racconteremo la complessità del quartiere di Bagnoli provando a svelarne i caratteri di un’articolata e contraddittoria realtà.