Rassegna urbanistica
D’altra parte, i risultati raggiunti da città che hanno saputo mettere in atto una strategia di lungo periodo e integrare coerentemente gli sforzi orientati alla mobilità sostenibile sono considerevoli. A New York, grazie ad interventi mirati di miglioramento delle sezioni stradali nei punti critici, di potenziamento della rete di piste ciclabili e di miglioramento dell’arredo urbano e della fruibilità degli spazi, l’utilizzo della bicicletta come mezzo di trasporto è tri- plicato e l’incidentalità è diminuita del 72% tra il 2001 e il 2013 (New York City Department of
Transportation, 2013). Altro esempio significa-
tivo è Londra, che dal 2008 ha messo a punto una rete di “autostrade ciclabili” (cycling su-
perhigways) per rendere veloci gli spostamenti
verso il centro città, con la prospettiva di un raddoppio del numero di ciclisti al 2020 (Tran-
sport for London, 2013).Queste esperienze vanno
oltre alla semplice gestione dei flussi e alla tra- dizionale infrastrutturazione delle strade, con- cependo la strada come spazio pubblico vero e proprio e non solo come dispositivo preposto ad accogliere il traffico.
La settorializzazione delle politiche pone la necessità di ripensare criticamente al poten- ziale ruolo che la mobilità lenta può avere nel migliorare la vivibilità degli spazi urbani. In tal senso, l’applicazione del concetto di giustizia spaziale alla mobilità può essere una chiave di lettura efficace nel dare corpo ad una strategia di più ampio respiro, amplificando l’idea di sostenibilità ed orientandola ad una “mobilità giusta” (Sheller, 2011). Mobilità giusta attiene al diritto proprio di ciascuno di potersi muove- re in un ambiente urbano accogliente e sicuro, presupposto ad una fruizione completa degli spazi della città e alla progettazione di contesti qualitativamente elevati per le relazioni socia- li. La giustizia spaziale può essere quindi sia un obiettivo della pianificazione e progettazione degli spazi, con l’attenzione alla produzione di spazi inclusivi, agli utenti deboli, alla riappro- priazione degli spazi, alle pratiche urbane in generale, sia un framework d’azione per guidare l’attività del progettare.
Muovendo dall’idea di giustizia spaziale, si è voluto proporre una serie di metodologie al- ternative per la progettazione degli spazi della mobilità lenta, applicandole poi alla mobilità ciclistica sull’area di Mestre (VE).
A partire dal 2005, a Mestre, grazie all’introdu- zione di un piano dedicato alla ciclabilità (Bici
Plan), vi è stato un notevole sforzo nell’artico-
in un progetto di rete di itinerari ciclabili inter- connessi. Se questo approccio si è dimostrato vincente sotto diversi punti di vista (aumento della percentuale di ciclisti, raddoppio dell’e- stensione dei percorsi ciclabili) e ha permesso a Venezia di entrarenella top 10 delle città più ciclabili d’Italia, esso ha anche fatto emergere i limiti di una programmazione del territorio così articolata e definita. I 16 percorsi previsti dal Bici Plan sono stati solo parzialmente rea- lizzati, anche a causa delle esigenze legate alla realizzazione della tramvia, progetto che ha drenato molte risorse e ha riguardato alcuni ambiti critici del Bici Plan, rendendo impossibi- le l’inserimento dei percorsi previsti.
Proprio per queste ragioni, Mestre rappresenta un ambito ideale per applicare un set di meto- dologie sperimentali di progettazione degli spazi di mobilità. Ciascuna delle tre metodo- logie impiegate offre una chiave interpretativa differente di questi spazi.
La prima metodologia impiegata si basa sull’a- nalisi della configurazione spaziale, indagando su come la conformazione della rete di strade e percorsi possa influire sugli spostamenti cicla- bili e pedonali. Questo approccio all’analisi del- le reti urbane, denominato Space Syntax, è stato introdotto a partire dagli anni ’70 da un team di ricercatori dell’University College of London. Attraverso l’applicazione di questa metodolo- gia è stato possibile individuare gli spazi che, a livello teorico, maggiormente si presterebbero ad ospitare infrastrutture per la mobilità lenta, sulla base degli assi che, per loro configurazio- ne, risultano potenzialmente più accessibili rispetto alla disposizione totale degli spazi che compongono l’area urbana considerata. La seconda metodologia è stata applicata me- diante l’utilizzo di software GIS. A partire dalla rete dei percorsi sono state costruite delle iso- crone per misurare il grado di accessibilità ai servizi dal punto di vista della mobilità lenta, includendo quindi nella rete solo gli spazi per- corribili da pedoni e ciclisti. In questo modo si è ottenuta una rappresentazione delle “geo- grafie dell’(in)accessibilità” ai luoghi notevoli dell’ambiente urbano. Il risultato ha messo in luce da un lato come vi sia una distribuzione non sempre equa dei servizi sul territorio, e dall’altro come l’incentivo a muoversi in bi- cicletta, accompagnato da un miglioramento della sicurezza su strada, risulti cruciale per ge- nerare una maggiore quota di mobilità “dolce”. Infatti, quasi tutti i luoghi notevoli all’interno del territorio considerato risultano potenzial-
mente accessibili sia da pedoni che da ciclisti mediante spostamenti brevi.
L’ultima metodologia fornisce una chiave in- terpretativa delle pratiche urbane che avvengo- no all’interno dello spazio stradale. Il metodo si basa sull’osservazione delle cosiddette desire line, immaginari tracciati “disegnati” da ciclisti e pedoni nei loro spostamenti giornalieri. Que- sto concetto è stato rielaborato negli ultimi anni dallo studio danese Copenhagenize, che lo ha trasformato in una metodologia finalizza- ta alla progettazione e, in maniera particolare, alla ri-progettazione degli spazi e delle attrezza- ture per la ciclabilità (Copenhagenize Design Co., 2012). Osservando il comportamento dei cicli- sti, si è infatti notato che in molti casi le desire line non corrispondono a quanto previsto dalla segnaletica esistente, rendendo necessario un ripensamento ed una riprogettazione dello spazio ciclabile in alcuni punti critici della rete. Nella pratica, il metodo si articola come segue. Una prima fase consiste nell’osservazione e nella mappatura di tutte le desire line tracciate da ciascun ciclista all’interno dell’area oggetto di studio, che può essere un incrocio, una piaz- za o qualsiasi punto critico della rete stradale. Per portare a termine l’osservazione si utilizza- no una o più telecamere piazzate in modo da permettere il più possibile di capire il punto di arrivo e la destinazione dei ciclisti. In seguito, si individuano e schematizzano i flussi principa- li, categorizzando gli utenti della strada in base all’atteggiamento che dimostrano. La catego- rizzazione viene fatta sia rispetto a come l’uten- te interpreta la segnaletica e la configurazione esistente degli spazi, sia in base a come intera- gisce con gli altri utenti della strada. Nel caso specifico di Mestre, per questa sperimentazio- ne, è stato scelto un incrocio particolarmente critico nell’area centrale di Mestre, nei pressi di Piazzale Cialdini. Secondo lo schema utilizza- to da Copenhagenize, i ciclisti conteggiati sono stati divisi in: conformisti, ossia coloro che pe- dalano nel rigoroso rispetto della segnaletica e della normativa vigente; anticonformisti, cioè quegli utenti che interpretano la codifica dello spazio in maniera creativa, preferendo molto spesso seguire le proprie desire line; scorretti, ovvero quei ciclisti che infrangono le regole e creano situazioni di pericolo, ad esempio pas- sando con il rosso o correndo sui marciapiedi. I dati raccolti durante un periodo di osservazio- ne di 15 ore sono stati scorporati e rielaborati, permettendo in questo modo la redazione di tre proposte di ridisegno dello spazio stradale
e della segnaletica. In totale sono stati conteg- giati 2.454 ciclisti, numero che, se rapportato al contesto italiano, mette in risalto come la mo- bilità ciclistica rappresenti una parte rilevante nella ripartizione modale degli spostamenti nell’area centrale di Mestre.
Attraverso l’applicazione di questa metodo- logia, il cittadino, colui che vive quotidiana- mente lo spazio urbano, diventa quindi, senza averne consapevolezza, partecipe delle scelte progettuali riguardanti la città, consentendo di attivare una sorta di “partecipazione incon- sapevole”.
L’applicazione combinata di queste metodolo- gie permette, a livello pratico, di individuare i nodi critici per la mobilità lenta e di riproget- tarli tenendo conto delle necessità di pedoni e ciclisti. Con questo sistema sarà possibile effet- tuare interventi di ricucitura delle reti ciclabili e pedonali esistenti attraverso una progettazio- ne mirata, intervenendo mediante una serie di “iniezioni” progettuali sulla rete stradale. Incoraggiare questo approccio, più leggero e di- namico del tradizionale BiciPlan, comporta dei notevoli vantaggi anche dal punto di vista del- le amministrazioni: la possibilità di avere uno strumento flessibile ed adattabile all’evoluzio- ne dello spazio urbano, la riduzione di costi di implementazione e la facilità con cui possono essere raccolti i dati necessari alla riprogetta- zione dei punti critici e alla valutazione ex post dell’efficacia delle soluzioni adottate.
Riferimenti bibliografici
• Buchanan C., 1964. Traffic in Towns (shortened edi- tion of the Buchanan Report), Penguin Books Ltd. • Banister D., 2008. The sustainable mobility paradigm,
in Transport Policy, n.15, pp. 73-80.
• Marshall S., 2001. The challenge of sustainable tran-
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• Borlini B., Memo F., 2011. Mobilità, accessibilità ed
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Espanet: Innovare il welfare, Milano 2011. • Munarin S., Tosi M. C., 2014. Welfare Space. On the
Role of Welfare State Policies in the Construction of the Contemporary City, LISt Lab.
• New York City Department of Transportation, 2013. Making Safer Streets, www.nyc.gov
• Transport for London, 2013. The Mayor’s Vision for
Cycling in London. An Olympic Legacy for all Londo- ners, Greater London Authority, www.london.gov.
uk
• Sheller M., 2011. Creating Sustainable Mobility and
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les, 2011), pp. 113-124.
• Copenhagenize Design Co., 2012. The bicycle core-
ography of an urban intersection. www.copenhage-
Il contesto territoriale, storico e paesaggistico
L’area regionale transfrontaliera compresa tra le città di Kukës e Prizren è un territorio dove vicende storiche e paesaggio si intrec- ciano in modo sostanziale e significativo. Le popolazioni locali, benché storicamente e tradizionalmente unite, hanno assistito, a partire dalla fine del secondo conflitto mondiale, a una drastica interruzione delle relazioni socio-culturali esistenti tra i terri- tori divisi dal confine. Durante il periodo di dittatura comunista in Albania erano vieta- ti i contatti tra popolazioni confinanti e le comunicazioni interrotte, pena la condan- na per eversione ai lavori forzati. Il Partito del lavoro d’Albania, imposto l’isolamento, diede anche inizio ad una serie di opere in- gegneristiche di interesse nazionale: la rea- lizzazione di dighe aveva l’obiettivo di rag- giungere la propagandata autosufficienza energetica. Negli anni ’70 iniziarono i lavori di costruzione della diga di Fierza, una delle più imponenti dei Balcani, che si conclusero nel 1978, sfruttando le portate d’acqua dei fiumi Drini i Bardhë (Drini bianco) e Drini i Zi (Drini Nero). L’incremento del livello dell’acqua ha sommerso la vecchia città di Kukës mentre il regime comunista albanese ne aveva pianificata una nuova, razionale e socialista. Tale evento ha radicalmente mo- dificato il paesaggio circostante e la perce-
zione che di esso ne aveva popolazione. La nuova Kukës ha trovato posto a una quota più alta, sul promontorio vicino alla vecchia città. La costruzione del nuovo centro urba- no e dei nuovi quartieri abitativi, così come delle aree produttive e industriali, è stata immortalata in filmati propagandistici che raccontano le fasi di costruzione di Kukës da parte di una cittadinanza attiva e partecipe dell’ammodernamento degli spazi pubblici e produttivi della città nonché del proprio stile di vita. Questa narrazione autoritaria, così come la condizione d’isolamento, sono rimaste inalterate fino alla caduta dei rispet- tivi regimi totalitari da una parte e dall’altra del confine. Sul finire degli anni ’90, durante la guerra del Kosovo, la regione guadagnò l’attenzione delle cronache internazionali quando l’offensiva dei gruppi armati serbi in territorio kosovaro spinse molti abitanti ad abbandonare le proprie case. In migliaia fuggirono dal Kosovo transitando nell’area di Prizren, lungo la valle del Drini i Bardhë per poi concludere temporaneamente il loro viaggio nella città di Kukës da dove, in segui- to, sarebbero stati distribuiti verso le città della costa albanese. Dal punto di vista pae- saggistico, il fiume Drini propriamente detto nasce a nord-ovest della città di Kukës dalla confluenza del Drini i Bardhë, le cui sorgenti si trovano in Kosovo, e del Drini i Zi, che na- sce invece a sud, in territorio macedone.
I contributi si riferiscono all’area di confine le città albanesi di Kukës, Bajram Curri e Has e quelle kosovare di Prizren e Gjakovë. Albania e Kosovo, con i rispettivi Ministero dello Sviluppo Urbano e Ministero dell’Ambiente e della Pianificazione Spaziale, si sono resi protagonisti di una prima esperienza di cooperazione transfrontaliera in area balcanica sulla base di accordi bilaterali tra cui il partenariato strategico nel settore della pianificazione territoriale, Nel territorio in esame le istituzioni hanno immaginato un processo di sviluppo territoriale basato sulla gestione del patrimonio paesaggistico e storico-culturale, sulla promozione di attività di cooperazione transfrontaliera e sull’implementazione dei servizi turistici della regione. Il punto di partenza è stato l’indizione di un concorso di idee attraverso cui coinvolgere giovani professionisti, per poi selezionare i progetti che sarebbero stati oggetto di un ulteriore approfondimento al fine di elaborare un primo documento programmatico per definire le iniziative future.