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Assetti e dissesti ministeriali: la politica della “valorizzazione” si è sosti-tuita a quella della “conservazione” innescando nuovi degradi.

M

ateria delicata quella afferente ai musei. Da sempre riguar-data con appetiti, ambizioni, senso del potere; raramente con reale spirito di servizio per la comunità (nazionale e internazionale). Potremmo distinguere il problema in tre grandi “ere storico-culturali”:

1. dal 1939 al 1975, cioè dalle leggi fondamentali di tutela volute dal ministro Bottai e suffragate dalle competenze di Giulio Carlo Argan, Cesare Brandi e Gustavo Giovannoni, fino all’avvento del nuovo Mi-nistero per i Beni culturali e ambientali di cui fu promotore Giovanni Spadolini nel governo Moro - La Malfa;

2. dal 1975 al 2004, corrispondente all’abbrivo, collaudo ed esercizio del nuovo Ministero; un quarto di secolo che vide il nostro Paese all’avanguardia in materia di restauro, tutela, conservazione e valoriz-zazione del patrimonio culturale, che pur con qualche discrasia portò – non poco faticosamente – al Codice dei Beni Culturali – emanato dal ministro Giuliano Urbani durante il governo Berlusconi;

3. dal 2004 al 2019, in cui, inglobando l’intera materia afferente al turismo, si è assistito a una progressiva emarginazione del personale scientifico-tecnico a favore del potere politico. Un nodo, quest’ulti-mo, su cui è necessario fermarsi a riflettere.

Si vuol dire che questo Ministero, fino alla stagione “spadoliniana”, è stato sostanzialmente indenne da forti pressioni politiche: ciò non vuol dire estraneo a “segnalazioni” o “sollecitazioni” a intervenire su casi ragionevolmente urgenti (persino la prima legge unitaria sui

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lavori pubblici prevedeva gli “interventi di somma urgenza”), ma l’autonomia decisionale dei soprintendenti sul territorio di loro com-petenza era salvaguardata. Le priorità di intervento erano riassunte e motivate nei programmi annuali o biennali che venivano “trasmessi”

al Ministero e corrisposte nella misura delle disponibilità delle risorse assegnate. Oggi le cose sono abbastanza diverse. Il processo di centra-lizzazione ha ricondotto allo staff ministeriale ogni sostanziale poli-tica di programma e di spesa, quasi esautorando quella ragionevole autonomia dei soprintendenti a favore dei grandi musei. La politica della “valorizzazione” ha stravolto quella della “conservazione”.

Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (gennaio 2004), pur ripor-tando ad unum le due leggi fondamentali, la 1089/39 Tutela delle cose di interesse artistico e storico, la 1497/39 Tutela delle Bellezze naturali (e relativo Regolamento), e specificando aspetti sulla “valorizzazione”, nulla innova in ordine al sistema museale; indugiando invece sulle

“misure di conservazione” e sui “beni paesaggistici”, in quel momento una particolare emergenza nel Paese, anche a seguito del Decreto Galasso nonché del riconoscimento della Convenzione Europea del Paesaggio.

Così, in definitiva, la normativa in materia di musei, con le sue radici nel Regolamento generale del 1885 e altri provvedimenti legislativi soprattutto relativi alla disciplina delle mostre d’arte, ritrova, ancora una volta, il suo apparato fondativo nell’istituzione del nuovo Mini-stero (1975). Qui, in fatto di musei si rimandava al nuovo ruolo del

“Consiglio Nazionale per i Beni culturali e ambientali”, democrati-camente espresso per competenze, nonché ai “Comitati di settore”;

per i musei, segnatamente al Comitato di settore per i beni storici e artistici. Tanto vero che il “Progetto Grandi Uffizi” di Bemporad e Berti ebbe la regolare approvazione ministeriale, come del resto i successivi progetti a modifica negli anni Ottanta e Novanta. Con una circolare del luglio 1975 fu introdotta anche la “Settimana dei beni culturali e dei musei” che si riallacciava alla tradizionale “Settimana dei musei”. Se si pensa al rapido succedersi dei vertici ministeriali (Urbani, Buttiglione, Rutelli, Bondi, Ornaghi, Bray, Franceschini) si comprende come, in realtà, non sia mai stata espressa una linea di continuità politica per i beni culturali e i musei, se non provvedimenti tesi a tamponare falle contingenti o a soddisfare problemi particolari.

Acquista così rilevanza il riassetto dato dal ministro Franceschini in quanto a burocratizzazione e tentativo di innovazione, dimostrato-si di non facile e contraddittoria applicazione, con effetti indotti

beni culturali e musei di stato

talvolta assai discutibili. Egli infatti, col Decreto 28 febbraio 2014 – Regolamento di organizzazione del Ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo e dell’organizzazione indipendente di valutazione delle performance, eleva a ben tredici direzioni generali il vertice mi-nisteriale, ponendolo al comando dell’intera struttura e assoggettan-dolo alle scelte “politiche”, iniziando l’emarginazione del personale scientifico-tecnico, concorrendo a cancellare il ruolo degli organismi elettivi previsti dall’assetto a suo tempo dato da Spadolini. Per quanto riguarda Firenze si stabilisce che le funzioni dell’ex Soprintendenza speciale per il patrimonio artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città sono state assegnate ai seguenti istituti: Galleria degli Uffizi, Galleria dell’Accademia, Museo Nazionale del Bargello, Polo museale della Toscana. Cancellando, con un solo atto, un secolo di consolidata buona amministrazione che vedeva nelle competenze specifiche delle soprintendenze la primazia delle responsabilità cul-turali, su cui dovremo pur tornar sopra, a partire da quanto si è fatto agli Uffizi e alla Galleria degli Autoritratti del Corridoio Vasariano.

A seguire, col ministro Alberto Bonisoli (governo Conte), il Decreto ministeriale Organizzazione e funzionamento dei musei statali, più co-munemente noto come “Decreto musei”, annunciato come «grande novità per l’ordinamento italiano»: definisce il sistema museale na-zionale, la missione dei musei e ne determina le modalità di gestione.

Di ciascuno si definisce lo statuto, il bilancio, l’organizzazione (con cinque distinte aree funzionali: direzione, cura, marketing, ammini-strazione, strutture e allestimenti). L’aspetto più delicato, a proposito di autonomia dalla politica, è il nuovo e determinante ruolo assegnato al “direttore generale”, vero e unico gestore del potere, in quanto

«favorisce la costituzione di consorzi […] con la partecipazione di soggetti pubblici e privati, individuando – secondo i criteri dettati dal ministro – i luoghi e i musei da affidare in gestione indiretta a sog-getti privati». Non solo, ma il direttore generale (ovviamente, sempre secondo i criteri del ministro in carica) predispone gli standard di funzionamento e sviluppo dei musei. La politica entra così a gamba tesa nella direzione dei musei, a tutti i livelli, esautorando quella sa-crosanta autonomia scientifico-tecnica che il padre fondatore del Mi-nistero, Giovanni Spadolini, volle quale punto fermo e irrinunciabile.

Così la destabilizzazione definitiva delle soprintendenze è palese. Il rischio di politicizzazione compiuto. Corollario involontario di tutto ciò è che il depauperamento di un personale specialistico (di cui mai si parla) che molti nel mondo ci invidiavano, è assicurato.

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Con Decreto Mibact-Udcm n. 517 del 27 novembre 2017 si sono atti-vate le “Gallerie degli Uffizi”, costituendole in un Istituto del Mibact dotato di autonomia speciale ai sensi dell’art. 30 lett. a), del Dpcm 29.08.2014, n. 171. Così che oggi, le Gallerie degli Uffizi «formano un complesso comprendente la Galleria delle Statue e delle Pitture, il Corridoio Vasariano, le Collezioni di Palazzo Pitti e il Giardino di Bo-boli»: più precisamente in dettaglio nell’allegato Statuto delle Gallerie degli Uffizi, operativo dal 31 gennaio 2019. Si tratta di un provvedi-mento su cui sarebbe opportuno tornare a riflettere perché, di fatto, ha alterato quell’equilibrio di competenze storicamente collaudato, compattando ad unum materie e compendi assolutamente diversi per natura e competenze come, ad esempio, la Galleria d’Arte Moderna e il Giardino di Boboli. Come del resto sarebbe opportuno riflettere sullo stesso Statuto che lascia larga materia a differente interpreta-zione, soprattutto per quanto riguarda due aspetti assai delicati: le iniziative sull’arte contemporanea (che possono interferire sul merca-to dell’arte, con pericolose e involontarie ombre di connivenze), che configura anche materia altra in quanto a competenze istituzionali (si ricordi i limiti dei 50/70 anni afferenti alla legittimità della “noti-fica”); i rapporti e i prestiti di opere d’arte di capitale importanza in altri paesi (dentro e fuori l’Unione Europea), che hanno già costituito materia di eccezione e riserve anche all’interno dei consigli scientifici previsti dallo statuto.

In allegato: Statuto delle Gallerie degli Uffizi

Francesco Gurrieri, architetto

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