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Ai cambiamenti politici e sociali che hanno caratterizzato l’Italia della cosiddetta seconda repubblica, alcuni degli ultimi presidenti della Re-pubblica hanno fatto fronte dando ai poteri che la Costituzione ha loro riservato una lettura interventista che porta a ritenere maturi i tempi per una riforma della Costituzione in senso presidenzialista.

I

cittadini francesi e quelli americani, con il voto eleggono i presi-denti dei loro paesi. In Italia, invece, il presidente della Repubblica lo elegge il Parlamento. La nostra Costituzione, infatti, ebbe a sta-bilire che il nostro Paese sarebbe stato una Repubblica parlamentare.

La nostra Carta costituzionale risale al 1948, ma il modo in cui i poteri reali del capo dello Stato italiano, nel tempo, da Scalfaro in poi, sono stati interpretati è decisamente cambiato. In apparenza l’articolo 87 della Costituzione aveva attribuito al nostro presidente della Repub-blica poteri piuttosto limitati. Non partecipava alla formazione delle leggi né indicava i ministri, non proponeva strategie né formazione di governi.

Francesco Cossiga è stato il primo a deviare da questa impostazione

“notarile”. Fu definito, infatti il “picconatore” della Repubblica ed è stato lui a inaugurare un nuovo corso.

Dopo di lui, Scalfaro, Ciampi e soprattutto Napolitano, hanno in-trodotto in Italia un “semipresidenzialismo di fatto”, trasformando la Presidenza della Repubblica italiana da istituzione con poteri “lar-gamente simbolici” a nuovo soggetto politico con un ruolo che si spinge, ormai, a indirizzare e coordinare anche il potere esecutivo.

Giorgio Napolitano, definito un comunista al Quirinale, chiamato “re Giorgio” dal «New York Times», sugli anni della sua presidenza aveva

ruffilli

affermato: «In questi anni ho potuto meglio comprendere come il presidente della Repubblica italiana sia un capo di Stato europeo do-tato delle maggiori prerogative. Il solo Paese al quale la Costituzione attribuisce poteri in vario modo precisi e incisivi è quello italiano».

Il presidente della Repubblica italiana è divenuto, così, un punto di riferimento politico del nostro Paese.

Anche perché, nel frattempo, il progressivo indebolimento dei partiti ha fatto sì che la figura del presidente della Repubblica abbia potuto assumere un ruolo strategico esaltato dall’estrema debolezza dell’in-tera classe politica della seconda repubblica nel suo insieme.

Con la scomparsa del partito dei cattolici che aveva a lungo governato il Paese mantenendo un equilibrio sociale e politico e con l’avvento di una società secolarizzata e individualista, è stata persa quella cen-tralità del governo ed è riemersa l’antica mancanza di educazione democratica.

Dunque, non c’era stata alcuna rivoluzione o colpo di stato, ma sem-plicemente una lenta interpretazione politica “di fatto” che probabil-mente non avrebbe potuto verificarsi con presidenti della Repubblica provenienti da schieramenti di destra.

L’Italia, infatti, è un Paese fondamentalmente conservatore nel sen-timento popolare. Tuttavia, nel dibattito pubblico, se si esprime un punto di vista diverso o addirittura contrapposto rispetto al senti-mento progressista imperante sui media e nel vasto mondo della cul-tura, non è facile sostenerlo perché si è subito isolati.

Si viene anche bollati e accusati di autoritarismo, di essere cultural-mente retrogradi o, ancor peggio, nostalgici di regimi del passato.

italia, una repubblica presidenziale?

Bisogna attendere qualche voto segreto in Parlamento per misurare veramente gli umori e riscontrare risultati non previsti: ultimo esem-pio il disegno di legge Zan.

Dunque, i vituperati anonimi “franchi tiratori” spesso altro non so-no se so-non l’espressione della vera volontà politica dei rappresentanti eletti dal popolo di destra e di sinistra.

Negli ultimi anni si sono spesso succeduti al Quirinale presidenti “di sinistra” e quella lenta e progressiva lettura “interventista” dei poteri del capo dello Stato è potuta avvenire senza particolari contrasti da parte del Parlamento e dei presidenti del Consiglio che si sono suc-ceduti nel tempo.

È peraltro vero che l’elezione del presidente della Repubblica a camere riunite ha riservato sempre grandi sorprese. Amintore Fanfani, per due volte candidato, fu tradito dai “franchi tiratori” democristiani che portarono alla presidenza prima Giovanni Leone e poi Giuseppe Saragat, il primo presidente “laico”, un socialdemocratico. E, anni dopo, ci furono la sofferta bocciatura di Franco Marini e quella di Romano Prodi, anch’egli tradito dai famosi 101 franchi tiratori, ov-vero da coloro che riteneva alleati e sicuri elettori.

La nascita e la caduta di molte candidature hanno sempre caratte-rizzato l’elezione dei presidenti della Repubblica. Anche l’elezione di Sergio Mattarella, eletto dopo tre “fumate nere”. Vi ebbe un ruolo determinante l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi: battuti Massimo D’Alema, Pierferdinando Casini, Giuliano Amato e Silvio Berlusconi, risultò vincente la candidatura dell’ex democristiano di sinistra Sergio Mattarella, fratello di Piersanti, il presidente della Re-gione Sicilia assassinato dalla mafia a soli quarantacinque anni. Un simbolo, un martire della Repubblica. Ebbene, anche il presidente Mattarella, che aveva esordito dichiarando «il presidente è un arbitro che deve essere e sarà imparziale», è stato protagonista di importanti scelte politiche. Ultima e significativa la nomina di Mario Draghi alla Presidenza del Consiglio dei ministri, candidatura voluta dallo stesso presidente della Repubblica dopo aver constatato l’impasse della politica dei partiti.

Così, anche Mattarella si è caratterizzato come un capo di Stato “pre-sidenziale”: una figura importante e significativa alla guida del nostro Paese, avvertita soprattutto nei difficili momenti del coronavirus.

Alla luce di questa realtà, forse il nostro ordinamento costituzionale ha davvero bisogno di essere aggiornato.

“La più bella costituzione del mondo” – come è stata definita – risa-lente alla fine della seconda guerra mondiale, redatta a quel tempo da

ruffilli

uomini decisamente “illuminati” come Giorgio La Pira, Aldo Moro, Alcide De Gasperi, Umberto Terracini, Palmiro Togliatti, presenta ormai alcune contraddizioni che, forse, è giunto il momento di chia-rire, anche ponendosi questa domanda: “L’Italia di oggi è veramente una Repubblica parlamentare?”.

Se il presidente della Repubblica – come sembra – ha ormai, di fatto acquisito nuovi e consolidati poteri politici, non è forse giunto il momento di dare, democraticamente, al popolo italiano, il diritto di scegliersi direttamente il suo presidente attraverso il voto?

La discussione non è certo nuova e si protrae, nel tempo, da molti anni. Il timore “dell’uomo solo al comando”, che ci rimanda al to-talitarismo della dittatura e della guerra, fa ancora parte della nostra memoria storico-politica?

Sono in molti a sostenere che non abbiamo ancora rimosso totalmen-te il ricordo del ventotalmen-tennio fascista e dei possibili rigurgiti che, ancora, si manifestano. In effetti, fu proprio questo timore che, nell’imme-diato dopoguerra, portò i costituzionalisti a scegliere la Repubblica parlamentare. Tuttavia oggi la classe politica può e deve ammettere che la maturazione del popolo italiano a favore dei valori democratici, della giustizia, della libertà, della pace e del benessere della collettività è ormai largamente avvenuta.

Nella condizione attuale, le elettrici e gli elettori italiani, privati della mediazione riconosciuta dei partiti, non vogliono e non devono più essere esclusi dal dibattito pubblico e dalle scelte politiche che ne con-seguono, ovvero da una forma di democrazia diretta, pena il sempre maggiore assenteismo e astensionismo dalle consultazioni elettorali.

Quanto alla politica, questa non si deve trasformare sempre più in una odiosa oligarchia fatta di privilegi, rinchiusa nei palazzi e relegata nei talk show televisivi.

L’elezione del presidente della Repubblica resta un momento e un evento fondamentale per la vita e il destino del nostro Paese. È dav-vero auspicabile, dunque, che questa possa avvenire, in un futuro non più lontano, attraverso l’elezione diretta del capo dello Stato da parte di tutto il popolo italiano. Sarà così che l’Italia, come le maggiori democrazie dell’Occidente, potrà divenire anch’essa, a tutti gli effetti, una Repubblica presidenziale.