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Famiglia e giovani costituiscono ancora i presupposti per realizzare, at-torno alla valorizzazione e tutela della persona umana, quella versione moderna dell’esperienza politica popolare che ha segnato la storia più bella del nostro Paese e che può ancora rispondere ai bisogni di una società che ha perduto il senso stesso del lavoro e della democrazia.

N

essuno avrebbe scommesso una lira su quel piccolo prete sici-liano di Caltagirone, don Luigi Sturzo, quando cent’anni fa ebbe l’idea – ma soprattutto il coraggio – di fondare, nell’Italia appena uscita dalla prima guerra mondiale e immersa in una profonda crisi di ricostruzione e di riconciliazione, un nuovo partito, il Partito Popolare. Sturzo ebbe la forza di ripartire dalla persona, sfidando i liberali, i socialisti e perfino la Chiesa, che riuniva le proprie forze so-ciali e politiche nelle unioni cattoliche conservatrici dirette dal conte Della Torre, direttamente nominato dal papa. Oggi, come allora, dopo il ventennio fascista e l’esperienza luminosa di De Gasperi, dopo la fine ingloriosa, nel 1994, del maggiore partito italiano del dopoguer-ra, la Democrazia Cristiana, non esiste in Italia quel partito popolare di ispirazione cristiana che Sturzo invece seppe tirare fuori dalla sua decennale esperienza fatta nelle campagne galatine, imparando dalla scuola politica e religiosa dell’impegno e del sacrificio, nelle lunghe ed estenuanti riunioni nelle quali prevaleva la ricerca di una mediazio-ne fra il proletariato contadino e il padronato che possedeva le terre.

Ci si domanda se sia possibile tirare fuori, in questo momento storico, l’esperienza antica e nuova di una vera e incisiva partecipazione po-polare alla vita politica della parte più produttiva e fondamentale del nostro Paese, le famiglie e le piccole e medie imprese dell’economia

paolucci reale. Sappiamo che la famiglia è stata definita di recente dal presi-dente Sergio Mattarella, non tanto il tessuto connettivo dell’Italia, ma l’Italia stessa. E le piccole e medie imprese dell’economia reale, in Italia e in Europa, sono il 98% di tutte le imprese e generano due su tre nuovi posti di lavoro. Ci sono poi le nuove generazioni, altra grande e gioiosa struttura di sostegno del nostro futuro. Se coniu-ghiamo allora il valore della persona umana, da cui dipende tutta la storia civile, sociale, economica, culturale, spirituale, tecnologica, del progresso umano, diventa conseguente affermare che è sulla persona che si fonda, che cresce e che si consolida la società umana e che non esistono né barriere né muri alla sua piena realizzazione, nel rispetto delle peculiarità e delle applicazioni che siano al servizio del benessere dell’uomo e della sua piena maturazione economica e civile.

La crisi politica dell’Italia di oggi riflette la drammatica situazione del paese, con il debito pubblico che ha superato il muro del 150% del Pil, con una disoccupazione giovanile superiore a quella del dopoguer-ra, con migrazioni in massa all’estero, con un calo clamoroso della produzione industriale, con una povertà ingravescente soprattutto al Sud, con l’incremento delle diseguaglianze e degli “scarti umani”

(come hanno affermato papa Benedetto nella Caritas in veritate e papa Francesco in Evangelii gaudium e Laudato si’). Né la classe po-litica, incardinata in una strenua difesa dei propri interessi personali e associativi, ha dimostrato di essere all’altezza di affrontare le grandi problematiche che la iv rivoluzione industriale in atto ha innescato.

In primo luogo, la destrutturazione del rapporto capitale lavoro. Il capitale, oggi, non ha più bisogno del lavoro: c’è la delocalizzazione con trasferimento di capitali e di strumenti produttivi in altri paesi, i robot non fanno sciopero e si sta consumando la scomparsa nei prossimi vent’anni del 56% dei profili professionali (i dattilografi, ad esempio, non ci sono già più).

In secondo luogo, si è avuto il passaggio da un capitalismo industriale a un capitalismo finanziario. Nel 1980 il Pil mondiale degli stati era ugua-le al Pil bancario e finanziario; oggi il volume finanziario è cinquan-taquattro volte quello mondiale dell’economia reale, con sostituzione dalla cultura del profitto – che veniva reinvestito in gran parte nel ciclo produttivo – a quella della rendita, che è invece parassitaria. Sappiamo che il profitto è produttivo se è poi reinvestito in lavoro; la rendita è improduttiva perché si arricchisce nella speculazione, con conseguen-te incremento delle diseguaglianze. Vale ricordare che lo stipendio di Valletta nel 1950 era venti volte superiore allo stipendio di un operaio, oggi il presidente della Fiat prende cinquanta volte di più dell’operaio.

prima la persona

In terzo luogo, si è verificata la più grave conseguenza della globalizza-zione, cioè la rottura del rapporto fra democrazia e capitale, di cui in Italia è vietato parlare. Cioè la democrazia non tiene più in equilibrio e bilanciamento il capitalismo; prima erano i politici che dettavano l’agenda economica, ora sono i grandi gruppi economici e finanziari.

La novità di oggi è che si può avere capitalismo senza democrazia, ed esempi ne sono la Cina, l’India, la Turchia e altri paesi dove non esi-ste libertà ma il Pil comunque cresce anche del 4-5% l’anno. Questo pone dei grossi problemi nel contesto internazionale, problemi che possono sfociare anche in potenziali minacce per la pace.

È evidente che in una situazione globalizzata nella quale i grandi gruppi finanziari e le tecnologie dirigono le economie nel mondo, ci sia poca rilevanza e poco interesse nel valore della persona umana, considerata una merce, un numero, un disvalore. Ed è ugualmente conseguente che dai partiti tradizionali del secolo scorso, nati in Italia da una strenua lotta contro le dittature, si sia approdati a movimenti populisti, a partiti radicali di massa, a gruppi politici di combinazione che hanno dimenticato e/o trascurato i valori dell’uomo a vantaggio di una perfezione finanziaria che impone regole perverse a favore solo di determinati gruppi e che mette in fondo all’agenda la persona e le sue peculiarità strategiche nella conduzione dello sviluppo dell’uomo, di tutto l’uomo (come specifica san Paolo vi nella Populorum Progressio).

In realtà le regole dell’umana, pacifica convivenza, della crescita e piena realizzazione, insieme al rispetto della vita umana dal grembo materno in poi, le regole dell’ordine nei rapporti interpersonali in ambito so-ciale, civile e religioso, la solidarietà che trova garanzie nell’articolo 2

paolucci (l’architrave della carta lo definì Aldo Moro) della nostra Costituzione, la garanzia di tutelare il lavoro e il giusto salario, come dice l’articolo 36, la libertà e il valore sociale dell’impresa, come nell’articolo 41, sono sempre stati – e lo sono ancor oggi – i capisaldi del popolo italiano e della sua vocazione europea ( come ci hanno indicato i padri fondatori De Gasperi, Schuman e Adenauer).

Noi non possiamo deviare dal valore della persona e dalla sua collo-cazione pacifica e creativa nel mondo globalizzato, dove non esistono muri e dove si vive in libertà, anche e soprattutto per essere consolati, quando ci trovassimo in situazioni difficili e non direttamente dipen-denti dalla nostra volontà. L’Europa, che non è un’espressione geogra-fica ma la sintesi di una lunga storia, il culmine di un approdo di pace e di benessere, ci indica nelle sue linee essenziali che la soluzione dei tanti problemi passa attraverso la presenza di alcune famiglie politiche che escludono sia i radicalismi di massa che i populismi guerrafondai.

Ispirati dunque dal popolarismo di Sturzo e dalla Democrazia Cristiana di De Gasperi – che ne è stata la prosecuzione, ma non il compimento, per la sua fine ingloriosa – possiamo affermare che l’idea di un parti-to popolare moderno, attuale e attivo in Italia, costituiparti-to da persone, gruppi, associazioni e partiti aggregati e fusi tra loro nella famiglia po-polare, che credano nel valore della persona umana nel suo tutto intero e naturale percorso vitale, possa contribuire alla realizzazione di quella civiltà dell’uomo fondata sulle regole condivise, sul rispetto reciproco, sul riconoscimento del diritto naturale alla vita dal concepimento al termine naturale, sulla volontà di risoluzione delle criticità più grandi e non risolte del secolo scorso, nonché delle nuove sfide globalizzate.